1.
La lotta fra
i vari tipi di
verità
nell'impero
romano si
concluse con la
vittoria del
cristianesimo.
Il risultato più
importante di
questa vittoria
fu la
dedivinizzazione
del potere
temporale; ed
abbiamo già
accennato al
fatto che i
problemi moderni
della
rappresentanza
sono in qualche
modo connessi
con un processo
di
ridivinizzazione
dell'uomo e
della società.
Entrambi questi
termini
richiedono
un'ulteriore
precisazione,
soprattutto
perché il
concetto di
modernità e il
periodizzamento
della storia
dipendono dal
significato che
si dà a questa
ridivinizzazione.
Precisiamo
quindi che per
dedivinizzazione
bisogna
intendere quel
processo storico
attraverso il
quale la cultura
del politeismo
venne
praticamente a
morire per
atrofia e
l'esistenza
dell'uomo nella
società venne
riordinata, in
base alle
esperienze della
destinazione
dell'uomo, per
grazia del Dio
che trascende il
mondo, verso la
vita eterna
nella visione
beatifica. Col
termine
ridivinizzazione,
tuttavia, non
bisogna
intendere una
reviviscenza
della cultura
politeistica in
senso
greco-romano. La
qualifica di
neopagani data
al moderni
movimenti
politici di
massa -
qualifica
peraltro
abbastanza di
moda - è falsa,
perché riduce a
una
rassomiglianza
superficiale la
natura
storicamente
specifica dei
movimenti
moderni. La
ridivinizzazione
moderna ha
invece la sua
origine nello
stesso
cristianesimo e
deriva da
componenti che
erano state
soppresse come
eretiche dalla
Chiesa
universale, La
natura di questa
tensione, intima
al cristianesimo
stesso, dev'essere
perciò precisata
con maggior
rigore.
La tensione
era già
nell'origine
storica del
cristianesimo
come movimento
messianico
giudaico. La
vita delle prime
comunità
cristiane non
risultò stabile
sul piano
dell'esperienza
concreta, ma
oscillò tra
l'attesa
escatologica
della
parousia che
avrebbe
realizzato il
regno di Dio e
l'interpretazione
della Chiesa
come apocalisse
di Cristo nella
storia. Poiché
la parousia
non si verificò,
la Chiesa di
fatto passò da
una escatologia
del regno nella
storia a una
escatologia
della perfezione
ultrastorica e
soprannaturale.
Con questa
evoluzione
l'essenza
specifica del
cristianesimo si
dissociò dalla
sua origine
storica. (1)
Questa
dissociazione
ebbe inizio già
durante la vita
di Gesù stesso,
(2) e fu
completata, in
linea di
principio, con
la discesa dello
Spirito Santo a
pentecoste.
Tuttavia,
l'attesa di un
imminente
avvento del
regno venne di
tanto in tanto
fervidamente
riaccesa dalle
sofferenze delle
persecuzioni e
la più grandiosa
espressione di
questo pathos
escatologico,
l'Apocalisse di
san Giovanni,
venne inclusa
nel canone delle
Scritture,
nonostante i
dubbi sulla sua
compatibilità
con l'idea della
Chiesa. Tale
inclusione ebbe
conseguenze
decisive, perché
con l'Apocalisse
fu accolto il
rivoluzionario
annuncio dei
mille anni in
cui Cristo
avrebbe regnato
con i suoi santi
su questa
terra.(3) Tale
inclusione non
solo sanzionò
per sempre
nell'ambito del
cristianesimo
l'incidenza
dell'abbondante
massa di
letteratura
apocalittica
giudaica, ma
pose in
primissimo piano
la questione dì
come il
chiliasmo
potesse
conciliarsi con
l'idea e con
l'esistenza
della Chiesa. Se
il cristianesimo
consisteva
nell'ardente
desiderio di
liberazione dal
mondo, se i
cristiani
vivevano
nell'attesa
della fine della
storia
irredenta, se il
loro destino
poteva compiersi
soltanto nel
regno nel senso
del capo 20
dell'Apocalisse,
la Chiesa si
riduceva a una
provvisoria
comunità di
uomini che
attendevano il
grande evento e
speravano che
esso si
verificasse nel
corso della loro
vita. Sul piano
teorico, il
problema poteva
essere risolto
solo dal tour
de force
interpretativo
realizzato da
sant'Agostino
nella Civitas
Dei. In
quest'opera egli
liquidò
apertamente come
"ridicola
favola" la
credenza nel
millennio e,
quindi, affermò
risolutamente
che il regno
millenario era
il regno di
Cristo nella sua
Chiesa nel tempo
presente, che
sarebbe
continuato fino
al giudizio
finale e
all'avvento del
regno eterno
nell'aldilà (4).
La concezione
agostiniana
della Chiesa
rimase
storicamente
efficace, senza
mutamenti
sostanziali,
sino alla fine
del Medioevo.
L'attesa
rivoluzionaria
di una Seconda
Venuta che
avrebbe
trasfigurato la
struttura della
storia sulla
terra fu
liquidata come
"ridicola". Il
Logos si era
fatto carne in
Cristo; la
grazia della
redenzione era
stata concessa
all'uomo; non ci
sarebbe stata
alcuna
divinizzazione
della società
oltre la
presenza
spirituale di
Cristo nella sua
Chiesa. Il
chiliasmo
giudaico venne
bandito insieme
con il
politeismo, allo
stesso modo che
il monoteismo
era stato
bandito insieme
con il
monoteismo
pagano,
metafisico. In
questo modo la
Chiesa diventava
l'universale
organizzazione
spirituale di
santi e di
peccatori che
professano la
loro fede in
Cristo, come
rappresentante
della civitas
Dei nella
storia, riflesso
dell'eternità
nel tempo. E,
parallelamente,
in base a questa
concezione,
l'organizzazione
di potere della
società
diventava una
rappresentanza
temporale
dell'uomo, nel
senso specifico
di una
rappresentanza
di quella parte
della natura
umana che si
dissolverà con
la
trasfigurazione
del tempo
nell'eternità.
L'unica società
cristiana
risultò così
articolata nei
suoi due ordini,
spirituale e
temporale. Nella
sua
articolazione
temporale essa
accettava la
conditio humana.
senza illusioni
chiliastiche,
mentre elevava
l'esistenza
naturale
mediante la
rappresentanza
del destino
spirituale
attraverso la
Chiesa.
A
completamento
del quadro
bisogna anche
ricordare che
l'idea
dell'ordine
temporale aveva
trovato storica
concretezza
nella realtà
dell'impero
romano. Roma fu
inglobata
nell'idea di una
società
cristiana
mediante il
riferimento alla
profezia dì
Daniele sulla
Quarta
Monarchia,(5)
all’imperium
sine fine,(6)
inteso come
l'ultimo regno
prima della fine
del mondo.(7) In
questo modo,
alla Chiesa come
rappresentanza
storicamente
concreta del
destino
spirituale
dell'uomo si
affiancava, con
perfetto
parallelismo,
l'impero romano
come
rappresentanza
storicamente
concreta della
temporalità
umana.
Quindi,
l'interpretazione
dell'impero
medievale come
continuazione di
Roma fu ben più
che una vaga
reminiscenza
storica: essa
era parte
integrante di
una concezione
della storia
nella quale la
fine di Roma
significava la
fine del mondo
nel senso
escatologico.
Questa
concezione
sopravvisse per
secoli nel mondo
delle idee,
mentre si
andavano via via
sfaldando i
sentimenti e le
istituzioni che
ne costituivano
la base. La
storia del mondo
fu costruita in
conformità con
la tradizione
agostiniana per
l'ultima volta
solo da Bossuet,
nella sua
Histoire
universelle,
verso la fine
del secolo
diciassettesimo,
e il primo
moderno che osò
scrivere una
storia
universale in
diretta
opposizione a
Bossuet fu
Voltaire.
2.
La società
cristiana
occidentale
risultò così
articolata nei
due ordini
spirituale e
temporale, con
il papa e
l'imperatore
come supremi
rappresentanti
sia in senso
esistenziale che
trascendentale.
