Trattare
approfonditamente
il culto solare
nelle diverse
mitologie e
religioni
richiederebbe lo
spazio di una
enciclopedia.
Basti pensare
all’importanza
del culto solare
nell’antico
Egitto, presso
le civiltà
mesoamericane
(in particolare
per gli Incas, i
Toltechi e gli
Aztechi), in
India, nella
civiltà
Assiro-Babilonese,
presso i greci,
nella mitologie
celtica, artica
e nord asiatica,
e al culto
orientale del
dio-Sole Mitra,
che per alcuni
secoli divenne
la religione
ufficiale
dell’Impero
Romano.
Ci limiteremo
quindi in questo
articolo ad
alcuni aspetti
del simbolismo
solare e ad
alcune civiltà
più vicine alla
storia
dell’Occidente.
Alcune
associazioni
simboliche tra
il Sole e
qualità come
selettività,
coraggio,
intelletto,
chiarezza,
creatività,
immortalità,
immutabilità
sono pressoché
universali. Le
ultime due
caratteristiche
sono spesso alla
base di
proprietà meno
evidenti, che
molte civiltà
(ad esempio i
greci ed alcune
tribù
australiane)
hanno attribuito
al Sole. Poiché,
a differenza
della Luna, che
nel corso di un
mese muta il suo
aspetto fino ad
oscurarsi
completamente,
“morendo” e poi
rinascendo, il
Sole conserva,
un giorno dopo
l’altro, il suo
aspetto
immutato, gli
viene attribuita
la capacità di
attraversare
l’Oltretomba
senza subirne le
conseguenze,
senza conoscere
la morte. Quando
il Sole cala
oltre
l’orizzonte, al
tramonto, si
immagina che
attraversi il
regno dei morti
e, quando
riappare
all’alba, che ne
sia uscito
vittorioso e
indenne. Spesso
allora il Sole è
visto come
psicopompo,
colui che
accompagna le
anime dal regno
dei vivi a
quello dei
morti, dalla
veglia al sonno
e viceversa.
Un analoga
associazione
viene fatta
durante il corso
dell’anno: dal
solstizio di
inverno a quello
estivo le ore di
luce crescono e,
viceversa, dal
solstizio estivo
a quello
invernale
diminuiscono.
Questo fenomeno
naturale ha
determinato una
visione del
microcosmo e del
macrocosmo
secondo la quale
i solstizi sono
due porte dalle
quali la Luce e
l’Ombra fanno
irruzione nel
mondo. Anche i
12 mesi
dell’anno, in
questa visione,
vengono intesi
come altrettante
tappe che il
Sole deve
percorrere
durante il suo
percorso e le
dodici
costellazioni
che sorgono
all’orizzonte
all’alba durante
questi mesi,
dall’Ariete ai
Pesci, divengono
simboli delle
“prove” che il
Sole dovrà
superare per
completare il
suo cammino.
Nella mitologia
greca (ma anche
in quella
assiro-babilonese)
l’uomo paragona
se stesso al
Sole: anche gli
esseri umani nel
loro cammino
evolutivo (che
comprende
talvolta anche
il percorso
sotterraneo
dell’anima
nell’Oltretomba
che condurrà
alla rinascita)
devono superare
12 prove
indicate dai 12
segni dello
zodiaco celeste.
Chi riuscirà in
questa impresa
(le 12 “fatiche”
di Ercole e di
Gilgamesh)
diverrà un eroe
solare,
conquisterà
l’immortalità,
avrà percorso
vittoriosamente
la via di
integrazione
dell’Ombra.
Si tratta del
percorso di
iniziazione ai
culti solari:
ognuna delle
dodici prove è
legata a una
qualità che
l’iniziato
acquisirà solo
dopo averla
superata. Tracce
di queste
antiche credenze
sono sedimentate
nelle tradizioni
e nel folklore
popolari e in
particolare nel
culto del
Natale, giorno
della rinascita
del Sole
invincibile che
riemerge dal
mondo delle
tenebre
determinando una
durata maggiore
delle ore di
luce che erano
andate
decrescendo fino
al giorno del
solstizio (il
“Ramo d’oro” di
Frazer è una
vera e propria
miniera a questo
proposito).
