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La Morale Gnostica

Hans Jonas

 

 

La morale gnostica.


L'elemento negativo che abbiamo finora sottolineato, rappresenta naturalmente solo un lato della condizione gnostica. Proprio come il cosmo non è più il Tutto, ma è sorpassato dal regno divino che è al di là, così l'anima non è più l'intera persona, ma è superata dal pneuma acosmico che è all'interno: qualche cosa di molto differente dalla «ragione» e dall'«intelletto» dell'insegnamento greco. E come il profondo pessimismo cosmico è contrapposto all'ottimismo della certezza escatologica, così il profondo pessimismo psicologico, che dispera dell'anima in quanto schiava del cosmo, è contrapposto alla confidenza presuntuosa nella libertà, in definitiva inattaccabile, del pneuma. E se la contrapposizione del cosmo con tutto quello che non è cosmo, significa che c'è un'evasione dalla prigionia del primo, così la dualità interiore di «anima» e «spirito», ossia la presenza interna di un principio trascendente, che è indefinibile per la sua differenza da tutto ciò che è «mondano», offre la possibilità di spogliarsi della propria anima e sperimentare la divinità dell'io assoluto.


- Nichilismo e libertinismo.


La più assoluta e radicale espressione della rivolta metafisica è il nichilismo morale. Nella critica di Plotino era implicata l'indifferenza morale degli Gnostici, cioè non soltanto l'essenza di una dottrina sulla virtù, ma anche la noncuranza di ritegni morali nella vita pratica. La polemica dei Padri della Chiesa ci dice qualche cosa di più sulla teoria o metafisica di ciò che è noto come libertinismo gnostico. Citiamo da Ireneo:


«Gli uomini psichici sono istruiti nelle cose psichiche, sono irrobustiti dalle opere e dalla semplice fede e non possiedono la perfetta conoscenza. Così siamo noi della Chiesa (secondo loro). Perciò per noi, essi affermano, è necessaria per la salvezza una vita morale. Essi stessi, tuttavia, sarebbero salvi, secondo il loro insegnamento, in modo assoluto e in qualsiasi circostanza, non per le opere, ma per il semplice fatto di essere 'spirituali' per natura. Perché, come è impossibile che l'elemento terreno partecipi della salvezza, non essendo suscettibile di essa, così è impossibile che l'elemento spirituale (che essi pretendono di essere) soffra la corruzione, qualunque siano le azioni in cui si sono compiaciuti. Come l'oro immerso nella sporcizia non perde la sua bellezza, ma conserva la sua natura propria, e la sporcizia non è in grado di deteriorare l'oro, così niente può recar loro danno, anche se le loro azioni li immergono nella materia, perché nulla può cambiare la loro essenza spirituale. Perciò 'il più perfetto' di loro compie senza vergogna tutte le cose proibite di cui la Scrittura ci assicura che 'coloro che fanno tali cose non erediteranno il regno di Dio'... Altri servono con intemperanza i desideri della carne e dicono che bisogna dare carne alla carne e spirito allo spirito» (Adv. Haer. I, 6, 2-3).


In questo brano ci sono molti argomenti importanti. Uno è fondato sull'idea di nature o sostanze invariabili, e secondo tale argomento il pneumatico è «salvato naturalmente», cioè è salvato per virtù della sua natura. La conseguenza pratica di ciò è la massima dissolutezza, che permette al pneumatico l'uso indiscriminato del regno naturale. La differenza all'interno del mondo tra buono e cattivo è stata sommersa nell'indifferenza essenziale di tutto ciò che è cosmico nei confronti del destino dell'io acosmico. Ma l'indifferenza non è la storia completa del libertinismo gnostico. L'ultimo periodo nel passo di Ireneo suggerisce già un'ingiunzione positiva dell'eccesso. Prima di passare a questa strana dottrina dell'immoralismo gnostico su base religiosa, dobbiamo stabilire con maggiore ampiezza la posizione di indifferentismo.