Da questa
società, con il
suo codificato
sistema di
simboli,
emergono i
problemi moderni
della
rappresentanza,
con la rinascita
dell'escatologia
del regno. Il
movimento ha
avuto una lunga
preistoria
sociale e
intellettuale,
ma il desiderio
di una
ridivinizzazione
della società ha
dato vita a un
proprio definito
simbolismo solo
verso la fine
del secolo
dodicesimo. La
nostra analisi
prenderà quindi
le mosse dalla
prima chiara e
completa
espressione
dell'idea, nella
persona e
nell'opera di
Gioacchino da
Fiore.
Gioacchino
ruppe con la
concezione
agostiniana
della società
cristiana quando
applicò il
simbolo della
Trinità al corso
della storia.
Nella sua
concezione la
storia del
genere umano si
articola in tre
periodi,
corrispondenti
alle tre persone
della Trinità.
Il primo periodo
del mondo è
stato l'età del
Padre; con la
venuta di Cristo
è cominciata
l'età del
Figlio. Ma l'età
del Figlio non
sarà l'ultima:
essa sarà
seguita da una
terza età,
quella dello
Spirito Santo.
Ciò che
caratterizza le
tre età è un
sensibile
incremento di
pienezza
spirituale.
Nella prima età
si affermò la
vita dell'uomo
profano; nella
seconda età
fiorì la vita
attivo-contemplativa
del sacerdote;
nella terza si
avrà la
fioritura della
perfetta vita
spirituale del
monaco. Inoltre,
le tre età,
secondo la
concezione
gioachimitica,
presentano
analoghe
strutture
interne e una
durata
calcolabile. Dal
confronto delle
strutture
risulta che
ciascuna età si
apre con una
triade di figure
preminenti, cioè
con due
precursori,
seguiti dal
leader della
rispettiva età;
e, dal calcolo
della durata,
risulta che
l'età del Figlio
sarebbe finita
nel 1260. Il
leader della
prima età fu
Abramo, il
leader della
seconda fu
Cristo e
Gioacchino
predisse che nel
1260 sarebbe
apparso il
Dux e
Babylone, il
leader
della terza
età.(8)
Nella sua
escatologia
trinitaria
Gioacchino mise
a punto il
complesso di
simboli sui
quali si è
fondata, fino ai
nostri giorni,
l'autointerpretazione
della moderna
società
politica.
Il primo di
questi simboli è
la concezione
della storia
come successione
di tre età, la
terza delle
quali
costituisce il
Terzo Regno
finale. Sono
mere varianti di
questo simbolo
il
periodizzamento
umanistico ed
enciclopedistico
della storia in
storia antica,
medievale e
moderna; la
teoria di Turgot
e di Comte della
successione
delle tre fasi:
teologica,
metafisica e
scientifica; la
dialettica
hegeliana dei
tre stadi della
libertà e della
piena
esplicazione
dello spirito
autocosciente;
la dialettica
marxiana dei tre
stadi del
comunismo
primitivo, della
società
classista e del
comunismo
terminale; e,
infine, il
simbolo
nazionalsocialista
del Terzo Regno
- benché qui si
tratti di un
caso particolare
che richiede
ulteriori
precisazioni.
Il secondo
simbolo è quello
del leader.(9)
Esso ebbe
immediata
influenza nel
movimento dei
francescani
spirituali che
videro in san
Francesco
l'adempimento
della profezia
gioachimitica; e
la sua influenza
risultò
accresciuta
dalla
speculazione
dantesca sul
Dux della
nuova età dello
spirito. Se ne
può ravvisare la
presenza nelle
figure
paracletiche,
negli homines
spirituales
e negli
homines novi,
del tardo
Medioevo, del
Rinascimento e
della Riforma; è
individuabile
anche come
componente nel
Principe
di Machiavelli;
nel periodo
della
secolarizzazione
esso ricompare
nel superuomo di
Condorcet, di
Comte e di Marx,
finché giunge a
dominare la
scena
contemporanea
attraverso i
leaders
paracletici dei
nuovi regni.
Il terzo
simbolo, che
talvolta si
confonde con il
secondo, è
quello del
profeta della
nuova età.
Perché l'idea di
un Terzo Regno
finale abbia
validità ed
efficacia, il
corso della
storia come un
tutto
intelligibile e
significativo
dev'essere
considerato
accessibile alla
conoscenza
umana,
attraverso una
rivelazione
diretta o una
gnosi
speculativa.
Ecco perché il
profeta gnostico
o, nelle
successive fasi
di
secolarizzazione,
l'intellettuale
gnostico diventa
un elemento
caratteristico
della civiltà
moderna.
Gioacchino
stesso è il
primo esemplare
di questa
specie.
Il quarto
simbolo è quello
della
fratellanza di
persone
autonome. La
terza età di
Gioacchino,
mercé la nuova
discesa dello
Spirito,
trasformerà gli
uomini in membri
del nuovo regno
senza la
mediazione
sacramentale
della grazia.
Nella terza età
la Chiesa
cesserà di
esistere, perché
i doni
carismatici, che
sono necessari
per la vita
perfetta,
raggiungeranno
gli uomini senza
l'intermediario
dei sacramenti.
Gioacchino
concepì in
concreto la
nuova età come
un ordine di
monaci, tuttavia
in tal modo
risultò
formulata, in
linea di
principio, anche
l'idea di una
comunità di
persone
spiritualmente
perfette che
possono vivere
insieme senza
bisogno di una
autorità
istituzionale.
Quest'idea
ammetteva
infinite
variazioni. Se
ne possono
scoprire le
tracce, con
diverso grado di
purezza, nelle
sètte del
Medioevo e del
Rinascimento,
come pure nelle
Chiese puritane
dei santi; nella
sua forma
secolarizzata
essa è diventata
una componente
decisiva del
credo
democratico
contemporaneo;
ed è inoltre il
nucleo dinamico
del misticismo
marxiano del
regno della
libertà e del
deperimento
dello stato.
Il Terzo
Regno
nazionalsocialista
è un caso
particolare.
Certo, la
profezia
millenarista di
Hitler deriva in
maniera evidente
dalla
speculazione
gioachimitica,
passata in
Germania
attraverso l'ala
anabattista
della Riforma e
del
cristianesimo
giovanneo di
Fichte, Hegel e
Schelling.
Tuttavia,
l'applicazione
concreta dello
schema
trinitario al
primo Reich
germanico, che
terminò nel
1806, al Reich
bismarkiano che
terminò nel 1918
e al Dritte
Reich del
movimento
nazionalsocialista,
appare pedestre
e provinciale se
la si confronta
con la
speculazione
storica a
carattere
universale degli
idealisti
tedeschi, di
Comte o di Marx.
Questa impronta
nazionalistica e
provinciale è
dovuta al fatto
che il simbolo
del Dritte
Reich non è
scaturito dallo
sforzo
speculativo di
un grande
filosofo, ma è
stato desunto da
una
pubblicistica di
bassa lega. I
propagandisti
nazionalsocialisti
lo trassero
dall'opuscolo di
Moeller van den
Bruck pubblicato
appunto con quel
titolo.(10) E
Moeller, che non
aveva affatto
propensioni
nazionalsocialiste,
lo aveva
ritenuto un
simbolo
conveniente nel
corso del suo
lavoro
sull'edizione
tedesca di
Dostoievskii,
L'idea russa
della Terza Roma
è caratterizzata
dalla
commistione di
un'escatologia
del regno dello
spirito con la
sua
realizzazione ad
opera di una
società
politica, al
pari dell'idea
nazionalsocialista
del Dritte
Reich.
Dobbiamo ora
prendere in
esame
quest'altra
branca della
ridivinizzazione
politica.
Solo in
Occidente la
concezione
agostiniana
della Chiesa
risultò
storicamente
efficace al
punto da portare
chiaramente alla
doppia
rappresentanza
della società
attraverso i due
poteri,
spirituale e
temporale. Il
fatto che il
capo temporale
avesse la sua
sede a una
considerevole
distanza
geografica da
Roma favorì
senz'altro
questa
evoluzione.
Nell'Est si
sviluppò invece
la forma
bizantina del
cesaropapismo,
che era
continuazione
diretta della
posizione
dell'imperatore
nella Roma
pagana.
Costantinopoli
era la Seconda
Roma (come
risulta dalla
dichiarazione di
Giustiniano
relativa alla
consuetudo Romae:
"Per Roma
bisogna
intendere non
soltanto
l'antica, ma
anche la nostra
regale città".(11)
Dopo la caduta
di
Costantinopoli
in mano ai
Turchi, l'idea
di una
successione di
Mosca all'impero
ortodosso
guadagnò terreno
nei circoli
clericali russi.