Nella tradizione
alchemica
occidentale le
dodici stazioni
del Sole hanno
spesso questo
stesso
significato:
sono altrettante
porte che
l’alchimista
deve superare
per conseguire
la Grande Opera,
altrettante
trasformazioni
che la Materia
Prima dovrà
subire prima di
poter diventare
Pietra
Filosofale.
Si pensi ad
esempio a
trattati
alchemici come
“Le 12 chiavi
della filosofia”
di Basilio
Valentino o alle
“Dodici porte
dell’alchimia”
di George
Ripley.
Anche la vita
del Cristo
(legato alla
simbologia
lunare, come del
resto Osiride,
per il suo
destino di morte
e resurrezione)
è stata messa in
relazione con
questo
simbolismo.
Le due porte dei
solstizi hanno
significati
simbolici non
troppo distanti
tra loro sia
nella tradizione
cristiana che in
quella induista:
nelle Upanishad
il solstizio di
inverno viene
assimilato alla
porta dalla
quale le anime
dei saggi yogin
escono dalla
catena delle
rinascite per
non ritornare
più in questo
mondo, mentre la
porta del
solstizio di
estate è quella
che devono
varcare le anime
ancora legate a
questo mondo
“lunare” e
illusorio per
tornare a
reincarnarsi in
una nuova
esistenza: “Prajapati
è invero l’anno,
due sono le sue
vie: una verso
il sud, l’altra
che volge a
nord. Coloro i
quali
considerano come
atto il
compimento dei
sacrifici e dei
doveri
religiosi,
costoro
conseguono il
mondo lunare e
di nuovo tornano
quaggiù. Questo
è il motivo per
cui i saggi che
desiderano prole
procedono per il
cammino che mena
a sud. La
fruizione del
mondo dei sensi
è infatti la via
dei padri.
Coloro i quali,
invece, avendo
ricercato per la
via del nord il
proprio Sé
mediante ascesi,
studio, fede,
conoscenza,
conseguono il
Sole; costoro
invero non
ritornano più
quaggiù perché
hanno raggiunto
la sede dei
soffi vitali che
è l’immortalità,
la non-paura, il
fine supremo.
Questa è
l’estinzione del
ciclo della
rinascita.”
[Prasna
Upanishad 1.9 e
1.10]
Nella tradizione
cristiana
troviamo due
porte che sono
spesso
rappresentate in
bassorilievo
sulla facciata
delle cattedrali
gotiche (ad
esempio a
Chartres). Una
porta viene
detta “della
vergine folle”,
raffigurata come
colei che
dissipa il
contenuto di un
calice
rovesciandolo in
terra, e una
porta detta
“della vergine
saggia”, che ha
cura del
calice e ne
custodisce il
contenuto senza
versarlo.
Si tratta di
nuovo delle due
porte
solstiziali e
quella legata al
solstizio estivo
è quella che si
colora di
significati
negativi. René
Guenon esaminò
questo
simbolismo delle
due porte nella
sua opera “I
simboli della
scienza sacra”
dedicando anche
un breve saggio
alle due feste
di san Giovanni,
quella invernale
e quella estiva.
La tradizione
alchemica ha
attraversato e
si è intersecata
con la
tradizione e col
simbolismo
cristiano, come
un fiume
sotterraneo che
a tratti
ricompaia a
cielo aperto.
L’Opus
alchemicum è
noto come Opera
del Sole e il
segreto più
gelosamente
custodito tra
quelli che gli
scritti
alchemici
ri-velano è che
esiste qualcosa
che la Natura ha
orientato verso
l’esterno e che
l’Arte alchemica
deve rovesciare
verso l’interno:
“…L’esterno è
portato
all’interno,
l’interno è
manifestato
all’esterno…per
questo è
chiamato Oro
Probo” dice
Isacco
l’Olandese, e
Huginus a Barma
aggiunge: “A
meno di non
invertire
l’ordine della
Natura, voi non
genererete
dell’oro che
prima non sia
stato
argento…Nulla di
estraneo entra
nella nostra
Opera, essa non
ammette e non
riceve nulla che
provenga da
altrove”. Non
per nulla
l’Opera
alchemica veniva
anche denominata
“Opus contra
Naturam”.
