Il metodo di
Mani; la sua
vocazione.
Col sistema
valentiniano
abbiamo imparato
a conoscere il
vertice toccato
dal tipo
siro-egiziano di
speculazione
gnostica. Il suo
opposto per il
tipo iranico è
il sistema di
Mani. Sebbene
abbia avuto
origine un
secolo più
tardi, esso
rappresenta per
il suo contenuto
teoretico, in
ragione del tipo
come tale e
nonostante
l'alto grado di
elaborazione, un
livello più
arcaico di
pensiero
gnostico. In
realtà il
semplice e
schietto
dualismo
«zoroastriano»
dei due princìpi
opposti e
coeterni, che
Mani assume come
punto di
partenza, rende
inutile il
compito
teoretico di
sviluppare il
dualismo stesso
in una storia
trascendentale
interna, impresa
che provocò le
sottigliezze
della
speculazione
valentiniana.
D'altra parte, e
forse proprio
per tale
ragione, quello
di Mani è
l'unico sistema
gnostico che
divenne una
forza storica di
ampia portata, e
la religione
basata su di
esso, nonostante
il suo tramonto
finale, dev'essere
annoverata tra
le maggiori
religioni
dell'umanità.
Mani infatti,
solo tra i
fondatori di
sistemi
gnostici, "ebbe
intenzione" di
fondare una
nuova religione
universale, e
non raccogliere
un gruppo scelto
di iniziati;
perciò la sua
dottrina, a
differenza
dell'insegnamento
di tutti gli
altri Gnostici,
ad eccezione di
Marcione, non
contiene niente
di esoterico. I
Valentiniani si
consideravano
una "élite" di
persone che
hanno la
scienza, i
«pneumatici»,
separati a
ragione della
profondità della
conoscenza dalla
gran massa dei
cristiani di
semplice fede; e
la loro esegesi
pneumatica della
Scrittura
sottolineava la
differenza tra
il significato
manifesto
accessibile agli
«psichici» e
quello nascosto
riservato a loro
stessi.
Il compito di
Mani non fu
quello di
penetrare gli
aspetti segreti
di una data
rivelazione e di
stabilire una
minoranza di
alta iniziazione
all'interno di
una chiesa già
esistente, ma
piuttosto quello
di fornire una
nuova
rivelazione, un
nuovo corpo di
Scrittura, e
gettare le
fondamenta di
una nuova chiesa
che avrebbe
dovuto
soppiantare ogni
altra esistente
ed essere
altrettanto
ecumenica quanto
la Chiesa
cattolica
affermava di
essere. Di fatto
il manicheismo
fu per un certo
tempo un serio
rivale per la
Chiesa
cattolica, col
suo tentativo di
una religione
organizzata di
massa che si
occupava della
salvezza del
genere umano e
di un'attività
missionaria
sistematica per
raggiungere
questo fine. In
breve, si trattò
di una chiesa
sul modello
della Chiesa
cattolica
incipiente.
Sotto un certo
aspetto la
«cattolicità» di
Mani superò il
modello
cristiano: sia
per amore d'un
appello
universale sia
per le sue
molteplici
affinità, egli
diede alla sua
chiesa una base
dottrinale tanto
sincretistica
quanto era
compatibile con
l'unità
dell'idea
gnostica
centrale. In
linea di
principio egli
riconobbe
l'autenticità e
la validità
provvisoria
delle grandi
rivelazioni
primitive (1);
in pratica, nel
primo tentativo
in questo senso
conosciuto dalla
storia, egli
fuse
deliberatamente
elementi
buddisti,
zoroastriani e
cristiani col
suo
insegnamento,
cosicché non
soltanto poteva
dichiararsi il
quarto e ultimo
profeta in una
serie storica e
la sua dottrina
il compendio e
la conclusione
di quella dei
suoi
predecessori
(2), ma la sua
missione in
ciascuna delle
tre aree
dominate dalle
rispettive
tradizioni
religiose poteva
sottolineare
quell'aspetto
della sintesi
manichea che era
familiare alla
mente dei suoi
ascoltatori. Il
successo sembrò
dapprima
giustificare
questo indirizzo
eclettico. Il
manicheismo si
estese
dall'Atlantico
all'Oceano
Indiano e fin
nel profondo
dell'Asia
centrale. In
Oriente i suoi
missionari
raggiunsero
punti molto
oltre le aree
penetrate dalla
cristianità, e
là alcuni rami
della chiesa
sopravvissero
per secoli dopo
che in Occidente
i suoi rami
erano stati
soppressi dalla
Chiesa cattolica
vittoriosa.
Tuttavia non
bisogna supporre
che a causa del
metodo
sincretistico il
sistema stesso
fosse
sincretistico.