È opportuno, a
questo
proposito,
citare i passi
famosi di una
lettera di
Filofei di Pskov
a Ivan il
Grande: "La
Chiesa della
prima Roma è
caduta a causa
dell'empia
eresia di
Apollinare. Le
difese della
seconda Roma a
Costantinopoli
sono state
infrante dagli
Ismaeliti. Oggi
la santa Chiesa
apostolica della
terza Roma nel
tuo impero
splende nella
gloria della
fede cristiana
attraverso il
mondo. Tu sai, o
pio Zar, che
tutti gli imperi
dei cristiani
ortodossi sono
confluiti nel
tuo impero. Tu
sei il solo
autocrate
dell'universo,
il solo zar di
tutti i
cristiani...
Secondo i libri
profetici, tutti
gli imperi
cristiani hanno
una fine e
confluiranno in
un unico impero,
quello del
nostro
gossudar,
cioè nell'impero
di Russia. Due
Rome sono
cadute, ma la
terza durerà, e
non ce ne sarà
una quarta".(12)
Ci volle circa
un secolo per
istituzionalizzare
l'idea. Ivan IV
fu il primo
Rurikide ad
essere
incoronato, nel
1547, zar degli
Ortodossi (13) e
nel 1589 il
patriarca di
Costantinopoli
fu costretto a
istituire il
primo
patriarcato
autocefalo di
Mosca, insieme
con il
riconoscimento
ufficiale di
Mosca come Terza
Roma.(14)
Le date di
emergenza e di
istituzionalizzazione
di questa idea
sono importanti.
Il regno di Ivan
il Grande
coincide con il
consolidamento
degli stati
nazionali
occidentali
(Inghilterra,
Francia e
Spagna) e i
regni di Ivan IV
e di Teodoro I
coincidono con
la Riforma
occidentale.
Proprio nel
periodo in cui
l'articolazione
imperiale
occidentale
raggiungeva la
totale
disintegrazione
e la società
occidentale si
riarticolava
nelle nazioni e
nella pluralità
delle Chiese, la
Russia iniziava
la sua carriera
di erede di
Roma, Fin dai
suoi inizi, la
Russia non era
una nazione nel
senso
occidentale del
termine, ma
un'area di
civiltà,
dominata
etnicamente dai
Grandi Russi e
costituita in
società politica
mediante il
simbolismo della
continuità
romana.
Che la
società russa
fosse una realtà
a sé stante fu
gradualmente
riconosciuto
dall'Occidente.
Ancora nel 1488
Massimiliano I
tentava di
integrare la
Russia nel
sistema politico
occidentale
offrendo una
corona regale a
Ivan il Grande.
Il Granduca di
Mosca rifiutò
l'onore
asserendo che la
sua autorità gli
derivava dai
suoi antenati,
che essa era
benedetta da Dio
e che quindi non
c'era bisogno di
conferma da
parte
dell'imperatore
occidentale.
(15) Un secolo
dopo, nel 1576,
al tempo delle
guerre
dell'Occidente
contro i Turchi,
Massimiliano II
andò ancora più
oltre, offrendo
a Ivan IV di
riconoscerlo
imperatore
dell'Oriente
greco in cambio
di assistenza.
(16) Ma il
sovrano russo
non mostrò
interesse
neppure per la
corona
imperiale,
perché, a
quell'epoca,
Ivan era già
impegnato nella
realizzazione
dell'impero
russo mediante
la liquidazione
della nobiltà
feudale e la sua
sostituzione con
la oprichnina,
la nuova nobiltà
di servizio.(17)
Con questa
sanguinosa
operazione, Ivan
il Terribile
impose alla
Russia quella
indelebile
articolazione
sociale che ha
determinato la
sua intera
storia politica
fino ai giorni
nostri. Sul
piano
trascendentale,
la Russia si
distinse da
tutte le nazioni
occidentali come
rappresentante
imperiale della
verità
cristiana; e,
per efretto
della sua
riarticolazione,
dalla quale lo
zar emerse come
rappresentante
esistenziale,
essa fu
radicalmente
tagliata fuori
dallo sviluppo
delle
istituzioni
rappresentative
nel senso degli
stati nazionali
dell'Occidente.
Infine,
Napoleone
riconobbe il
problema russo
quando affermò,
nel 1802, che
c'erano solo due
nazioni nel
mondo; la Russia
e
l'Occidente.(18)
La Russia
sviluppò un tipo
sui generis
di
rappresentanza,
sotto il profilo
sia
trascendentale
che
esistenziale.
L'occidentalizzazione,
a partire da
Pietro il
Grande, non mutò
sostanzialmente
il tipo, perché
essa non ebbe
alcuna incidenza
sull'articolazione
sociale. Si può,
in realtà,
parlare di
un'occidentalizzazione
personale nelle
file dell'alta
nobiltà, sulla
scia delle
guerre
napoleoniche,
nella
generazione dei
Chaadaev, dei
Gagarin e dei
Pecherin; ma i
singoli
servitori dello
zar non si
trasformarono in
uno stato della
nobiltà, in un
baronagium
articolato.
Forse non fu
neppure
avvertita la
necessità di
un'azione
cooperativa di
classe come
condizione per
l'occidentalizzazione
politica della
Russia; e
ammesso che
fosse esistita
la possibilità
di un'evoluzione
in questo senso,
essa senza
dubbio cessò con
la rivolta
decabrista del
1825. Subito
dopo, con
Khomyakov,
cominciò la
slavofilia,
antioccidentale
filosofia della
storia che,
esercitando una
vasta influenza
sull'intellighenzia
della media
nobiltà, ampliò
l'apocalisse
della Terza Roma
nella
messianica,
escatologica
missione della
Russia a favore
del genere
umano. In
Dostoievskij
questa
sovrapposizione
del messianismo
si cristallizzò
nella visione,
stranamente
ambivalente, di
una Russia
autocratica,
ortodossa, che
avrebbe in
qualche modo
conquistato il
mondo e in
questa conquista
si sarebbe
trasformata
nella libera
società di tutti
i cristiani
nella vera
fede.(19) È la
stessa
ambivalente
visione che,
nella sua forma
secolarizzata,
ispira una
dittatura russa
del proletariato
che, nella sua
conquista del
mondo, si
trasformerà nel
regno marxiano
della libertà.
Il tentativo
di articolazione
occidentale
della società
russa, compiuto
sotto gli zar
liberali, si
ridusse a un
episodio del
passato con la
rivoluzione del
1917. I
cittadini, nel
loro complesso,
sono di nuovo
diventati i
servitori dello
zar nel vecchio
senso moscovita,
con i quadri del
partito
comunista nel
ruolo della
nobiltà di
servizio;
Voprichnina, che
Ivan il
Terribile aveva
istituito sulla
base di
un'economia
agricola, fu
reintrodotta con
larghezza ancora
maggiore sulla
base di
un'economia
industriale.
(20)
3.
Dall'esame
dei simboli
gioachimitici,
dalla rapida
rassegna delle
loro successive
varianti e dalla
loro fusione con
l'apocalisse
politica della
Terza Roma,
dovrebbe
risultare
evidente che la
nuova
escatologia ha
avuto un
influsso
decisivo sulla
struttura della
politica
moderna. Essa ha
prodotto un ben
definito
simbolismo, per
mezzo del quale
le società
politiche
dell'Occidente
interpretano il
significato
della loro
esistenza; e i
fautori dell'una
o dell'altra
variante
determinano
l'articolazione
della società
sia sul piano
interno che
sulla scena
mondiale. Fino a
questo punto,
tuttavia, il
simbolismo è
stato accolto a
livello dì
autointerpretazione
e descritto come
fenomeno
storico. Esso
deve ora essere
sottoposto ad
analisi critica
nelle sue
principali
componenti e
tale analisi
deve avere a
proprio
fondamento
l'individuazione
degli aspetti
teoricamente
validi del
problema.
L'escatologia
gioachimitica è,
quanto al suo
contenuto, una
speculazione sul
significato
della storia. Al
fine di
coglierne la
differenza
specifica, è
necessario
metterla a
confronto con la
filosofia
cristiana della
storia che era
tradizionale a
quel tempo, cioè
con la
speculazione
agostiniana.
