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Arconti
di Filippo Goti


1. Introduzione

Il termine Arconte trova la sua origine nel greco arkhonontos ( magistrato, primo magistrato ). La natura della parola è indicativa del ruolo che tale figura svolge nella teogonia e cosmogonia gnostica, essi sono i giudici, i controllori di questo mondo. E' giusto ricordare che lo gnosticismo storico propone un Cosmo ontologicamente e/o fenomenologicamente separato dal mondo divino. In relazione ad una originaria caduta si genera una contrapposizione, apparente o sostanziale, fra questo mondo, dove l'uomo si trova prigioniero, e una divinità superiore e occulta. Nei sistemi gnostici di origine iranica, dove il dualismo è radicale, sussitono due Enti che si affrontano in una vera e propria lotta, attraverso i rispettivi eserciti, mentre nei sistemi gnostici di origine greca-egizia-giudaica, riscontriamo la figura di un Demiurgo ( Piccolo Creatore ) coadiuvato da potenze da lui generate: gli Arconti. La presenza del Demiurgo è caratteristica sia dei sistemi ontologicamente dualistici, sia di quelli dove tale caratteristica è solamente fenomenologica.

 

2. Arconti

I commenti che trattano della figura degli Arconti, tendono a rappresentare queste potenze come le creatrici del nostro mondo, e dell'uomo stesso. Tale identificazione può portare a facile confusione, se non viene ricordatoche il Cosmo non è concidente che l'Ente Supremo, e che il Dio Occulto oltre ad essere divinità è anche luogo adimensionale e atemporale preesistenze al Cosmo stesso. Dove quest'ultimo rappresenta l'effetto di una crisi accidentale occorsa nel Pleroma stesso. Quindi possiamo meglio inquadrare la funzione degli Arconti come quelle potenze, che in virtù della rimembranza per l'ordine e l'armonia del Pleroma, tendono a ricrearla attraverso la suddivisione e la regolazione dello spazio insito nel Cosmo, attraverso atti di creazione, e di applicazione delle leggi. Dove la suddivisione, la regolazione, e la creazione rispecchiano, seppur in difetto, l'antica realtà del pleroma. Essi quindi tendono a riflettere nel Cosmo accidentale, il ricordo di quello che era, e che non è più. Lasciando trasparire anch'essi una sorta di nostalgia, sublimata nell'atto creativo stesso. Un ricordo che è insito nel loro patrimonio generico, o per meglio dire nella loro medesima matrice spirituale.

3. Arconti e apocrifo di Giovanni

Così l'Apocrifo di Giovanni descrive la nascita del primo arconte: Allorchè essa vide che l'oggetto della sua volontà era di tipo diverso - aveva il tipo di un drago, la faccia di leone dagli occhi di fuoco fulminanti e fiammeggianti, lo allontanò da se...........

La Madre dell' Arconte è Sopia un Eone promanato dal Pleroma, che disubbidendo alla regole che governano il Pleroma stesso, ha generato senza congiungersi al suo naturale compagno, ma unendosi al desiderio che essa provava per l'Ente Supremo.

Da questo breve, ma significativo stralcio, posiamo enucleare tre elementi che devono essere presi in considerazione:

La contrapposizione fra l'immagine della Sopia, e la bestialità del suo frutto

La vergogna della Sofia per il suo frutto

La nascita dell'Arconte tramite atto di esclusiva volontà della Sopia

La natura animalesca del Primo Arconte, che si staglia con la pura essenza pneumatica della Sopia, Jaldabaoth, questo è il suo nome, in niente rende testimonianza alla perfezione della madre. In quanto in virtù del desiderio che lo ha generato, creato da pulsione alla separazione ma anche creante tale separazione, risulta specula negativa e mostruoso della bellezza e armonia che permaneava tutto il Pleroma. Il desiderio è corruzione di ogni pensiero, e il pensiero è la radice di ogni fare. Quindi se il desiderio è incubo del pensiero, e con esso si trova avvinghiato, ineluttabilmente l'azione posta in essere risulterà macchiata, e stravolta. Il lecito Amore che tutto arde di Sophia per il Pleroma come divinità inconoscibile, un Amore di Conoscenza, si è trasmutato in desiderio, e a sua volta in brama. L'ipostasi del pensiero di Sophia, ne è risultata stravolta nella forma e nel contenuto, seppure un seme della sua natura divina, è scivolata in essa.

La Sopia innanzi a questo suo frutto, prova vergogna. In quanto esso è testimonio della sua trasgressione, della sua violazione alle regole divine. Ne prova repulsione, paura e lo nasconde, oltre il mondo degli eoni, nell'Ombra sottostante, dando così inizio alla Creazione del Cosmo. Infatti il Cosmo viene posto in essere, in quanto lei vi ha collocato una realtà indipendente all'unicità nella natura del Pleroma. Una separazione in separando. Non fu la Lussuria la causa, ma effetto del desiderio, che a sua volta generò l'ira, che si cristallizzò in lussuria.

Proseguendo nella lettura dell'apocrifo troviamo che i figli di Jaldabaoth, sono descritti chi con forma di iena, di pecora, di asino, di drago, scimmia e fuoco. Continuando a rimarcare la loro natura perversa e malata. Essi non sono ne immagine ne somiglianza degli eoni che dimorano nei limiti estremi del Pleroma, in quanto queste potenze inferiori essendo ignoranti veicolano tale stato dell'anima, anche nella loro manifestazione. E' infatti giusto ricordare che nello gnosticismo storico la Conoscenza è veicolo e forma di redenzione, come se essa portasse ad un cambiamento intrinseco nella natura dell'essere. Cambiamento non solo animico, ma anche mentale e fisico. Ecco quindi che anche lo stato di ignoranza, intesa come assenza della conoscenza, comporta eguale, seppur inverso, processo plasmante della natura e della forma di ogni essere.