Al contrario, fu
la
rappresentazione
più monumentale
ed unica del
principio
religioso
gnostico, per la
quale furono
impiegati di
proposito nella
dottrina e nella
mitologia gli
elementi delle
religioni più
antiche. Non si
può negare che
il pensiero di
Mani fosse di
fatto
influenzato
dalle tre
religioni, i cui
fondatori -
Budda,
Zoroastro, Gesù
- egli
riconosceva come
suoi precursori.
Se cerchiamo di
misurare tale
influenza,
potremmo dire
che quella della
religione
iranica fu più
forte nella sua
cosmogonia,
quella della
religione
cristiana
nell'escatologia
e quella del
buddismo
nell'ideale
etico e ascetico
di vita umana.
Il cuore del
manicheismo
tuttavia fu la
versione
speculativa
personale di
Mani del mito
gnostico
dell'esilio
cosmico e della
salvezza, e
questa versione
si è mostrata di
una vitalità
sorprendente:
come principio
astratto,
spogliato della
maggior parte
dei particolari
mitologici con
cui Mani lo
aveva abbellito,
riapparve
continuamente
nella storia
delle sètte
cristiane
medievali, dove
spesso «eretico»
equivaleva a
«neo-manicheo».
Perciò, mentre
in profondità e
sottigliezza di
pensiero fu
certamente
inferiore alle
migliori
creazioni della
gnosi
siro-egiziana,
che con le loro
sofisticazioni
si rivolgevano
ad un gruppo
scelto, dal
punto di vista
della storia
delle religioni
il manicheismo
fu il prodotto
più importante
dello
gnosticismo.
Mani nacque a
Babilonia, che
apparteneva
allora al regno
parto,
probabilmente da
genitori
persiani,
intorno al 216
d.C. Pare che
suo padre
appartenesse ad
una setta
«battista», nome
che con ogni
probabilità
indica i Mandei
(o più
probabilmente
gli Elcesaiti o
Sabei a questi
molto affini):
infatti la
poesia degli
inni manichei
mostra la netta
influenza dei
modelli mandei.
Durante la sua
infanzia avvenne
la ricostruzione
del regno
persiano sotto i
Sassanidi. La
sua attività
principale come
insegnante e
organizzatore di
una nuova
religione si
svolse sotto
Shapur Primo
(241-272) e fu
crocifisso sotto
il successore
Bahram Primo nel
275 d.C. circa.
Ricevette la sua
«vocazione»
durante il regno
di Ardashir
Primo, il
fondatore della
dinastia
Sassanide, morto
nel 241. Ecco
come egli stesso
ci descrive
l'avvenimento:
«Negli anni di
Ardashir, re di
Persia, crebbi e
raggiunsi la
maturità. In
quell'anno
particolare in
cui Ardashir...
(3), il
Paraclito
Vivente scese su
di me e mi
parlò. Egli mi
rivelò il
mistero nascosto
che era stato
celato ai mondi
e alle
generazioni: il
mistero della
Profondità e
dell'Altezza; mi
rivelò il
mistero della
Luce e delle
Tenebre, il
mistero del
conflitto e
della grande
lotta che la
Tenebra suscitò.
Mi rivelò in che
modo la Luce
[respinse?
vinse?] la
Tenebra mediante
il loro
frammischiarsi e
come [di
conseguenza] fu
stabilito questo
mondo... mi
illuminò sul
mistero della
formazione di
Adamo il primo
uomo. Mi istruì
sul mistero
dell'Albero
della Conoscenza
di cui Adamo
mangiò, per cui
i suoi occhi si
aprirono e
videro; il
mistero degli
Apostoli che
furono mandati
nel mondo a
scegliere le
chiese [ossia a
fondare le
religioni]...
Così mi fu
rivelato dal
Paraclito tutto
quello che è
stato e che
sarà, tutto
quello che gli
occhi vedono e
le orecchie
odono e il
pensiero pensa.
Per lui imparai
a conoscere ogni
cosa, vidi il
Tutto per mezzo
di lui, e
divenni un
"solo" corpo e
un "solo"
spirito» (Keph.
I, 14, 29 -15,
24).
Questa
narrazione
autobiografica
della sua
chiamata (non
riferita
integra)
contiene già in
sunto i punti
principali e i
princìpi della
dottrina
sviluppata in
seguito da Mani.
Tale dottrina
vuole esporre
«l'inizio, il
mezzo e la fine»
del dramma
completo
dell'essere,
dove la triade
designa le tre
maggiori
divisioni
dell'insegnamento:
«Il fondamento
della dottrina
di Mani è
l'infinità dei
"primi princìpi";
la parte di
mezzo riguarda
il loro
"mescolamento";
e la fine, la
"separazione"
della Luce dalle
Tenebre» (4).