La morale
gnostica.
L'elemento
negativo che
abbiamo finora
sottolineato,
rappresenta
naturalmente
solo un lato
della condizione
gnostica.
Proprio come il
cosmo non è più
il Tutto, ma è
sorpassato dal
regno divino che
è al di là, così
l'anima non è
più l'intera
persona, ma è
superata dal
pneuma acosmico
che è
all'interno:
qualche cosa di
molto differente
dalla «ragione»
e
dall'«intelletto»
dell'insegnamento
greco. E come il
profondo
pessimismo
cosmico è
contrapposto
all'ottimismo
della certezza
escatologica,
così il profondo
pessimismo
psicologico, che
dispera
dell'anima in
quanto schiava
del cosmo, è
contrapposto
alla confidenza
presuntuosa
nella libertà,
in definitiva
inattaccabile,
del pneuma. E se
la
contrapposizione
del cosmo con
tutto quello che
non è cosmo,
significa che
c'è un'evasione
dalla prigionia
del primo, così
la dualità
interiore di
«anima» e
«spirito», ossia
la presenza
interna di un
principio
trascendente,
che è
indefinibile per
la sua
differenza da
tutto ciò che è
«mondano», offre
la possibilità
di spogliarsi
della propria
anima e
sperimentare la
divinità dell'io
assoluto.
- Nichilismo e
libertinismo.
La più assoluta
e radicale
espressione
della rivolta
metafisica è il
nichilismo
morale. Nella
critica di
Plotino era
implicata
l'indifferenza
morale degli
Gnostici, cioè
non soltanto
l'essenza di una
dottrina sulla
virtù, ma anche
la noncuranza di
ritegni morali
nella vita
pratica. La
polemica dei
Padri della
Chiesa ci dice
qualche cosa di
più sulla teoria
o metafisica di
ciò che è noto
come
libertinismo
gnostico.
Citiamo da
Ireneo:
«Gli uomini
psichici sono
istruiti nelle
cose psichiche,
sono irrobustiti
dalle opere e
dalla semplice
fede e non
possiedono la
perfetta
conoscenza. Così
siamo noi della
Chiesa (secondo
loro). Perciò
per noi, essi
affermano, è
necessaria per
la salvezza una
vita morale.
Essi stessi,
tuttavia,
sarebbero salvi,
secondo il loro
insegnamento, in
modo assoluto e
in qualsiasi
circostanza, non
per le opere, ma
per il semplice
fatto di essere
'spirituali' per
natura. Perché,
come è
impossibile che
l'elemento
terreno
partecipi della
salvezza, non
essendo
suscettibile di
essa, così è
impossibile che
l'elemento
spirituale (che
essi pretendono
di essere)
soffra la
corruzione,
qualunque siano
le azioni in cui
si sono
compiaciuti.
Come l'oro
immerso nella
sporcizia non
perde la sua
bellezza, ma
conserva la sua
natura propria,
e la sporcizia
non è in grado
di deteriorare
l'oro, così
niente può recar
loro danno,
anche se le loro
azioni li
immergono nella
materia, perché
nulla può
cambiare la loro
essenza
spirituale.
Perciò 'il più
perfetto' di
loro compie
senza vergogna
tutte le cose
proibite di cui
la Scrittura ci
assicura che
'coloro che
fanno tali cose
non erediteranno
il regno di
Dio'... Altri
servono con
intemperanza i
desideri della
carne e dicono
che bisogna dare
carne alla carne
e spirito allo
spirito» (Adv.
Haer. I, 6,
2-3).
In questo brano
ci sono molti
argomenti
importanti. Uno
è fondato
sull'idea di
nature o
sostanze
invariabili, e
secondo tale
argomento il
pneumatico è
«salvato
naturalmente»,
cioè è salvato
per virtù della
sua natura. La
conseguenza
pratica di ciò è
la massima
dissolutezza,
che permette al
pneumatico l'uso
indiscriminato
del regno
naturale. La
differenza
all'interno del
mondo tra buono
e cattivo è
stata sommersa
nell'indifferenza
essenziale di
tutto ciò che è
cosmico nei
confronti del
destino dell'io
acosmico. Ma
l'indifferenza
non è la storia
completa del
libertinismo
gnostico.
L'ultimo periodo
nel passo di
Ireneo
suggerisce già
un'ingiunzione
positiva
dell'eccesso.
Prima di passare
a questa strana
dottrina
dell'immoralismo
gnostico su base
religiosa,
dobbiamo
stabilire con
maggiore
ampiezza la
posizione di
indifferentismo.
L'unica cosa a
cui il
pneumatico è
legato è il
regno della
divinità
transmondana,
trascendenza del
genere più
radicale. Tale
trascendenza, a
differenza del
«mondo
intelligibile»
del platonismo o
del Signore del
mondo del
giudaismo, non
ha alcuna
relazione
positiva col
mondo sensibile.
