SIMON MAGO.
I Padri della
Chiesa
consideravano
Simon Mago come
il padre di ogni
eresia. Egli fu
contemporaneo
degli apostoli e
samaritano, e la
Samaria era
notoriamente
indisciplinata
in fatto di
religione e
guardata con
sospetto dagli
ortodossi.
Quando
l'apostolo
Filippo giunse
là a predicare
il Vangelo,
trovò il
movimento di
Simone in pieno
rigoglio, con
Simone che
diceva di se
stesso, e il
popolo con lui,
che egli era «la
Potenza di Dio,
quella che era
chiamata la
Grande» (Act.
8,10). Ciò
significa che
egli non
predicava come
apostolo, ma
riteneva se
stesso un
messia. La
storia della sua
posteriore
conversione,
sebbene non
necessariamente
quella del
battesimo, deve
essere falsa (se
in realtà il
Simone degli
Atti e
l'eresiarca dei
Padri sono una
sola e medesima
persona, ciò che
è stato messo
seriamente in
dubbio), perché
in nessun
resoconto
eresiologico
dell'insegnamento
simoniaco dal
secondo al terzo
secolo si trova
alcun indizio
che la posizione
di Gesù fosse
riconosciuta
dalla setta,
tranne il
ritenere che
Gesù era stato
una precedente
incarnazione di
Simone stesso.
In ogni modo -
anche se
facciamo
astrazione del
racconto degli
Atti in quanto
possa riferirsi
ad una persona
diversa e
assegniamo il
profeta gnostico
dello stesso
nome ad una o
due generazioni
più tardi - il
simonianismo fu
fin dal suo
sorgere, e
rimase, un
messaggio rivale
di origine
evidentemente
indipendente; in
altre parole,
Simone non fu un
cristiano
dissidente, e se
i Padri della
Chiesa ne fecero
una figura di
arcieretico,
essi
implicitamente
ammettevano che
lo gnosticismo
non era un
fenomeno interno
al
cristianesimo.
D'altra parte lo
scrittore pagano
Celso dà
testimonianza
che i termini
che Simone pare
impiegasse
parlando di se
stesso, erano
correnti con gli
pseudo-messia
che ancora
formicolavano in
Fenicia e
Palestina al suo
tempo, verso la
metà del secondo
secolo. Egli
stesso ne aveva
udito un certo
numero e ne
riferisce un
sermone tipico
(1):
«Io sono Dio (o
un figlio di
Dio, o uno
Spirito divino).
E sono venuto.
Ormai il mondo
sta per essere
distrutto. E
voi, o uomini,
dovete morire a
causa delle
vostre iniquità.
Ma voglio
salvarvi. E voi
mi vedete che
ritorno di nuovo
con potere
celeste. Beato
colui che ora mi
ha adorato! Ma
io rovescerò
fuoco eterno su
tutti gli altri,
sulle città e
sulle campagne.
E gli uomini che
non si rendono
conto dei
castighi in
serbo per loro,
invano si
pentiranno e
gemeranno. Ma io
preserverò per
sempre quelli
che si sono
lasciati
convincere da
me» (2).
Un tratto
caratteristico
del viaggio
terrestre di
Simone fu quello
di prendere con
sé una donna
chiamata Elena
che, diceva,
egli aveva
trovato in un
bordello a Tiro
e che secondo
lui era l'ultima
e infima
incarnazione del
«Pensiero»
caduto di Dio,
redenta da lui e
mezzo di
redenzione per
tutti quelli che
credevano in
entrambi. Quanto
spiegheremo in
seguito potrà
far comprendere
il significato
dottrinale di
tale
esibizionismo;
il modo
pittoresco e la
sfrontatezza
dell'esibizione
parlano già da
sé (3).
La dottrina
simoniana
sviluppata, che
sia opera sua
propria o
elaborazione
della sua
scuola, è stata
conservata da un
certo numero di
scrittori
posteriori, a
cominciare da
Giustino Martire
(egli stesso
cresciuto nel
distretto di
Samaria) fino a
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano ed
Epifanio. Una
fonte di grande
valore sono gli
scritti
intitolati
"Ricognizioni" o
"Omelie", che
passarono per
essere di
Clemente Romano
e perciò dette
«Clementine» o
«Pseudo-Clementine».