Nella
speculazione
tradizionale si
era introdotta
l'idea
giudaico-cristiana
di una fine
della storia
intesa nel senso
di un
constatabile
stato di
perfezione. La
storia non si
svolgeva più
ciclicamente,
come pensavano
Platone e
Aristotele, ma
procedeva verso
una propria
direzione e
destinazione.
Superando il
messianismo
giudaico in
senso stretto,
la concezione
specificamente
cristiana della
storia era
pervenuta a
interpretare la
fine della
storia come un
compimento
trascendente.
Elaborando
questa
intuizione
teorica,
sant'Agostino
aveva introdotto
la distinzione
tra una storia
profana, nella
quale gli imperi
sorgono e
crollano, ed una
storia sacra,
che al suo
vertice ha la
venuta di Cristo
e l'istituzione
della Chiesa.
Egli inoltre
inserì la storia
sacra in una
storia
trascendentale
della civitas
Dei che
include sia gli
eventi della
sfera angelica
che il
trascendentale
sabbath
eterno. Solo la
storia
trascendentale,
compreso in essa
il
pellegrinaggio
terreno della
Chiesa, è
diretta verso il
suo adempimento
escatologico. La
storia profana
invece non
procede in
alcuna
direzione; essa
si riduce a
un'attesa della
fine e il suo
tipico tratto
caratterizzante
è quello di
essere un
saeculum
senescens,
un'età che
invecchia.(21)
Al tempo di
Gioacchino, la
civiltà
occidentale era
in una fase di
robusta
fioritura:
un'età che
cominciava ad
assumere
coscienza del
proprio vigore
non poteva
facilmente
adattarsi al
disfattismo
agostiniano nei
confronti della
sfera mondana
dell'esistenza.
La speculazione
gioachimitica fu
un tentativo di
conferire al
corso immanente
della storia un
significato che
la concezione
agostiniana gli
negava. A questo
fine, Gioacchino
utilizzò il
materiale allora
a sua
disposizione,
cioè il
significato
della storia
trascendentale.
In questo primo
tentativo
occidentale di
immanentizzazione
di tale
significato
trascendentale,
il nesso con il
cristianesimo
non andò
perduto. La
nuova età di
Gioacchino
avrebbe portato
una maggiore
pienezza
spirituale nella
storia, ma ciò
non sarebbe
stato
determinato da
un'eruzione
dall'interno:
esso sarebbe
invece venuto da
una nuova
irruzione
trascendentale
dello Spirito.
L'idea di un
incremento
completamente
immanentistico
di pienezza
spirituale si
andò affermando
piuttosto
lentamente, nel
corso di un
lungo processo
che potrebbe
essere
compendiato
nella formula
"dall'umanesimo
all'illuminismo":
solo nel secolo
diciottesimo,
con l'idea di
progresso,
l'incremento di
significato
nella storia
divenne un
fenomeno
intramondano,
senza irruzioni
trascendentali.
Qualificheremo
come
"secolarizzazione"
questa seconda
fase del
processo di
immanentizzazione.
Dall'immanentizzazione
gioachimitica
emerge un
problema teorico
che non si
presenta ne
nell'antichità
classica ne nel
cristianesimo
ortodosso: il
problema di un
eidos
della storia.
(22) Anche nella
speculazione
ellenica esiste
un problema
dell'essenza in
sede politica:
la polis
ha un eidos
sia per Platone
che per
Aristotele. Ma
l'attuazione di
questa essenza è
governata dal
ritmo dello
sviluppo e della
decadenza, e la
ritmica
incarnazione e
disincarnazìone
dell'essenza
nella realtà
politica è il
mistero
dell'esistenza:
non è un
eidos
addizionale.
Poi, la verità
soteriologica
del
cristianesimo
provoca una
frattura nel
ritmo
dell'esistenza:
al di là dei
successi e dei
fallimenti
temporali resta
il destino
soprannaturale
dell'uomo, la
perfezione,
attraverso la
grazia,
nell'aldilà.
L'uomo e il
genere umano
hanno ora un
compimento, che
però si realizza
oltre la natura.
Neppure in
questo caso si
può parlare di
un eidos
della storia,
perché la
soprannatura
escatologica non
è una natura in
senso
filosofico,
immanente.
Il problema
di un eidos
della storia
emerge quindi
soltanto quando
viene
immanentizzato
l'adempimento
trascendentale
cristiano. Ma
codesta ipostasi
immanentistica
dell’eschaton
è un errore
teorico. Le cose
non sono cose,
ne ricevono la
loro essenza per
effetto di
un'affermazione
arbitraria. Il
corso della
storia, nella
sua totalità,
non è oggetto di
esperienza: la
storia non ha
alcun eidos,
perché il corso
della storia si
protende
nell'ignoto
futuro. Il
significato
della storia è
quindi
un'illusione e
questo eidos
illusorio si
forma trattando
un simbolo di
fede alla
stregua di una
proposizione
relativa a un
oggetto di
esperienza
immanente.
Abbiamo
dunque messo in
luce, in termini
generali, il
carattere
fallace di un
eidos della
storia: ma
dobbiamo e
possiamo
spingere più
innanzi
l'analisi,
scendendo a
qualche
dettaglio. Il
simbolismo
cristiano della
destinazione
soprannaturale è
dotato di una
propria
struttura
teorica, e
questa struttura
ricompare nelle
varianti
dell’immanentizzazione.
Il progresso del
pellegrino, la
santificazione
della vita, è un
movimento verso
un telos,
verso un fine, e
questo fine, la
visione
beatifica, è uno
stato di
perfezione. Nel
simbolismo
cristiano quindi
si può
distinguere il
movimento, come
sua componente
teleologica, da
uno stato di
sommo valore
come sua
componente
axiologica.(23)
Le due
componenti
ricompaiono
nelle varianti
dell'immanentizzazione:
tali varianti si
possono
ripartire in
categorie
diverse, a
seconda che
accentuano la
componente
teleologica o la
componente
axiologica o le
combinano
insieme nel loro
simbolismo. Nel
primo caso,
quando l'accento
è posto
essenzialmente
sul movimento,
senza una chiara
prospettiva di
perfezione
finale, ne
risulterà una
interpretazione
progressista
della storia. Il
fine non
richiede
chiarimento,
perché pensatori
progressisti
come Diderot o
D'Alembert
assumono a metro
valutativo una
selezione di
fattori
desiderabili e
interpretano il
progresso come
incremento
qualitativo e
quantitativo del
bene presente.
Questo è un
atteggiamento
conservatore,
che può
diventare
reazionario se
l'originario
metro valutativo
non viene
adeguato al
mutare delle
situazioni
storiche. Nel
secondo caso,
quando l'accento
è posto
essenzialmente
sullo stato di
perfezione,
senza chiara
visuale dei
mezzi necessari
al suo
conseguimento,
il risultato è
quello
dell'utopismo.
Esso può
assumere la
forma di un
mondo axiologico
di sogno, come
nell'utopia di
Moro, quando il
pensatore sa che
il sogno è
irrealizzabile e
ne conosce il
perché; oppure,
in un contesto
di insufficiente
senso critico,
può assumere la
forma dei vari
idealismi
sociali, come
l'abolizione
della guerra,
dell'ineguale
distribuzione
della proprietà,
della paura e
del bisogno.
Infine, il
processo di
immanentizzazione
può estendersi
al simbolo
cristiano nel
suo complesso.
Il risultato
sarà allora il
misticismo
attivistico di
uno stato di
perfezione, da
conseguire
attraverso una
trasformazione
rivoluzionaria
della natura
umana, come per
esempio nel
marxismo.
4.
Possiamo ora
riassumere, sul
piano di
principio,
l'analisi fin
qui condotta. Il
tentativo di
costruire un
eidos della
storia
fatalmente
conduce
all'erronea
immanentizzazione
dell'eschaton
cristiano.
Tuttavia, la
qualifica di
erroneo,
attribuita al
tentativo,
solleva
complesse
questioni in
merito al tipo
umano che vi
indulge.