4. Funzione degli Arconti nell'Apocrifo di Giovanni

Jaldabaoth, il Primo Arconte, e i suoi figli, in virtù della sua discendenza da Sopia ha in se la capacità di creare, anche se è limitato in questa arte dalla propria ignoranza, e dalla degradazione generata dalla non discendenza diretta dall'Ente Supremo.

Jaldabaoth ordina il cosmo, i cieli, la terra, e il creato tutto, e pone sul trono dei cieli i suoi figli. Questa opera generativa viene interrotta dalla manifestazione del Metropator, accorso verso Sopia, immagine perfetta del Dio occulto, invisibile, Padre di tutto. Jaldabaoth e i suoi figli, e le potenze da essi generate sono basiti da tale potenza, e tremano dalla consapevolezza della loro limitatezza, a cospetto di cotanto splendore. Decidono quindi di catturare il Dio Padre, attraverso una sua immagine, l'immagine dell'Adam Terreste, specula dell'Adam Celeste: manifestazione del Metropator.

Ma tale creatura, relegata nel Paradiso Terreste, è incapace di alzarsi, e solamente la clemenza del vero Padre, attraverso il soffio di vita, le permetterà di ergersi. Cosa dedurne ? Un vaso d'acqua per essere tale, necessita di acqua.

 

5. Arcontici.

Una setta gnostica del IV secolo diffusa in Palestina ed in Armenia, fondata da un prete palestinese di nome Pietro da Cabarbaricha, il quale, deposto dal sacerdozio, si rifugiò in una comunità ebionita.

Intorno al 360, oramai in età avanzata, P. viveva, in estrema povertà, come un eremita in una caverna vicino a Gerusalemme, dove trasmise le sue dottrine ad un tale Eutatto, che le portò in Armenia.

Successivamente P. venne scomunicato da Sant'Epifanio, vescovo di Salamis (l'attuale Costanzia sull'isola di Cipro), principale fonte di informazione su questa setta.

La dottrina gnostica degli a. era basata su sette cieli, ognuno governato da un principe (in greco archon, da cui il nome della setta), circondato da angeli, carcerieri delle anime, mentre in un ottavo dimorava la Madre Suprema di Luce.

Il re o tiranno del settimo cielo era Sabaoth, il Dio dei Giudei, padre del demonio: quest'ultimo si era ribellato all'autorità del padre e aveva generato, unendosi ad Eva, Abele e Caino e quindi l'intera umanità.

Compito delle anime era di raggiungere la conoscenza (gnosi) in maniera da sfuggire il potere malvagio di Saboath e volare in ciascuno dei cieli fino a raggiungere la Madre Suprema.

Gli a. erano molto ascetici e rigoristi (digiunavano spesso e praticavano la povertà), negavano la resurrezione del corpo (ma non quella dell'anima) e condannavano i Sacri Misteri e il Battesimo, in quanto qualcosa introdotto dal tiranno Sabaoth, per tenere intrappolate le anime.

I loro testi sacri erano alcuni libri apocrifi, denominati Symphonia, Anabatikon e Allogeneis. ( tratto da www.eresie.it)

6. Una chiave di lettura

Tornando all'origine greca della parola Arconte, Magistrato, chiediamoci quale sia la funzione di tale figura divina, posta fra l'uomo e il Padre Occulto.L'Arconte è una Potenza che ha plasmato la figura umana, e dato creazione alla sua dimora terreste. Tale speculazione è valevole per ogni contesto cosmogonico e teogonico; dove gli Arconti hanno ruolo, essi sono raffigurati come quelle figure che hanno dato regole al Cosmo e al Tempo, in virtù della loro rimembranza infusa, dell'armonia e dell'ordine del Pleroma.

Nei testi classici oltre ad evidenziare gli arconti nel ruolo di creatori, seppur limitati dalla loro ignoranza e accidentalità, (il Primo Arconte è chiamato Jaldabaoth l'arrogante o Samael il cieco), si sottolinea la funzione di ostacolo che essi esercitano al ritorno dell'uomo verso il Padre Occulto. Una forza di opposizione che si esplicita attraverso il perdurare della soggezione dell'uomo alle regole del Cosmo, e delle altre strutture in esso comprese. Ed essendo la composizione occulta dell'uomo dipendente per gran parte dall'agire degli Arconti, vi è una corrispondenza naturale fra quanto vi è in noi, e quanto vi è fuori di noi. E quindi al costante richiamo che il Pneuma ci invia per spronarci al Grande Ritorno, subiamo anche la continua volontà di fascinazione alle manifestazioni di questo mondo.

Dopo questa rapidissima esposizione, la risposta che mi sono dato, e che vi offro, maturata nei miei studi e nella mia ricerca si pone su di un cardine maestro dal nome non giudizio. E' infatti inutile che l'uomo giudichi la creazione e gli Arconti, in quanto essi in realtà sono i suoi magistrati "naturali". L'uomo non è libero perchè è qui adesso, ma esattamente il contrario: questa verità è determinata dalla stessa e sola presenza dell'uomo nella sua dimora terrestre, così apparentemente lontana dalla dimora divina. E' la medesima condizione di stato che è prova del nostro difetto, quindi invece di perdersi in giudizi morali, è utile impegnarci per superare l'ostacolo che ci è posto innanzi. In quanto non a parole, ma con i fatti, rovesceremo individualmente la nostra condizione.

 



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