Scorgendo
significati
analoghi nel
simbolismo
cristiano,
l’alchimista
Esprit Gobineau
de Montluisant
in un suo
trattatello sui
bassorilievi
della facciata
di Notre Dame a
Parigi, fa
notare una
strana
inversione tra i
segni zodiacali
del Cancro e del
Leone…
Si associano
erroneamente le
divinità solari
solo alla luce,
all’intelletto,
alla forza
vitale. Si
dimentica che
Apollo era anche
dio dei
serpenti, della
mantica e degli
oracoli
enigmatici,
della
divinazione
delle Sibille,
era il dio che
aveva il potere
di diffondere le
epidemie.
Nelle
iniziazioni del
mondo antico la
via solare
prevedeva una
discesa nelle
tenebre
dell’Oltretomba
e l’incontro con
una entità
pericolosa e
tenebrosa che
l’adepto doveva
affrontare
vittoriosamente.
Questa discesa
veniva
rappresentata
ritualmente
nell’antica
Grecia con la
danza del
labirinto (cfr.
K. Kerenyi, “Nel
labirinto”). I
danzatori
percorrevano una
spirale
concentrica che
conduceva al
centro del
labirinto
tenendo in mano
una corda che
rappresentava un
raggio di sole.
Le volute del
labirinto, i
cerchi
concentrici
della spirale,
non erano altro
che una
rappresentazione
simbolica degli
archi descritti
dal sole
nell’avvicendarsi
dei giorni,
sempre più
piccoli man mano
che si procede
dal solstizio
estivo a quello
invernale. Al
centro del
labirinto c’era
il Minotauro ad
attendere i
danzatori ed
aveva luogo una
lotta rituale
che terminava
con la sconfitta
dell’essere
teriomorfo. Uno
psicanalista
junghiano oggi
direbbe che la
lotta terminava
con
l’integrazione
del principio
ombroso e ctonio
della
personalità,
incarnato dal
Minotauro. Poi i
danzatori
cambiavano senso
di rotazione, la
spirale si
svolgeva e si
allargava e,
alla fine, si
trasformavano in
gru (la danza
prendeva,
appunto, il nome
di “Danza delle
Gru”) e volavano
verso il
giardino delle
Esperidi dove si
cibavano delle
mele
dell’immortalità.
Chiunque abbia
visitato il
museo di Atene
sa che sui vasi
funerari
appaiono
labirinti,
doppie spirali,
uccelli palustri
e svastike.
Questi simboli
alludono alla
Danza delle Gru,
che riguardava
sia gli iniziati
ai Misteri che
coloro che
varcano i
cancelli
dell’Ade e
affrontano
l’Oltretomba. Le
svastike sono
solo una
variante del
simbolismo di
cui abbiamo
parlato, perché,
a seconda del
senso di
rotazione,
rappresentano
l’avvolgersi
della spirale e
l’incontro col
princìpio
oscuro, ossia il
cammino del Sole
dopo il
solstizio
estivo, oppure
il suo
svolgersi, che
ha termine col
volo delle gru
verso le
Esperidi.
Anche nei
Misteri di
Dioniso e di
Osiride questi
dèi conoscevano
un destino di
morte e
resurrezione, di
smembramento e
ricostituzione
delle parti e,
nel caso di
Dioniso,
l’artefice della
rinascita del
dio era suo
fratello Apollo,
il Sole.
E’ probabile che
le dodici
fatiche di
Ercole fossero
anche le dodici
prove che gli
adepti dovevano
affrontare prima
di potersi dire
iniziati. Si
tratta quindi di
dodici allegorie
che parlano
all’anima
attingendo il
loro significato
da ciò che
accade alla
terra durante
l’avvicendarsi
delle stagioni.
Nel linguaggio
dei simboli il
mondo è un
“Mutus liber”
che parla
all’eroe solare
indicandogli la
via verso la
Liberazione.
Ritroviamo gli
stessi temi
anche nel culto
Mitraico, culto
solare per
eccellenza nel
mondo antico.
Tra il II e il
III secolo D.C.
il mitraismo era
diventato il
culto ufficiale
dell’Impero
romano (per lo
meno
dell’esercito
romano) e Franz
Cumont, uno dei
maggiori storici
del mitraismo,
scriveva,
citando Ernest
Renan, che “se
il cristianesimo
non fosse mai
nato, oggi
l’umanità
sarebbe mitraica”.