L'errore sembra
elementare. Si
può presumere
che i pensatori
che vi sono
caduti non
fossero
abbastanza
intelligenti da
rendersene
conto? Oppure
che, pur
rendendosene
conto, lo
abbiano
nondimeno
propagato per
qualche oscura
ragione? Nella
formulazione
stessa di
siffatte domande
è già implicita
una risposta
negativa. È
impossibile,
infatti, bollare
di stupidità e
disonestà sette
secoli di storia
intellettuale.
Bisogna
piuttosto
presumere
l'esistenza in
questi uomini di
un particolare
impulso che li
ha resi ciechi
di fronte a
quell'errore.
La natura di
questo impulso
non si può
scoprire
sottoponendo a
più acuta
analisi tale
errore. Bisogna
piuttosto badare
ai risultati
conseguiti da
quei pensatori
con la loro
erronea
costruzione. Su
questo punto,
nessun dubbio è
possibile; essi
hanno conseguito
una certezza sul
significato
della storia e
sul posto che
occupano in
essa, certezza
che altrimenti
non avrebbero
potuto
conseguire. Di
certezze l'uomo
ha bisogno per
vincere le
incertezze e
l'ansia che le
accompagna. A
questo punto,
quindi, bisogna
chiedersi: quale
incertezza fu
così tormentosa
da indurre
l'uomo a
superarla con
gli equivoci
mezzi di una
erronea
immanentizzazione?
Non occorre
cercare la
risposta molto
lontano.
L'incertezza è
l'autentica
essenza del
cristianesimo.
Il senso di
sicurezza che
dava il vivere
in un "mondo
pieno di dèi"
andò distrutto
con la scomparsa
di quegli dèi;
quando il mondo
è dedivinizzato,
la comunicazione
col Dio che
trascende il
mondo si riduce
al tenue vincolo
della fede, nel
senso di Ebr,
11,1: fede è
sostanza di ciò
che dobbiamo
sperare e prova
di ciò che non
vediamo.
Ontologicamente,
la sostanza di
cose sperate si
trova solo nella
fede, ed
epistemologicamente
soltanto la fede
è prova delle
cose che non
vediamo.(24)
Il vincolo è
davvero tenue e
facile a
spezzarsi. La
vita dell'anima
che si apre
verso Dio,
l'attesa, i
periodi di
aridità e di
fiacchezza, di
colpa e di
sconforto, di
contrizione e di
pentimento, di
disperazione e
di speranza, le
silenziose
emozioni
dell'amore e
della grazia, la
trepidazione
sull'orlo di una
certezza che, se
conquistata, si
risolve in una
perdita -
l'estrema
fragilità di
codesto edificio
può riuscire un
peso troppo
pesante per
uomini che
cercano possessi
sicuri ed
esperienze
concrete. Il
pericolo che la
fede si incrini
in misura
socialmente
rilevante è
destinato a
crescere, con
l'estendersi del
cristianesimo su
scala mondiale;
è destinato cioè
a crescere
quando il
cristianesimo
penetra
completamente
un'area di
civiltà,
sostenuto da
pressioni di
carattere
istituzionale, e
quando subisce
nello stesso
tempo un
processo interno
di
spiritualizzazione,
di più completa
realizzazione
della sua
essenza. Quanto
maggiore è la
massa umana
attratta o
costretta
nell'orbita
cristiana, tanto
maggiore è il
numero delle
persone che non
hanno il vigore
spirituale
adeguato a
quell'eroica
avventura
dell'anima che è
il
cristianesimo; e
la probabilità
di una caduta
dalla tede è
destinata a
crescere quando
il progresso
civile
dell'educazione,
della cultura,
del dibattito
intellettuale fa
comprendere a un
numero sempre
maggiore di
uomini la
tremenda serietà
del
cristianesimo.
Entrambi questi
processi hanno
caratterizzato
l'alto Medioevo.
Non possiamo qui
soffermarci sui
dettagli
storici: basterà
richiamarsi
sommariamente
alle società
urbane in
espansione, con
la loro intensa
cultura
spirituale, come
ai centri dai
quali primamente
il pericolo si è
irradiato nel
complesso della
società
occidentale.
Se il
fenomeno di una
caduta dalla
fede si
manifesta come
fenomeno di
massa, le
conseguenze
dipenderanno
dall'ambiente di
civiltà in cui
gli agnostici
ricadono. Un
uomo non può
cadere
all'indietro in
senso assoluto,
perché in questo
caso scoprirebbe
ben presto di
essere caduto
nell'abisso
della
disperazione e
del nulla; egli
dovrà ripiegare
su una cultura
meno
differenziata di
esperienza
spirituale.
Nelle condizioni
di civiltà del
secolo
dodicesimo era
impossibile un
ritorno al
politeismo
greco-romano,
perché
quest'ultimo era
ormai finito
come cultura
viva di una
società; e quel
poco che di esso
restava non
poteva rivivere,
proprio perché
aveva perduto
ogni significato
per uomini che
avevano
conosciuto il
cristianesimo.
Il
ripiegamento
poteva avvenire
soltanto verso
esperienze che
fossero
abbastanza
prossime
all'esperienza
della fede
perché la
differenza
potesse essere
scorta soltanto
da un occhio
esercitato, ma
che nello stesso
tempo ne fossero
abbastanza
lontane da poter
servire da
rimedio
all'incertezza
della fede in
senso stretto.
Siffatte
esperienze
alternative
erano offerte
dalla gnosi che
aveva
accompagnato il
cristianesimo
fin dalle sue
prime
origini.(25)
Non è
possibile, nei
limiti di questo
capitolo,
procedere a una
descrizione
dettagliata
della gnosi
antica o della
sua trasmissione
al Medioevo
occidentale;
basterà
ricordare che, a
quel tempo, la
gnosi era una
cultura
religiosa viva
sulla quale era
possibile
ripiegare. Il
tentativo di
immanentizzare
il significato
dell'esistenza
è, in sostanza,
il tentativo di
assicurare alla
nostra
conoscenza del
trascendente una
presa più salda
di quella
consentita dalla
cognitio
fidei, dalla
cognizione della
fede; e le
esperienze
gnostiche
offrono questa
più salda presa
perché esse
dilatano l'anima
a tal punto da
includere Dio
nell'esistenza
dell'uomo.
Questa
dilatazione
impegna le varie
facoltà umane e
quindi è
possibile una
varietà di gnosi
secondo la
facoltà che
predomina
nell'atto con
cui si prende
possesso di Dio.
La gnosi può
essere
soprattutto
intellettuale e
assumere la
forma di una
penetrazione
speculativa del
mistero della
creazione e
dell'esistenza,
come per esempio
nella gnosi
contemplativa di
Hegel o di
Schelling. O può
essere
soprattutto
emozionale e
assumere la
forma di una
inabitazione
della sostanza
divina
nell'anima
umana, come per
esempio nei
leaders
paracletici
delle sètte. O
può essere
soprattutto
volontaristica e
assumere la
forma di una
redenzione
attivistica
dell'uomo e
della società,
come nel caso
degli attivisti
rivoluzionati
tipo Comte, Marx
o Hitler. Queste
esperienze
gnostiche, in
tutta la loro
varietà, sono il
centro da cui si
irraggia il
processo di
ridivinizzazione
della società,
perché gli
uomini che si
abbandonano a
queste
esperienze
divinizzano se
stessi
sostituendo alla
fede in senso
cristiano una
più concreta
partecipazione
alla
divinità.(26)
Senza una
chiara
comprensione di
queste
esperienze come
centro attivo di
irradiamento
dell'escatologia
immanentistica
non si coglie
l'intima logica
dello sviluppo
politico
occidentale
dall'immanentismo
medievale,
attraverso
l'umanesimo,
l'illuminismo,
il progressismo,
il liberalismo,
il positivismo,
fino al
marxismo. I
simboli
intellettuali
elaborati dai
vari tipi di
immanentisti
risultano
frequentemente
in conflitto tra
loro, come Io
sono anche i
vari tipi di
gnostici. È
facile
immaginare con
quale
indignazione
reagirebbe un
radicale a cui
si dicesse che
il suo
particolare
immanentismo non
è poi molto
lontano dal
marxismo. Sarà
quindi opportuno
ribadire il
principio che la
sostanza della
storia va
ricercata a
livello delle
esperienze, non
a livello delle
idee. Si può
considerare il
secolarismo come
la
radicalizzazione
delle precedenti
forme di
immanentismo
paracletico,
perché la
pratica
divinizzazione
dell'uomo è più
radicale nel
caso del
secolarismo.