L'unica cosa a cui il pneumatico è legato è il regno della divinità transmondana, trascendenza del genere più radicale. Tale trascendenza, a differenza del «mondo intelligibile» del platonismo o del Signore del mondo del giudaismo, non ha alcuna relazione positiva col mondo sensibile. Non è l'essenza di questo mondo, ma ne è la negazione e la cancellazione. Il Dio gnostico, in quanto distinto dal demiurgo, è il totalmente differente, l'altro, lo sconosciuto. In lui l'assoluto che è al di là trasparisce attraverso gli involucri cosmici che lo racchiudono. E poiché questo Dio ha più del "nihil" che dell'"ens" nel suo concetto, così anche la sua copia umana, l'Io acosmico o pneuma, altrimenti nascosto, si rivela nell'esperienza negativa di alterità, di non-identificazione e di proclamata indefinibile libertà. Comunque si consideri la relazione dell'uomo con la realtà esistente, sia il Dio nascosto che il pneuma nascosto appaiono concezioni nichilistiche: non emana da essi alcun "nomos", cioè nessuna legge sia di natura che di condotta umana come parte dell'ordine naturale. C'è certamente una legge di creazione, ma ciò che è straniero nell'uomo non deve alcuna fedeltà a colui che ha creato il mondo; e né la sua creazione, sebbene circondi l'uomo in modo incomprensibile, né la sua proclamata volontà offrono le norme con le quali l'uomo isolato può fissare il suo cammino. Ne consegue l'argomento antinomico degli Gnostici, in quanto puramente "negativo": come tale non stabilisce altro che le norme del regno non-spirituale non sono obbliganti per colui che è dello spirito.

A questo proposito troviamo talvolta nel ragionamento gnostico l'argomento "soggettivistico" dello scetticismo morale tradizionale: nulla è naturalmente buono o cattivo, le cose in se stesse sono indifferenti e «solamente secondo il giudizio umano le azioni sono buone o cattive». L'uomo spirituale nella libertà della sua conoscenza può usare di tutte indifferentemente (Iren., op. cit. I, 25, 4-5). Sebbene ciò richiami il ragionamento di certi Sofisti classici, una più profonda riflessione gnostica sulla "sorgente" di tali «opinioni umane» trasforma l'argomento da scettico a metafisico, e muta l'indifferenza in opposizione: la sorgente ultima non è umana ma demiurgica, e perciò comune con quella dell'ordine di natura. In ragione di questa sorgente la legge non è in realtà indifferente, ma è parte del grande disegno formato contro la nostra libertà. Essendo legge, il codice morale non è che il complemento psichico della legge fisica, e come tale è l'aspetto interno della regola cosmica che tutto pervade. Entrambe le leggi emanano dal signore del mondo come agenti del suo potere, unificate nel doppio aspetto del Dio giudaico creatore e legislatore. Come la legge del mondo fisico, l'"heimarméne", integra i corpi individuali nel sistema generale, così fa la legge morale per le anime, rendendole strumenti nello schema demiurgico.

Perché, che cos'è la legge - sia rivelata per mezzo di Mosè e dei profeti sia operante nelle abitudini reali e nelle opinioni degli uomini - se non il mezzo di regolare e stabilizzare l'uomo negli affari del mondo e negli interessi mondani; di mettere con le sue regole il sigillo di serietà, di lode e di biasimo, ricompensa e punizione, sul suo totale impegno; di fare della sua volontà una parte condiscendente del sistema costrittivo che così funzionerà in modo tanto più liscio e inestricabile? Per quanto il principio di questa legge morale è giustizia, ha lo stesso carattere di obbligo sulla parte psichica di quello che ha il fato cosmico sulla parte fisica. «Gli angeli che hanno creato il mondo stabilirono 'giuste azioni' per condurre l'uomo in schiavitù con tali precetti» (1). Nella legge normativa la volontà dell'uomo è guidata dagli stessi poteri che controllano il suo corpo. Colui che obbedisce ha abdicato l'autorità del proprio io. Abbiamo qui, oltre la pura indifferenza dell'argomento «soggettivistico» e oltre il privilegio puramente permissivo della libertà, un interesse metafisico positivo nel ripudiare fedeltà alle norme oggettive e perciò un motivo per la loro trasgressione. E' il doppio interesse di affermare l'autentica libertà dell'io sfidando gli Arconti e di danneggiare la causa generale frustrando individualmente il loro disegno.