Daremo qui una
sintesi di tutte
queste notizie e
soltanto
occasionalmente
indicheremo la
fonte
particolare.
«Vi è una sola
Potenza, divisa
in superiore e
inferiore, che
genera se
stessa, accresce
se stessa, cerca
se stessa, trova
se stessa, e che
è sua madre, suo
padre..., sua
figlia, suo
figlio...,
Unica, radice
del Tutto».
Questo Unico,
dispiegato, «è
colui che sta,
stette e starà:
egli sta in alto
nella Potenza
increata, egli
stette in basso
nella corrente
delle acque
[cioè il mondo
della materia],
generato
nell'immagine;
egli starà in
alto nella
benedetta,
infinita Potenza
quando la sua
immagine sarà
perfetta»
(Hippol.,
"Refut." VI, 17,
1-3).
Come avviene
questa divisione
di sé dell'Unico
in superiore e
inferiore? In
altri termini,
come mai
l'Essere
originario ha
stabilito per se
stesso la
necessità della
sua
restaurazione
posteriore? E'
caratteristico
della
speculazione
seguente che non
sia affermato un
mondo di tenebre
e di materia
esistente
dall'origine in
opposizione
all'essere
primordiale, ma
che il dualismo
della realtà
esistente sia
derivato da un
processo interno
all'unica
divinità. E'
questo un
carattere
distintivo della
gnosi siriaca ed
alessandrina ed
un elemento di
differenziazione
dal tipo iranico
di speculazione
gnostica, che
parte da un
dualismo di
princìpi
preesistenti. La
sottilissima
descrizione
attribuita a
Simone
dell'autodivisione
dell'unità
divina si trova
relativamente
tardi, in
Ippolito, che la
copiò da un
significativo
trattato
simoniano
intitolato «La
Grande
Esposizione».
Alquanto
semplificato
dice così:
L'unica radice è
Silenzio
impenetrabile,
potenza
preesistente
senza limiti,
esistente in
singolarità.
Essa si agita e
assume un
aspetto
determinato
diventando Mente
("Nous"), da cui
ha origine il
Pensiero
("Epinoia"),
concepito nella
singolarità.
Mente e Pensiero
non sono più
uno, ma due: nel
suo Pensiero il
Primo «apparve a
se stesso da se
stesso e perciò
divenne un
Secondo». In tal
modo per l'atto
di riflessione
l'indeterminata
potenza della
Radice, che si
può descrivere
solo
negativamente,
diventa un
principio
positivo legato
all'oggetto del
suo pensare,
anche che se
tale oggetto è
lei stessa. E'
ancora Una in
quanto contiene
in se stessa il
Pensiero, ma già
divisa e non più
nella sua
primitiva
integrità. Ora,
tutto lo
sviluppo
susseguente, sia
qui che in altre
speculazioni
dello stesso
tipo, dipende
dal fatto che le
parole greche
"epinoia" ed
"ennoia", come
pure la parola
"sophia"
(sapienza) di
altri sistemi,
ancora più
frequentemente
usato, sono
femminili e lo
sono anche le
parole
equivalenti
ebraiche e
aramaiche. Il
Pensiero creato
dall'Uno
originario è
rispetto ad esso
femminile; la
Mente ("Nous")
in
corrispondenza
alla sua
capacità di
concezione
assume una
funzione
maschile. Il suo
nome diviene
«Padre» quando
il Pensiero lo
chiama così,
cioè quando si
rivolge a lui e
lo invoca nella
sua funzione
generativa.
Quindi la
separazione
originaria
proviene dal
Nous che «genera
se stesso da se
stesso rendendo
manifesto a se
stesso il suo
proprio
pensiero» (4).
L'Epinoia
manifestata
osserva il Padre
e lo nasconde in
se stessa come
potenza
creativa, e in
questa misura la
Potenza
primitiva è
attirata nel
Pensiero
formando una
combinazione
androgina: la
Potenza (o
Mente) è
l'elemento
superiore e
l'Epinoia
l'inferiore.
Sebbene
congiunti in
unità, essi sono
al tempo stesso
posti l'uno di
fronte
all'altra, e
nella loro
dualità fanno
apparire la
distanza tra di
essi. Il
principio
superiore, la
grande Potenza,
è in questa
combinazione la
Mente del Tutto,
che governa ogni
cosa ed è
maschile; il
principio
inferiore, il
grande Pensiero,
è colui che
genera tutto ed
è femminile (5).