Feuerbach e
Marx, per
esempio,
interpretarono
il Dio
trascendente
come la
proiezione in un
aldilà
ipostatico della
parte migliore
dell'uomo; per
essi, il punto
di svolta
decisivo della
storia viene
raggiunto quando
l'uomo riconduce
dentro di sé
questa
proiezione,
quando prende
coscienza di
essere egli
stesso Dio,
quando insomma
l'uomo si
trasfigura in
superuomo.(27)
Questa
trasfigurazione
marxiana porta,
in realtà, alle
sue estreme
conseguenze
un'esperienza
medievale meno
radicale, quella
per cui lo
spirito di Dio è
fatto penetrare
nell'uomo, pur
restando integra
la trascendenza
di Dio stesso.
II superuomo
rappresenta il
punto terminale
di una strada
sulla quale si
incontrano
figure come gli
"uomini indiati"
dei mistici
della Riforma
inglese.(28)
Queste
considerazioni,
inoltre,
chiariscono e
giustificano il
nostro
precedente
avvertimento a
non cedere alla
suggestione di
qualificare come
neopagani i
moderni
movimenti
politici. Le
esperienze
gnostiche
determinano una
struttura sui
generis
della realtà
politica. Lo
gnosticismo
contemporaneo
deriva
direttamente,
per via di
graduale
trasformazione,
da quello
medievale. E la
trasformazione è
realmente così
graduale che è
difficile
stabilire se i
fenomeni
contemporanei
debbano essere
classificati
come cristiani,
giacché si
riesce a
dimostrare che
sono un prodotto
delle eresie
cristiane del
Medioevo, oppure
se i fenomeni
medievali
debbano essere
classificati
come
anticristiani,
giacché si può
dimostrare che
costituiscono il
punto di
partenza
dell'anticristianesimo
moderno. La cosa
più saggia,
comunque, è di
lasciar cadere
questi
interrogativi e
riconoscere
nell'avanzata
dello
gnosticismo il
tratto
essenziale della
modernità.
La gnosi ha
accompagnato il
cristianesimo
fin dalle sue
origini; tracce
di essa si
riscontrano in
san Paolo e san
Giovanni. (29)
L'eresia
gnostica fu la
grande
antagonista del
cristianesimo
dei primi secoli
ed Ireneo ne
criticò le
diverse varianti
nell'opera
Adversus
haereses
(180 circa) -
che è un
trattato
fondamentale,
consultabile con
profitto anche
dallo studioso
che cerchi di
comprendere le
idee e i
movimenti
politici
moderni. Ma,
oltre alla gnosi
cristiana, si è
avuta anche una
gnosi ebraica,
una pagana e una
islamica; ed è
molto probabile
che l'origine
comune di tutte
queste gnosi sia
nell'esperienza
predominante
nell'area
precristiana
della civiltà
siriaca.
Tuttavia, la
gnosi non ha mai
assunto la forma
di speculazione
sul significato
della storia
immanente come
nell'alto
Medioevo; la
gnosi di per sé
non porta
all'erronea
costruzione
della storia che
caratterizza la
modernità da
Gioacchino in
poi. Quindi,
l'impulso che
spinge alla
conquista della
certezza deve
avere alla sua
base anche
un'altra
componente, che
fa
specificamente
tendere la gnosi
verso la
speculazione
storica.
Quest'altra
componente è
costituita
dall'espansionismo
della civiltà
propria della
società
occidentale
nell'alto
Medioevo. È una
società che,
diventando
maggiorenne,
cerca il senso
di se stessa; è
una società che
cresce ed ha
coscienza della
propria crescita
e quindi non può
più accettare
l'interpretazione
tradizionale
della
senescenza. E
infatti il
processo
attraverso il
quale la civiltà
occidentale si
attribuì un
senso si
sviluppò in
stretto
parallelismo col
processo dì
effettiva
espansione e
differenziazione.
La crescita
spirituale
dell'Occidente
attraverso gli
Ordini, a
cominciare da
Cluny, si
espresse, nella
speculazione di
Gioacchino,
nell'idea di un
Terzo Regno dì
monaci; il
primitivo
umanesimo
filosofico e
letterario si
espresse
nell'idea
dantesca e
petrarchesca di
un impero
apollineo, di un
Terzo Regno di
vita
intellettuale
che succede agli
ordini,
spirituale e
temporale,
dell'impero;(30)
e nell'Età della
Ragione un
Condorcet
concepì l'idea
di una civiltà
unitaria del
genere umano,
nella quale ogni
uomo avrebbe
avuto i tratti
caratteristici
di un
intellettuale
francese (31). I
vettori sociali
dei movimenti, a
loro volta,
cambiarono col
progressivo
differenziarsi e
articolarsi
della società
occidentale.
Nelle primitive
fasi della
modernità furono
gli abitanti
delle città e i
contadini in
opposizione alla
società feudale;
nelle fasi più
tarde furono la
borghesia
progressista, i
lavoratori
socialisti e la
bassa classe
media fascista.
E, finalmente,
con il
prodigioso
progresso della
scienza a
partire dal
secolo
diciassettesimo,
questo nuovo
strumento di
conoscenza
doveva
diventare, si
può dire
fatalmente, il
simbolico
veicolo della
verità gnostica.
Nella
speculazione
gnostica dello
scientismo
questa variante
particolare
giunse al suo
culmine, quando
il positivista
che aveva
portato la
scienza al
limite della
perfezione
sostituì all'èra
di Cristo l'èra
di Comte. Lo
scientismo è
rimasto fino ai
nostri giorni
uno dei più
forti movimenti
gnostici della
società
occidentale e
l'orgoglio
immanentistico
nella scienza è
così forte che
anche le scienze
particolari ne
presentano tutte
un evidente
sedimento nelle
varianti della
salvezza
attraverso la
fisica, la
sociologia, la
biologia e la
psicologia.
5.
Questa
analisi delle
componenti
presenti nella
moderna
speculazione
gnostica non
pretende di
essere
esauriente, ma è
stata spinta
abbastanza
innanzi da
soddisfare alle
esigenze del
nostro fine
immediato, che è
quello di
chiarire le
esperienze che
determinano
l'articolazione
politica della
società
occidentale
sotto il
simbolismo del
Terzo Regno.
Dall'analisi
emerge
l'immagine di
una società
individuabile e
intelligibile
come un tutto
unitario nella
sua evoluzione
quale
rappresentante
di un tipo
storicamente
originale di
verità gnostica.
Seguendo il
procedimento
aristotelico,
l'analisi ha
preso le mosse
dall'autointerpretazione
della società
per mezzo dei
simboli
gioachimitici
del secolo
dodicesimo. Ora
che il loro
significato è
stato chiarito
attraverso
l'interpretazione
teorica, si può
assegnare una
data all'inizio
di questo ciclo
di civiltà. Una
data conveniente
al suo inizio
formale sarebbe
quella del
rilancio
dell'antico
gnosticismo ad
opera di Scoto
Eriugena nel
secolo nono,
perché le sue
opere, al pari
di quelle di
Dionigi
Areopagita da
lui tradotte,
esercitarono
un'influenza
continua sulle
sètte gnostiche
clandestine
prima che
emergessero alla
superficie nel
secolo
dodicesimo e
tredicesimo.
È un ampio
arco di tempo,
che si estende
per un migliaio
d'anni, lungo
abbastanza da
stimolare
riflessioni sul
suo declino e
sulla sua fine.
Queste
riflessioni
sulla società
occidentale
intesa quale
ciclo di civiltà
considerato come
un tutto che
procede
intelligibilmente
verso una fine,
hanno suscitato
una delle più
ardue questioni
per lo studioso
di politica
occidentale. Da
una parte, ha
inizio nel
secolo
diciottesimo una
corrente
continua di
letteratura sul
declino della
civiltà
occidentale; e,
quali che siano
le perplessità
che si possono
nutrire a
proposito delle
varie
argomentazioni,
non si può
negare che i
teorici del
declino siano
nel complesso
dalla parte
della ragione.