Anche questa non è la storia completa del libertinismo gnostico. Oltre il motivo di sfida, si trova talvolta che la libertà di fare qualsiasi cosa è trasformata in un "obbligo" positivo di compiere ogni genere di azioni, con l'idea di restituire alla natura ciò che le è proprio e così esaurirne i poteri. La dottrina, accennata brevemente nel passo di Ireneo che abbiamo citato (I, 6, 2-3), è esposta più ampiamente da lui nella trattazione di Carpocrate e dei Cainiti. Nel primo è unita alla dottrina della trasmigrazione e in tale combinazione l'amoralismo è il mezzo con cui viene raggiunta la libertà, piuttosto che la maniera in cui è posseduta.


«Le anime nella trasmigrazione di corpo in corpo devono passare attraverso ogni genere di vita e ogni tipo di azioni, a meno che qualcuno non abbia già compiuto tutto in una sola venuta... Secondo i loro scritti, le anime prima di partire dal corpo devono aver provato ogni modo di vita e non devono aver lasciato residuo di sorta da compiere: altrimenti devono essere mandate di nuovo in un altro corpo perché qualche cosa manca ancora alla loro libertà. Gesù ha indicato ciò con le parole: '...Ti dico che tu non uscirai di là, finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo' ("Luca" 12, 59)... Ciò significa che egli non potrà essere liberato dal potere degli angeli che hanno fatto il mondo, ma dovrà sempre reincarnarsi finché non abbia compiuto tutte le azioni che ci sono nel mondo, e soltanto quando non ci sia più niente da compiere sarà libero di giungere a quel Dio che è al di sopra degli angeli creatori del mondo. Così le anime sono liberate e salvate... dopo che hanno pagato il loro debito e reso il dovuto» (Iren. I, 25, 4; confronta Eus., "Hist. eccl." IV, 7).


E a proposito dei Cainiti Ireneo dice:


«In nessun altro modo si può essere salvi fuorché passando attraverso tutte le azioni, come insegna anche Carpocrate... Un angelo è presente ad ogni fatto peccaminoso e infame, e colui che lo commette... si rivolge a lui per nome e dice: 'O angelo, sfrutto il tuo agire! O tu Potenza di N. N., compio la tua opera!'. E questa è la perfetta conoscenza che non ha paura di deviare in quelle azioni che sono addirittura innominabili» (Iren. I, 31, 2).


L'idea che nel peccare si porta a termine una specie di programma, un debito pagato come prezzo della libertà definitiva, è il sostegno dottrinale più potente della tendenza libertinistica inerente alla ribellione gnostica come tale e la trasforma in prescrizione positiva di immoralismo. Il peccato come via di salvezza, l'inversione teologica di peccato stesso: uno degli antecedenti del satanismo medievale, e, anche, un archetipo del mito di Faust. D'altra parte, la combinazione in Carpocrate di questa dottrina col tema della trasmigrazione rappresenta un curioso adattamento dell'insegnamento pitagorico e forse anche della dottrina del "karma" indiano, dove la liberazione dalla «ruota delle nascite» è l'interesse dominante, sebbene in uno spirito molto diverso.

Possiamo mettere in dubbio con Ireneo che i predicatori di tale concezione vivessero in conformità con la loro professione. Scandalizzare è sempre stato l'orgoglio dei ribelli, ma gran parte di esso può essere soddisfatto con la provocazione della dottrina piuttosto che dei fatti. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare gli estremi a cui la sfida rivoluzionaria e la vertigine della libertà possono arrivare nella mancanza di qualsiasi valore creata dalla crisi spirituale. La scoperta stessa di una nuova prospettiva che invalida tutte le norme precedenti costituiva una condizione anarchica, e gli accessi di pensiero e di vita erano la prima risposta al significato e alle dimensioni di tale prospettiva.

 

Tratto da LO GNOSTICISMO edizioni Sei







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