Nel culto di
Mitra, che aveva
origini
persiane,
l’universo era
teatro di una
lotta titanica
tra le forze del
bene,
impersonate dal
dio del cielo
Ahura Mazda, e
le forze del
male e delle
tenebre,
impersonate da
Ahriman. L’uno e
l’altro
disponevano,
rispettivamente,
di schiere di
angeli e demoni.
Mitra era un dio
del sole
interiore,
schierato con le
forze angeliche
della luce
contro le
tenebre e il
male. Questo
carattere
“guerriero”
della teologia
persiana
contribuì a
determinarne il
successo presso
i militari
romani. Mitra
faceva parte di
una trinità con
Cautes e
Cautopates, i
dadofori o
portatori di
fiaccola, due
“doppi” di Mitra
raffigurati uno
(Cautes) con una
fiaccola alzata
e un gallo
(alba,
primavera-estate,
giovinezza,
crescita e
maturità),
l’altro
(Cautopates) con
la fiaccola
abbassata e uno
scorpione
(tramonto,
autunno-inverno,
vecchiaia,
declino e
morte). Il culto
mitraico si
configurava come
una vera e
propria
religione
dell’astrologia
e gli dèi
venerati erano i
dodici segni
dello zodiaco ,
i sette
pianeti allora
noti, le quattro
stagioni e le
personificazioni
delle varie
suddivisioni del
tempo (secoli,
anni, mesi,
stagioni, ore).
Maestro del
Tempo e dei suoi
cicli era un dio
chiamato Zurvan,
o Saeculum, o
Aion o Cronos,
rappresentato
come un uomo
alato con la
testa di leone,
che aveva in una
mano un fulmine
e nell’altra le
chiavi che
aprono le porte
del cielo.
L’ascesa
dell’anima,
l’attraversamento
delle porte dei
cieli, era
spesso
simboleggiata
nei templi da
una scala con
otto gradini,
ognuno di un
metallo diverso.
Questa stessa
scala, queste
stesse porte,
dovevano essere
attraversate
dagli iniziati
ai Misteri di
Mitra durante la
vita. I gradi
iniziatici erano
sette, ciascuno
legato a un
pianeta e spesso
durante le
cerimonie gli
iniziati
indossavano
maschere di
animali (in
particolare i
Corvi e i
Leoni). I preti
erano scelti tra
i Patres, il
massimo grado
iniziatico del
mitraismo.
Dal grado di Leo in
poi, gli
iniziati
partecipavano
alla comunione
con acqua e vino
e i pani erano
marcati con una
croce. Il pane e
il vino venivano
assimilati al
midollo e al
sangue del toro
celeste (che si
trasformavano in
pane e in vino
durante il rito
mitraico
dell’uccisione
del toro).
Il prete di
Mitra, capo
della piccola
comunità di
fedeli che si
riuniva nel
mitreo, (i Pater,
venivano detti
anche Magi)
vegliava su un
fuoco perpetuo
che bruciava
sull’altare.
Accanto al fuoco
compivano le
cerimonie di
saluto al sole.
Invocavano ogni
giorno della
settimana come
pianeta in un
luogo
particolare
della cripta e
ogni mese
offrivano
sacrifici al
corrispondente
segno dello
Zodiaco, e
solenni
cerimonie
avevano luogo ai
solstizi e agli
equinozi.
Durante la messa
mitraica, al
suono delle
campanelle,
veniva scoperta
la statua del
taurobolio e
mediante un
tabernacolo
mobile, venivano
mostrati i vari
episodi della
vita del dio
Mitra,
illustrati dal Pater.
A questo
proposito i magi
mitraici
narravano agli
iniziati un
ciclo di
leggende sul dio
Mitra: il dio
nasceva nella
notte del 25
dicembre (giorno
natale del sole
invitto) da una
pietra (era
chiamato θεος
εχ πέτρας e
si adorava nei
suoi sacrari
un’immagine
della pietra
generatrice), in
una grotta o
sotto un albero
sacro di fico al
bordo di un
fiume,
stringendo in
una mano il
coltello
sacrificale e
nell’altra una
torcia. Una
seconda leggenda
sulle origini di
Mitra narrava
che egli fosse
nato in una
grotta da una
vergine. Il dio
veniva anche
rappresentato
nell’atto di
scagliare una
freccia contro
una roccia, da
cui poi
scaturiva
dell’acqua.