Di qui in poi -
volgendoci ora a
fonti più
autentiche - la
figura femminile
dell'Epinoia (o,
alternativamente,
Ennoia),
ipostatizzata e
personificata,
che ha assorbito
in se stessa la
potenza
generatrice del
Padre, è il
soggetto della
ulteriore storia
divina iniziata
col primo atto
di riflessione.
Tale storia è
quella della
creazione o di
una serie di
creazioni; e la
caratteristica
gnostica
specifica del
processo
creativo è di
rappresentarlo
come progressiva
deteriorazione
(alienazione)
durante la quale
l'Epinoia,
portatrice delle
potenze
creatrici
separate dalla
loro sorgente,
perde controllo
sulle sue
proprie
creazioni e
diviene sempre
di più vittima
delle loro forze
che tendono ad
affermare se
stesse. Le più
antiche
relazioni su
Simone
riguardavano
esclusivamente
la caduta, la
sofferenza, la
degradazione e
l'eventuale
redenzione di
questa ipostasi
femminile del
divino. Questi
resoconti della
dottrina
simoniana non
riferiscono
niente di simile
alla deduzione
concettuale
della Grande
Esposizione, ma
introducono
l'entità
femminile con la
semplice
affermazione che
essa è «il primo
Pensiero della
Sua (divina)
mente, la madre
universale per
la quale fin dal
principio Egli
ebbe in mente di
creare angeli e
arcangeli». Il
racconto
prosegue:
«Questa Epinoia,
generata da Lui
(6) e
comprendente
l'intenzione del
Padre, discese
nelle regioni
inferiori e,
anticipando Lui,
generò gli
angeli e le
potenze dalle
quali è stato
fatto questo
mondo. Dopo che
li ebbe
generati, essa
fu trattenuta da
loro per
invidia, perché
non volevano
venir
considerati
progenie di
qualcun altro.
Il Padre era
loro
completamente
sconosciuto: il
suo Pensiero,
tuttavia, era
trattenuto da
quegli angeli e
potenze emanate
da lei ed era
trascinato giù
dai cieli
eccelsi fino nel
cosmo. Essa
pativa ogni
sorta di
maltrattamenti
da parte loro,
affinché non
potesse tornare
in alto dal
Padre, fino al
punto che fu
rinchiusa in
carne umana e
migrò per secoli
di vaso in vaso
in differenti
corpi femminili.
E poiché tutte
le Potenze se ne
contendevano il
possesso, lotta
e guerra si
scatenarono tra
le nazioni
ovunque essa
appariva. Così
essa fu anche
quell'Elena per
la quale si
combatté la
guerra troiana,
e in tal modo
Greci e barbari
contemplarono un
fantasma della
verità. Migrando
di corpo in
corpo, soffrendo
ingiuria in
ciascuno, essa
alla fine
divenne una
donna di
malaffare in un
bordello, e
questa è la
'pecora
perduta'» (7).
Per lei Dio
discese nella
persona di
Simone; e un
punto essenziale
nel vangelo di
quest'ultimo
consiste
precisamente nel
dichiarare che
la donna di
malaffare
proveniente da
Tiro, che
viaggiava con
lui, era
l'Ennoia caduta
del Dio supremo,
ossia di se
stesso, e che la
salvezza del
mondo era legata
alla redenzione
di lei per opera
sua. Dobbiamo
aggiungere qui
al racconto
citato da Ireneo
(et al.) che
ogni «Egli» o
«Suo» riferito
al Padre divino
era «Io»,
eccetera, nelle
parole di
Simone; cioè
egli dichiarava
se stesso il Dio
del principio
assoluto, «Colui
che sta», e
raccontava la
generazione
dell'Ennoia, la
creazione degli
angeli per mezzo
di lei, e
indirettamente
persino la
creazione non
autorizzata del
mondo attraverso
loro, come suoi
propri atti.