Non è l'essenza
di questo mondo,
ma ne è la
negazione e la
cancellazione.
Il Dio gnostico,
in quanto
distinto dal
demiurgo, è il
totalmente
differente,
l'altro, lo
sconosciuto. In
lui l'assoluto
che è al di là
trasparisce
attraverso gli
involucri
cosmici che lo
racchiudono. E
poiché questo
Dio ha più del
"nihil" che
dell'"ens" nel
suo concetto,
così anche la
sua copia umana,
l'Io acosmico o
pneuma,
altrimenti
nascosto, si
rivela
nell'esperienza
negativa di
alterità, di
non-identificazione
e di proclamata
indefinibile
libertà.
Comunque si
consideri la
relazione
dell'uomo con la
realtà
esistente, sia
il Dio nascosto
che il pneuma
nascosto
appaiono
concezioni
nichilistiche:
non emana da
essi alcun
"nomos", cioè
nessuna legge
sia di natura
che di condotta
umana come parte
dell'ordine
naturale. C'è
certamente una
legge di
creazione, ma
ciò che è
straniero
nell'uomo non
deve alcuna
fedeltà a colui
che ha creato il
mondo; e né la
sua creazione,
sebbene circondi
l'uomo in modo
incomprensibile,
né la sua
proclamata
volontà offrono
le norme con le
quali l'uomo
isolato può
fissare il suo
cammino. Ne
consegue
l'argomento
antinomico degli
Gnostici, in
quanto puramente
"negativo": come
tale non
stabilisce altro
che le norme del
regno
non-spirituale
non sono
obbliganti per
colui che è
dello spirito.
A questo
proposito
troviamo
talvolta nel
ragionamento
gnostico
l'argomento
"soggettivistico"
dello
scetticismo
morale
tradizionale:
nulla è
naturalmente
buono o cattivo,
le cose in se
stesse sono
indifferenti e
«solamente
secondo il
giudizio umano
le azioni sono
buone o
cattive». L'uomo
spirituale nella
libertà della
sua conoscenza
può usare di
tutte
indifferentemente
(Iren., op. cit.
I, 25, 4-5).
Sebbene ciò
richiami il
ragionamento di
certi Sofisti
classici, una
più profonda
riflessione
gnostica sulla
"sorgente" di
tali «opinioni
umane» trasforma
l'argomento da
scettico a
metafisico, e
muta
l'indifferenza
in opposizione:
la sorgente
ultima non è
umana ma
demiurgica, e
perciò comune
con quella
dell'ordine di
natura. In
ragione di
questa sorgente
la legge non è
in realtà
indifferente, ma
è parte del
grande disegno
formato contro
la nostra
libertà. Essendo
legge, il codice
morale non è che
il complemento
psichico della
legge fisica, e
come tale è
l'aspetto
interno della
regola cosmica
che tutto
pervade.
Entrambe le
leggi emanano
dal signore del
mondo come
agenti del suo
potere,
unificate nel
doppio aspetto
del Dio giudaico
creatore e
legislatore.
Come la legge
del mondo
fisico,
l'"heimarméne",
integra i corpi
individuali nel
sistema
generale, così
fa la legge
morale per le
anime,
rendendole
strumenti nello
schema
demiurgico.
Perché, che
cos'è la legge -
sia rivelata per
mezzo di Mosè e
dei profeti sia
operante nelle
abitudini reali
e nelle opinioni
degli uomini -
se non il mezzo
di regolare e
stabilizzare
l'uomo negli
affari del mondo
e negli
interessi
mondani; di
mettere con le
sue regole il
sigillo di
serietà, di lode
e di biasimo,
ricompensa e
punizione, sul
suo totale
impegno; di fare
della sua
volontà una
parte
condiscendente
del sistema
costrittivo che
così funzionerà
in modo tanto
più liscio e
inestricabile?
Per quanto il
principio di
questa legge
morale è
giustizia, ha lo
stesso carattere
di obbligo sulla
parte psichica
di quello che ha
il fato cosmico
sulla parte
fisica. «Gli
angeli che hanno
creato il mondo
stabilirono
'giuste azioni'
per condurre
l'uomo in
schiavitù con
tali precetti»
(1). Nella legge
normativa la
volontà
dell'uomo è
guidata dagli
stessi poteri
che controllano
il suo corpo.
Colui che
obbedisce ha
abdicato
l'autorità del
proprio io.
Abbiamo qui,
oltre la pura
indifferenza
dell'argomento
«soggettivistico»
e oltre il
privilegio
puramente
permissivo della
libertà, un
interesse
metafisico
positivo nel
ripudiare
fedeltà alle
norme oggettive
e perciò un
motivo per la
loro
trasgressione.