Il primo atto
che lo
rappresenta in
un mito è la
lotta con Elios
o Apollo, cioè
con il Sole. Uno
degli enigmi
principali della
religione
mitraica è
proprio il fatto
che Apollo e
Mitra erano due
distinte
divinità,
entrambe
raffiguranti il
sole, che
dovevano
riconciliarsi e
“fare amicizia”.
Dopo aver
lottato con il
Sole (lo
colpisce con una
sorta di
sacchetto di
monete), Mitra
riceve da Elios
una corona e
diviene suo
amico (sono
rappresentati
nell’atto di
stringersi la
mano destra). Da
allora
condivideranno
le imprese e si
aiuteranno l’un
l’altro. Questa
armonia
raggiunta tra i
due aspetti del
Sole, quello
sotterraneo (le
grotte del culto
del dio Mitra) e
quello
esteriore,
spiega perché
Mitra,
l’invincibile,
venisse invocato
sia nei
combattimenti
esterni, che in
quelli interiori
(contro le forze
delle tenebre
inviate da
Ahriman) e fosse
collegato sia
con il
mezzogiorno che
con la
mezzanotte.
Nessun testo
scritto ci è
pervenuto e le
leggende sono
desunte
unicamente dalle
immagini dipinte
nelle grotte. Le
altre fonti sono
le invettive
cristiane contro
i riti mitraici
– molto simili a
quelli cristiani
– ad es. “Contro
Celso”. La più
importante tra
le leggende
narrate dai magi
riguardava il
duello di Mitra
con il Toro
Celeste, il
primo essere
creato da Ahura
Mazda.
Apparentemente è
proprio Elios
che incarica
Mitra di
catturare il
Toro celeste.
Dopo una lunga
lotta, Mitra
riesce ad
afferrare il
toro per le
corna. Il toro,
legato, è
condotto dal
dio, che cammina
all’indietro,
nella caverna
dove Mitra
abita. La strada
è disseminata di
prove che il dio
deve affrontare
Questa
traversata (transitus)
era paragonata
alle prove
affrontate dai
neofiti
nell’iniziazione.
Il toro,
tuttavia, riesce
a fuggire. Il
Sole-Elios invia
allora a Mitra
il suo
messaggero, il
corvo, con
l’ordine di
uccidere il
toro. Mitra
compie questa
missione
controvoglia, ma
si sottomette
agli ordini
celesti e, con
l’aiuto del
cane, suo fido
compagno,
insegue il toro
e lo sacrifica
mentre questo
sta rientrando
nella grotta.
Dal corpo della
vittima nascono
allora le erbe e
le piante
salutari che
fanno fiorire la
terra (il grano
dalla coda-spina
dorsale, il vino
dal sangue). Gli
inviati
dell’oscurità,
di Ahriman, lo
scorpione, il
serpente e la
formica, tentano
di nutrirsi del
liquido seminale
del Toro (in
particolare lo
scorpione) e di
succhiare il
sangue della
bestia morente.
Anche il cane
lecca il sangue
del toro. Il
seme del toro,
raccolto dalla
luna, produce
tuttavia le
specie animali,
e la sua anima,
condotta dal
cane, viene
elevata in cielo
e divinizzata
come “Pan” o
“Silvano”,
guardiano delle
greggi.
Alla fine dei
tempi il toro
scenderà dal
cielo e i morti
risorgeranno
dalle tombe per
il giudizio
finale. Allora
Mitra
sacrificherà di
nuovo il Toro
Divino e farà
libagioni con il
vino che dà
l’immortalità, e
Ahriman e le
forze del male
saranno
definitivamente
sconfitti. Nella
genesi mitraica
la prima coppia
umana viene
chiamata
all’esistenza
dopo il
taurobolio.
Ahriman tenta di
annientarla con
la siccità, ma
Mitra fa
sgorgare l’acqua
da una roccia,
colpendola con
una freccia.
Dopo l’uccisione
del toro, Mitra
è rappresentato
in una “ultima
cena” mistica
con pane e vino,
con Helios e i
vari gradi
iniziatici del
culto. Quindi
ascende al
cielo. Dal cielo
continuerà ad
aiutare gli
uomini.