«Perciò [egli
dice] egli
venne, per prima
cosa per
risvegliare lei
e liberarla dai
suoi legami, e
poi per portare
la salvezza a
tutti gli uomini
per mezzo della
conoscenza di
lui. Poiché,
siccome gli
angeli
governavano
malamente il
mondo, perché
ciascuno di essi
bramava la
superiorità
sugli altri,
egli era venuto
per raddrizzare
le cose, ed era
disceso
trasformando e
assimilando se
stesso alle
virtù, alle
potenze e agli
angeli, cosicché
(eventualmente)
egli apparve
come uomo tra
gli uomini,
sebbene non
fosse uno di
essi, e si pensò
che avesse
patito in
Giudea, sebbene
non abbia
patito». (Il
riferimento a
Gesù è più
chiaramente
specificato
quando Simone
asserisce che
egli, la potenza
suprema, è
apparso in
Giudea come
Figlio, in
Samaria come
Padre e in altre
nazioni come
Spirito Santo.)
La
trasformazione
del salvatore
nella discesa
attraverso le
sfere è un
motivo diffuso
dell'escatologia
gnostica, e
Simone stesso ne
dà la seguente
descrizione
secondo
Epifanio:
«In ogni cielo
ho assunto una
forma
differente,
secondo la forma
degli esseri in
ogni cielo, per
poter rimanere
nascosto agli
angeli che
governavano e
discendere fino
all'Ennoia, che
è chiamata anche
Prunikos (8) e
Spirito Santo,
per mezzo della
quale ho creato
gli angeli, i
quali a loro
volta hanno
creato il mondo
e gli uomini»
(Haer. XXI, 2,
4).
Per continuare
il racconto di
Ireneo:
«I profeti hanno
pronunziato le
loro profezie
ispirati dagli
angeli che hanno
fatto il mondo;
perciò coloro
che hanno posto
la loro speranza
in lui stesso e
nella sua Elena
non hanno
bisogno di farvi
attenzione e
possono fare
liberamente
quello che a
loro piace.
Perché gli
uomini sono
salvati dalla
sua grazia, non
dagli atti
virtuosi. Perché
le opere non
sono buone (o
cattive) per
loro natura, ma
per disposizione
esterna: gli
angeli che hanno
fatto il mondo
le decretano
tali per mezzo
di precetti di
tal fatta allo
scopo di
asservire gli
uomini. Perciò
egli ha promesso
che questo mondo
sarebbe dissolto
e che il suo
mondo sarebbe
liberato dal
dominio di
coloro che hanno
fatto il mondo»
(Iren., "Adv.
Haer." I, 23,
2-3).
L'Elena di
Simone era anche
chiamata
"Selene" (Luna),
appellativo che
suggerisce la
derivazione
mitologica della
figura
dall'antica dea
Luna (9).
Ugualmente il
numero di trenta
discepoli
ricordato nelle
"Ricognizioni"
indica
un'origine
lunare. Questo
tratto, come
vedremo in
seguito, è
rimasto nella
speculazione dei
Valentiniani
intorno al
pleroma, dove
Sofia e il suo
consorte sono
gli ultimi due
di trenta Eoni.
Il fondamento
per trasferire
il tema lunare
al simbolismo
della salvezza
sta nel
decrescere e
crescere della
luna, che
nell'antica
mitologia della
natura era a
volte
rappresentata
come un ratto e
un ritrovamento.
Nella
spiritualizzazione
gnostica, «Luna»
è semplicemente
il nome
esoterico della
figura: il suo
vero nome è
Epinoia, Ennoia,
Sofia e Spirito
Santo. La sua
rappresentazione
come cortigiana
è intesa a
mostrare fino a
quale profondità
il principio
divino è caduto
dopo essere
stato
invischiato
nella creazione.
Le controversie
delle
Pseudo-Clementine
mettono in
evidenza
l'aspetto
antigiudaico
dell'insegnamento
di Simone.
Secondo tale
fonte egli
professa «una
Potenza di
incommensurabile
e ineffabile
luce, la cui
grandezza sta
nel fatto di
essere mantenuta
incomprensibile,
la quale Potenza
è sconosciuta
persino al
creatore del
mondo, al
legislatore Mosè
e al vostro
Maestro Gesù»
(Recogn. II, 49)
In questo
contesto
polemico egli
scelse il più
eccelso degli
angeli, quello
che creò il
mondo e lo
divise tra loro,
e identificò
questo capo con
il Dio dei
Giudei: delle
settantadue
nazioni della
terra il popolo
ebreo toccò in
sorte a lui
(loc. cit. 39)
(10). Talvolta,
tralasciando la
figura
dell'Ennoia,
egli afferma
semplicemente
che questo
demiurgo è stato
mandato in
origine dal Dio
buono per creare
il mondo, ma che
in seguito ha
stabilito se
stesso come una
divinità
indipendente,
ossia ha dato ad
intendere di
essere
l'Altissimo ed
ha trattenuto
prigioniere
nella creazione
le anime che
appartengono al
Dio supremo
(loc. cit. 57).