E' il doppio
interesse di
affermare
l'autentica
libertà dell'io
sfidando gli
Arconti e di
danneggiare la
causa generale
frustrando
individualmente
il loro disegno.
Anche questa non
è la storia
completa del
libertinismo
gnostico. Oltre
il motivo di
sfida, si trova
talvolta che la
libertà di fare
qualsiasi cosa è
trasformata in
un "obbligo"
positivo di
compiere ogni
genere di
azioni, con
l'idea di
restituire alla
natura ciò che
le è proprio e
così esaurirne i
poteri. La
dottrina,
accennata
brevemente nel
passo di Ireneo
che abbiamo
citato (I, 6,
2-3), è esposta
più ampiamente
da lui nella
trattazione di
Carpocrate e dei
Cainiti. Nel
primo è unita
alla dottrina
della
trasmigrazione e
in tale
combinazione
l'amoralismo è
il mezzo con cui
viene raggiunta
la libertà,
piuttosto che la
maniera in cui è
posseduta.
«Le anime nella
trasmigrazione
di corpo in
corpo devono
passare
attraverso ogni
genere di vita e
ogni tipo di
azioni, a meno
che qualcuno non
abbia già
compiuto tutto
in una sola
venuta...
Secondo i loro
scritti, le
anime prima di
partire dal
corpo devono
aver provato
ogni modo di
vita e non
devono aver
lasciato residuo
di sorta da
compiere:
altrimenti
devono essere
mandate di nuovo
in un altro
corpo perché
qualche cosa
manca ancora
alla loro
libertà. Gesù ha
indicato ciò con
le parole:
'...Ti dico che
tu non uscirai
di là, finché tu
non abbia pagato
fino all'ultimo
spicciolo'
("Luca" 12,
59)... Ciò
significa che
egli non potrà
essere liberato
dal potere degli
angeli che hanno
fatto il mondo,
ma dovrà sempre
reincarnarsi
finché non abbia
compiuto tutte
le azioni che ci
sono nel mondo,
e soltanto
quando non ci
sia più niente
da compiere sarà
libero di
giungere a quel
Dio che è al di
sopra degli
angeli creatori
del mondo. Così
le anime sono
liberate e
salvate... dopo
che hanno pagato
il loro debito e
reso il dovuto»
(Iren. I, 25, 4;
confronta Eus.,
"Hist. eccl."
IV, 7).
E a proposito
dei Cainiti
Ireneo dice:
«In nessun altro
modo si può
essere salvi
fuorché passando
attraverso tutte
le azioni, come
insegna anche
Carpocrate... Un
angelo è
presente ad ogni
fatto
peccaminoso e
infame, e colui
che lo
commette... si
rivolge a lui
per nome e dice:
'O angelo,
sfrutto il tuo
agire! O tu
Potenza di N.
N., compio la
tua opera!'. E
questa è la
perfetta
conoscenza che
non ha paura di
deviare in
quelle azioni
che sono
addirittura
innominabili»
(Iren. I, 31,
2).
L'idea che nel
peccare si porta
a termine una
specie di
programma, un
debito pagato
come prezzo
della libertà
definitiva, è il
sostegno
dottrinale più
potente della
tendenza
libertinistica
inerente alla
ribellione
gnostica come
tale e la
trasforma in
prescrizione
positiva di
immoralismo. Il
peccato come via
di salvezza,
l'inversione
teologica di
peccato stesso:
uno degli
antecedenti del
satanismo
medievale, e,
anche, un
archetipo del
mito di Faust.
D'altra parte,
la combinazione
in Carpocrate di
questa dottrina
col tema della
trasmigrazione
rappresenta un
curioso
adattamento
dell'insegnamento
pitagorico e
forse anche
della dottrina
del "karma"
indiano, dove la
liberazione
dalla «ruota
delle nascite» è
l'interesse
dominante,
sebbene in uno
spirito molto
diverso.
Possiamo mettere
in dubbio con
Ireneo che i
predicatori di
tale concezione
vivessero in
conformità con
la loro
professione.
Scandalizzare è
sempre stato
l'orgoglio dei
ribelli, ma gran
parte di esso
può essere
soddisfatto con
la provocazione
della dottrina
piuttosto che
dei fatti.
Tuttavia non
dobbiamo
sottovalutare
gli estremi a
cui la sfida
rivoluzionaria e
la vertigine
della libertà
possono arrivare
nella mancanza
di qualsiasi
valore creata
dalla crisi
spirituale. La
scoperta stessa
di una nuova
prospettiva che
invalida tutte
le norme
precedenti
costituiva una
condizione
anarchica, e gli
accessi di
pensiero e di
vita erano la
prima risposta
al significato e
alle dimensioni
di tale
prospettiva.