Gli animali che
compaiono nella
vicenda del
taurobolio
corrispondono
tutti ad
altrettante
costellazioni,
tutte comprese
tra la
costellazione
della Vergine e
quella dello
Scorpione. Tra
gli animali
inviati da
Ahriman, lo
scorpione
rappresenta
simbolicamente
la sensualità,
la formica
l’avidità e
l’accumulazione,
il serpente
l’attaccamento
alla terra e le
illusioni della
mente. Il cane,
amico di Mitra,
rappresenta
invece gli
istinti
addomesticati
dall’uomo.
Comandamenti per
gli iniziati,
che
periodicamente
assistevano ad
autentici
tauroboli e
venivano
inondati dal
sangue
dell’animale
ucciso, erano la
purezza
(purificazioni),
l’astinenza da
certi alimenti,
e la continenza
assoluta,
potendo la
sessualità
essere
utilizzata da
Ahriman come suo
strumento.
Vorremmo
attirare
l'attenzione sui
principali punti
che
caratterizzano i
misteri
mitraici:
1. Apollo
e Mitra
rappresentano
due aspetti del
Sole e la loro
lotta appare
come una lotta
per
l’integrazione
tra l’interno e
l’esterno
dell’uomo.
2. Il
Toro come
mistero
dell’incarnazione
dello spirito,
resa possibile
dall’unione
dell’anima con
il corpo: vivere
con profondità e
completezza la
propria
incarnazione,
come un “inziato”,
richiede una
lotta vittoriosa
tra Elios e
Mitra. Per i
Cretesi ciò
corrispondeva a
percorrere il
labirinto
dell’azione, che
presenta sempre
due aspetti, uno
rivolto verso
l’esterno e uno
verso l’interno
(si rifletta
sulla probabile
etimologia del
termine
“labirinto”: da Labrys o Lobra,
“segno delle
doppia ascia”) .
Nel labirinto si
cela il
Minotauro
(chiamato anche Asterion,
la stella), che
deve essere
sconfitto, cioè
integrato,
perché l’animus umano
di Arianna
(Teseo) divenga
divino
(Dioniso).
Quindi Mitra
dopo aver
lottato con Elio
ed averlo vinto
incorona il dio
del Sole e
stringe un patto
con lui.
Il toro
rappresentava,
per i seguaci di
Mitra, non solo
la scaturigine
delle energie
vitali,
l’origine della
fertilità, ma
anche il corpo
psichico
sottile. Per un
culto che si
fondava sulla
dottrina della
metempsicosi,
della
trasmigrazione
delle anime, il
corpo sottile
era infatti il
risultato delle
azioni compiute
e
dell’attaccamento
dell’uomo al
frutto di quelle
azioni. Non a
caso Mitra, che
sacrifica il
toro, è un dio
guerriero ed è
il fondatore di
una “cavalleria
spirituale”
(evidente nei
gradi iniziatici
del Perses e
dell’Heliodromos).
3. Il
taurobolio. Cosa
deve fare
l’uomo, avvinto
alla terra dalla
forza delle sue
identificazioni
con oggetti,
persone, ruoli,
tratti del suo
carattere, con
il suo stesso
corpo? Perché il
sacrificio,
l’offerta del
toro rende
“fertile”
l’iniziato e
dona alla sua
anima l’energia
per unirsi ai
livelli più
sottili
dell’essere?
Cosa rappresenta
simbolicamente
la ferita che
Mitra infligge
al toro, cosa il
sangue del toro
e cosa il
coltello
sacrificale
impugnato dal
dio?
E' presumibile
che il percorso
dell'Eroe solare
abbia
rappresentato
per il mondo
antico un punto
di riferimento
spirituale, un
modello di
comportamento
capace di
indicare una via
di evoluzione
per le energie
maschili.
Oggi non abbiamo
più nulla di
simile. Abbiamo,
è vero, la
possibilità
della Imitatio
Christi, ma
troppo spesso il
percorso di
trasformazione
suggerito dalla
vicenda del
Cristo è mal
compreso o del
tutto ignorato.
L'unico modello
operante per
molti è quello
della
autoaffermazione,
del successo a
tutti i costi,
dell'apparire
che occulta
l'essere.
Abbiamo forse
perduto la Via
suggerita per
millenni agli
uomini dai
processi
naturali, dai
segni celesti e
dal cammino del
sole?