Dall'altra, lo
stesso periodo è
caratterizzato,
quant’altri mai,
da una
esuberante
vitalità nelle
scienze, nella
tecnologia, nel
controllo
materiale
dell'ambiente,
nell'incremento
demografico, nel
livello di vita,
di salute e di
comfort, di
educazione di
massa, di
consapevolezza e
responsabilità
sociale; e,
anche in questo
caso, quali che
siano le
perplessità che
si possono
nutrire a
proposito di
ciascuno di
questi aspetti,
non si può
negare che i
sostenitori del
progresso siano
anch'essi dalla
parte della
ragione. Questa
divergenza
interpretativa
ci aiuta a
mettere a fuoco
l'ardua
questione, alla
quale più sopra
accennavamo:
come può una
civiltà nello
stesso tempo
progredire e
regredire? È un
interrogativo
sul quale è
conveniente
soffermarsi,
perché non è
escluso che
l'analisi del
moderno
gnosticismo
possa fornire
almeno una
soluzione
parziale del
problema.
La
speculazione
gnostica superò
l'incertezza
della fede
mediante un
ripiegamento
dalla
trascendenza e
conferendo
all'uomo e alla
sua azione
intramondana un
significato di
compimento
escatologico. A
mano a mano che
questo processo
di
immanentizzazione
progrediva sul
piano
dell'esperienza,
l'attività di
civilizzazione
si trasformò in
uno sforzo
mistico di
autosalvazione.
La forza
spirituale
dell'anima, che
nel
cristianesimo
era consacrata
alla
santificazione
della vita,
poteva essere
ora consacrata
alla più
seducente, più
tangibile e,
dopo tutto,
tanto più facile
creazione di un
paradiso
terrestre.
L'azione di
civilizzazione
divenne un
divertissement,
nel senso
pascaliano del
termine, ma un
divertissement
che
demoniacamente
assorbiva in sé
il destino
eterno dell'uomo
e si sostituiva
alla vita dello
spirito.
Nietzsche, più
lucidamente di
qualsiasi altro,
indicò la natura
di questa
diversione
demoniaca quando
si chiese perché
mai tutti si
debba vivere
nell'imbarazzante
condizione di
aver bisogno
dell'amore e
della grazia di
Dio. "Amate
voi stessi
attraverso la
grazia", fu
la sua
soluzione, "e
allora non
avrete più
bisogno del
vostro Dio, e
potrete vivere
in voi stessi
tutt'intero il
dramma della
caduta e della
redenzione dal
principio alla
fine".(32)
Ma come
realizzare
questo miracolo
dell'autosalvazione,
come realizzare
questa
redenzione
accordando la
grazia a se
stessi? La
grande risposta
fu data dalla
storia con i
successivi tipi
di azione
gnostica che
hanno conferito
alla civiltà
moderna il suo
specifico
carattere. Il
miracolo fu
realizzato con
successo
attraverso
l'eccellenza
letteraria e
artistica, che
assicurava
l'immortalità
della fama
all'intellettuale
umanistico;
attraverso la
disciplina e il
successo
economico, che
era attestazione
di salvezza per
il santo
puritano;
attraverso i
contributi al
progresso civile
dei liberali e
dei
progressisti; e,
finalmente,
attraverso
l'azione
rivoluzionaria
destinata a
realizzare in
terra il
millennio
comunista o
qualche altro
millennio
gnostico. In
questo modo, lo
gnosticismo fu
estremamente
efficace nel
liberare energie
umane
destinandole
alla costruzione
di una civiltà,
perché appunto
nella loro
fervida
applicazione
all'attività
intramondana
consisteva la
salvezza. Il
risultato
storico fu
stupendo. Le
risorse umane
venute alla luce
per effetto di
questa spinta
furono una
autentica
rivelazione e la
loro
applicazione
all'opera
civilizzatrice
produsse lo
spettacolo,
davvero
stupefacente,
della
progressiva
società
occidentale. Per
quanto fatue
possano essere
certe
considerazioni
superficiali,
sul piano
dell'esperienza
è senz'altro
giustificata la
diffusa
convinzione che
la civiltà
moderna sia la
Civiltà per
eccellenza;
attribuendole
questo
significato di
salvezza, si è
davvero fatto
della crescita
dell'Occidente
un'apocalisse
della civiltà.
Ma un'ombra è
scesa a
offuscare questo
spettacolo,
perché a questa
stupenda
espansione si
accompagna un
pericolo che
cresce
rapidamente con
il progresso. La
natura di questo
pericolo è
divenuta
evidente nella
forma che l'idea
della salvezza
immanentistica
ha assunto nello
gnosticismo di
Comte. Il
fondatore del
positivismo
fissò il premio
per i contributi
recati al
progresso della
civiltà: viene
garantita
l'immortalità,
il ricordo
perenne nella
memoria del
genere umano,
alla persona e
alle opere di
quanti hanno
contribuito
attivamente a
quel progresso.
Vari sono i
gradi di tale
immortalità e
l'onore sommo
consiste
nell'assunzione
dei più
meritevoli nel
calendario dei
santi
positivistici.
Ma, in
quest'ordine di
cose, quale
destino tocca
agli uomini che
preferiscono
seguire Dio
piuttosto che il
nuovo Augusto
Comte? Questi
miscredenti, che
non sono
disposti a
offrire il loro
contributo
sociale
misurabile col
metro comtiano,
sono votati
all'inferno
dell'oblio
sociale. È
un'idea sulla
quale bisogna
concentrare
l'attenzione.
Noi abbiamo qui
un paracleto
gnostico che
assume il ruolo
di giudizio
finale
immanentistico
del genere umano
e decide
l'immortalità o
l'annientamento
di ogni singolo
essere umano. La
civiltà
materiale
dell'Occidente è
ancora in fase
espansiva, ma
già a questo
livello di
civiltà in
espansione, i
simboli del
contributo,
della memoria e
dell'oblio
lasciano
intravedere i
contorni di
quelle "buche
dell'oblio"
nelle quali i
divini redentori
degli imperi
gnostici fanno
precipitare le
loro vittime con
una pallottola
nella nuca.
Questa
conclusione del
progresso non
era stata
prevista nei
giorni alcionici
dell'esuberanza
gnostica. Milton
liberò Adamo ed
Eva con "un
paradiso dentro
di loro, molto
più felice"
del paradiso
perduto;
quand'essi si
fecero innanzi,
"il mondo era
tutto davanti a
loro" ed
essi ebbero di
che rallegrarsi
"pensando
alla felice
conclusione".
Ma quando, sul
piano storico,
l'uomo si fa
innanzi, recando
"dentro di sé"
il paradiso
gnostico, e
penetra nel
mondo che gli si
stende davanti,
non ha molto di
che rallegrarsi,
pensando alla
conclusione,
tutt'altro che
felice, che lo
attende.
La morte
dello spirito è
il prezzo del
progresso.
Nietzsche svelò
questo mistero
dell'apocalisse
occidentale
quando annunciò
che Dio era
morto
assassinato.(33)
Continuano a
perpetrare
questo
assassinio
gnostico gli
uomini che
sacrificano Dio
alla civiltà.
Quanto maggiore
è la frenesia
con cui tutte le
energie umane
vengono
consacrate alla
grande impresa
della salvezza
attraverso
l'azione
immanente al
mondo, tanto più
gli esseri umani
che si impegnano
in questa
impresa si
allontanano
dalla vita dello
spirito. E
poiché la vita
dello spirito è
la fonte
dell'ordine
nell'uomo e
nella società, i
successi di una
civiltà gnostica
diventano causa
del suo declino.
Una civiltà
può quindi
progredire e
regredire nello
stesso tempo -
ma non
indefinitamente.
C'è un limite a
questo processo
ambiguo; e il
limite è
raggiunto quando
una setta
attivistica, che
rappresenta la
verità gnostica,
organizza la
civiltà in un
impero di suo
dominio. Il
totalitarismo,
inteso come
dominazione
esistenziale di
attivisti
gnostici, è la
forma conclusiva
alla quale
approda ogni
civiltà votata
al culto del
progresso.
NOTE
1 Sul
passaggio dal
cristianesimo
escatologico
all'apocalittico,
cfr. ALOIS
DEMPF, Sacrum
Imperium,
Monaco e Berlino
1929, pp. 71 ss.