Il fatto che
quello che è
detto altrove
del rapimento
dell'Ennoia sia
riferito qui
alla pluralità
delle anime,
mostra che
l'Ennoia è
l'anima in
generale, come
abbiamo già
riscontrato, per
esempio, nel
Salmo dei
Naasseni: la sua
incarnazione
nell'Elena di
Tiro è un tratto
aggiunto,
caratteristico
di Simone.
Per quanto
riguarda il
carattere del
dio del mondo,
Simone - come
fece in seguito
Marcione con
particolare
veemenza -
dimostra la sua
inferiorità in
base alla
creazione e ne
determina la
natura, in
contrasto con la
«bontà» del Dio
trascendente,
come qualità
della
«giustizia»
intesa in senso
deteriore,
com'era la moda
del tempo. (Ci
soffermeremo più
a lungo su tale
contrasto quando
tratteremo di
Marcione.)
Abbiamo già
visto che
l'antinomismo
proveniente da
tale
interpretazione
del dio del
mondo e della
sua legge porta
direttamente al
libertinismo,
che troveremo in
altri sistemi
gnostici come
una dottrina
pienamente
sviluppata.
Per concludere,
riportiamo
quello che
Simone ha detto
a Pietro circa
la novità del
suo
insegnamento:
«Tu in verità,
come uno che sia
continuamente
stupefatto, per
così dire chiudi
le orecchie
perché non
possano essere
contaminate
dalla bestemmia
e corri via, non
trovando niente
da replicare; e
il popolo
incapace di
pensare
acconsente e ti
approva come uno
che insegna ciò
che è noto a
loro: invece
essi esecreranno
me come uno che
professa una
novità mai
udita» (loc.
cit. 37).
Questo discorso
suona troppo
vero perché
possa essere
stato inventato
da un oppositore
come l'autore
delle
Clementine:
dispute di tal
genere devono in
realtà aver
avuto luogo, se
non tra Simone e
Pietro stesso,
almeno tra
qualcuno dei
loro seguaci
della prima o
seconda
generazione, e
in seguito
attribuite ai
protagonisti
principali. Qual
era dunque la
«novità mai
udita»? In
ultima analisi,
niente altro che
la professione
di una potenza
trascendente
oltre il
creatore del
mondo, la quale
può nello stesso
tempo apparire
nel mondo, anche
nelle forme più
vili, e,
conosciutolo,
può
disprezzarlo. In
breve, la novità
mai udita è una
rivolta contro
il mondo e il
suo dio nel nome
di un'assoluta
libertà di
spirito.
Simone viaggiò
dappertutto come
un profeta,
operatore di
miracoli e mago,
si direbbe, con
molto
ciarlatanismo.
Le fonti
esistenti
naturalmente,
essendo
cristiane, non
tracciano un
ritratto molto
simpatico del
personaggio e
delle sue gesta.
Secondo esse,
egli diede
spettacolo anche
alla corte
imperiale di
Roma e fece una
brutta fine là
mentre compiva
il tentativo di
volare (11). E'
interessante
notare, sebbene
ciò si ricavi da
un contesto
molto lontano
dai nostri, come
negli ambienti
latini Simone
usasse il
cognome di "Faustus"
(«il
fortunato»):
questo dimostra
chiaramente,
insieme al fatto
che il suo
cognome abituale
era «il Mago» ed
era sempre
accompagnato da
un'Elena, da lui
proclamata
rinata Elena di
Troia, che qui
abbiamo una
delle fonti
della leggenda
di Faust del
principio del
Rinascimento.
Sicuramente
pochi degli
ammiratori delle
opere di Marlowe
e di Goethe
hanno avuto
sentore che il
loro eroe è il
discendente di
una setta
gnostica e che
la bella Elena
richiamata dalle
sue arti è stata
una volta il
Pensiero di Dio,
caduto e
risorto, per
mezzo del quale
l'umanità doveva
essere salvata
(12).