2 ALBERT
SCHWEITZER,
Geschichte der
Leben Jesu
Forschung,
Tubinga 1920,
pp. 406 ss. e
MAURICE GOGNEL,
Jésus,
2a. ed., Parigi
1950, il
capitolo su
La crise
galiléenne.
3 Sulla
tensione in seno
al cristianesimo
primitivo, sulla
ricezione
dell'Apocalisse
e sul suo
successivo ruolo
nell'escatologia
rivoluzionaria
occidentale,
cfr. JAKOB
TAUBES,
Abendlandische
Eschatologie,
Berna 1947,
spec. le pp. 69
ss.
4
SANT'AGOSTINO,
Civitas Dei,
20,7,8 e 9.
5 Dan. 2,44.
6 VIRGILIO,
Eneide.
1,278-279.
7 Per le
numerose fonti
cfr. ERNST
TROELTSCH,
Die Soziallehren
der christlichen
Kirchen und
Gruppen,
Tubinga 1912, p.
112.
8 Su
Gioacchino da
Fiore cfr.
HERBERT
GRUNDMAMN,
Studien uber
Joachim von
Floris,
Lipsia 1927;
Dempf cit., pp.
269 ss.; ERNESTO
BUONAIUTI,
Gioacchino da
Fiore, Roma
1951; dello
stesso autore la
"Introduzione"
al Tractatus
super quatuor
evangelio di
Gioacchino (Roma
1930); e i
capitoli su
Gioacchino ili
Taubes cit. e in
KARL LOWITH,
Meaning in
History,
Chicago 1949.
9 Per
ulteriori
trasformazioni
del gioachimismo
cfr. l'Appendice
I, Modern
Transfigurations
of Joachism,
in Lowith cit.
10 MOELLER
VAN DEN BRUCK,
Das Dritte
Reich,
Amburgo 1923.
Cfr. anche il
capitolo Das
Dritte Reich und
die Jutigen
Volker in
MOELLER VAN DEN
BRUCK, Die
Politischen
Krafte,
Breslau 1933. Il
simbolo entrò
nell'uso molto
lentamente. La
seconda edizione
del Dritte
Reich
apparve solo nel
1930, cinque
anni dopo il
suicidio
dell'autore;
cfr. anche
l'Introduzione
di Mary Agnes
Hamilton
all'edizione
inglese,
Germany's Third
Empire
(Londra 1934).
11 Codex
Justinianus,
I, 17,1,10. Cito
la formulazione
in termini
legali
dell'idea. Sulle
sfumature di
significato in
rapporto alla
fondazione e
organizzazione
di
Costantinopoli,
nel 330, cfr.
ANDREW ALFOLDI,
The
Conversion of
Constantine and
Pagan Rome.
trad. di Harold
Mattingly,
Oxford 1948, c.
IX: The Old
Rome and the New.
La tensione fra
le due Rome
risulta anche
dal canone 3 del
concilio di
Costantinopoli
del 381: "Il
Vescovo di
Costantinopoli è
il primo al
quale si deve
rendere onore,
subito dopo il
Vescovo di Roma,
perché
Costantinopoli è
la Nuova Roma"
(HENRY
BETTENSON,
Documents of the
Christian Church,
New York 1947,
p. 115).
12 Sulla
Terza Roma cfr.
HILDEGARD
SCHAEDER,
Moskau -Das
Dritte Rom:
Stuctien zur
Geschichte der
politischen
Theorien in der
slavischen Welt,
Amburgo 1929;
JOSEPH OLSR,
Gli ultimi
Rurikidi e le
basi ideologiche
della sovranità
dello stato
russo
("Orientalia
christiana",
vol. XII. Roma
1946); Hugo
RAHNER, Vom
Ersten bis zum
Dritten Rom,
Innsbruck 1950;
PAUL MILIUKOV,
Outlines of
Russian Culture,
part I:
Religion and the
Church,
Fhiladelphia
1945, pp. 15 ss.
13 GEORGE
VERNADSKY,
Political and
Diplomatic
History of
Russia,
Boston 1936, p.
158.
14 Ibid,, p.
180.
15 Ibid., p.
149.
16 Rahner
cit., p. 15.
17 Vernadsky
cit., pp. 169
ss.
18 NAPOLEON,
Vues
politiques,
Rio de Janeiro,
s. A., p. 340.
19 Per questa
concezione di
Dostoievskij
cfr. DMITRI
MEREZHKOVSKI,
Die Religiose
Revolution
(pubblicata come
Introduzione ai
Politische
Schriften di
Dostoievskij,
Monaco 1920) e
BERNHARD
SCHULTZB,
Russische Denker,
Vienna 1950, pp.
125 ss.
20 ALEXANDER
VON SCHELTING,
Russiand und
Europa,
Berna 1948, pp.
123 ss. e 261
ss.
21 Per un
esame della
concezione
agostiniana
della storia,
cfr. LOWITH cit.
22 Sull'eidos
della storia
cfr. HANS URS
VON BALTHASAR,
Teologia
della storia.
Morcelliana,
Brescia 1965; e
Lowith cit.,
passim.
23 Per la
distinzione
delle due
componenti (che
fu introdotta da
Troeltsch) e per
il conseguente
dibattito
teologico, cfr.
HANS URS von
BALTHASAR,
Prometheus,
Heidelberg 1947,
pp. 12 ss.
24 Queste
riflessioni
sull'incertezza
della fede
devono
intendersi sotto
la specie di una
psicologia
dell'esperienza.
Per la teologia
della
definizione
della fede in
Ebr. 11,1, che è
il presupposto
della nostra
analisi, cfr.
SAN TOMMASO,
Summa theologica,
2-2, 4,1.
25 Le
ricerche sulla
gnosi si stanno
sviluppando con
tanta rapidità
che basterà uno
studio delle
principali opere
dell'ultima
generazione per
rendersi conto
delle sue
dimensioni.
Particolarmente
importanti sono:
EUGÈNE DE FAYE,
Gnostiques et
gnosticismo,
2a. ed., Parigi
1925; HANS
JONAS, Gnosis
und spatantiker
Geist,
Gotingen 1934;
SIMONE
PÉTREMENT, Le
dualisme chez
Platon, les
Gnostiques et
les Manichéens,
Parigi 1947;
HANS SODERBERG,
La Religion
des Cathares,
Uppsala 1949.
26 Per un
quadro generale
della gamma di
fenomeni
gnostici nel
mondo moderno
cfr. BALTHASAR,
Prometheus,
p. 6.
27 Sul
superuomo di
Feuerbach e di
Marx cfr. HENRI
DE LUBAC, Le
Drame de l'humanisme
athée, 3a
ed., Parigi
1945, pp. 15
ss.; Lowith
cit.,
specialmente la
citazione di p.
36 relativa agli
"uomini nuovi";
ERIC VOEGELIN,
The Formation
of the Marxian
Revolutionary
Idea, in "Review
of Politics",
vol. XII, 1950,
28
L'espressione
"uomo indiato" (godded
man) è stata
coniata da Henry
Nicholas (cfr.
RUFUS M. JONES,
Studies in
Mystical
Religion,
Londra 1936, n.
434).
29 Sulla
gnosi nel
primitivo
cristianesimo
cfr. RUDOLF
BULTMANN, Das
Urchristentum im
Rahmen der
antiken
Religionen,
Zurigo 1949.
30 Sull'imperium
apollineo come
Terzo Regno c£r.
KARL BURDACH,
Reformation,
Renaissane e
Humanismus,
2a ed., Berlino
e Lipsia 1926,
pp. 133 ss.; e,
dello stesso
autore.
Rienzo und die
geistige
Wandlung seiner
Zeit,
Berlino 1913-28,
vol. II/l:
Vom Mittelalter
zur Reformation,
p. 542.
31 CONDORCET,
Esquisse
(1795), pp.
310-318.
32 NIETZSCHE.
Morgenrothe,
§ 79.
33 Sui passi
di Nietzsche
relativi all'
"assassinio di
Dio", sulla
preistoria
dell'idea e sul
relativo
dibattito
letterario, cfr.
De Lubac cit.,
pp. 40 ss. Per
la più completa
esposizione
dell'idea
nell'opera di
Nietzsche cfr.
KARL JASPERS,
Nietzsche:
Einfuhrung in
das Verstandnis
seines
Philosophierens,
seguendo i
riferimenti
contenuti
nell'indice.