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Eva e il Serpente

Hans Jonas

 

 

 

- Eva e il serpente.


Abbiamo già incontrato sopra (par. i, n) l'interpretazione gnostica del sonno di Adamo nell'Eden, la quale implica una concezione molto poco ortodossa dell'autore circa questo sonno e il giardino nel quale ha luogo la scena. L'"Apocrifo di Giovanni", pubblicato di recente, dà forma esplicita a questa revisione comprensiva del racconto della Genesi, in cui si afferma che esso è una rivelazione del Signore al discepolo Giovanni. A proposito del giardino:


«Il primo Arconte (Ialdabaoth) portò Adamo (creato dagli Arconti) nel paradiso che gli disse essere una 'delizia' (38) per lui; cioè, aveva intenzione di ingannarlo. Perché la loro (degli Arconti) delizia è amara e la loro bellezza è illecita. Lo loro delizia è inganno e il loro albero era inimicizia. Il loro frutto è veleno contro il quale non vi è rimedio, e la loro promessa è morte per lui. Tuttavia il loro albero fu piantato come 'albero della vita', ti svelerò il mistero della loro 'vita': è il loro Spirito contraffatto (39) che ha origine da essi per tenere Adamo lontano (40), cosicché egli non conosca la sua perfezione» (55, 18-56, 17, Till).


A proposito del sonno:


«Non come disse Mosè 'Lo fece dormire', ma egli coprì la sua percezione con un velo e lo rese pesante per l'incapacità di percezione, perché egli disse a se stesso per bocca del profeta (Is. 6,10): 'Renderò sorde le orecchie dei loro cuori, affinché non possano comprendere e non possano vedere'» (58,16 - 59, 5).


Nella stessa vena di opposizione è la concezione gnostica del serpente e la sua funzione nell'indurre Eva a mangiare il frutto. Per più di una ragione, tra le quali una non di poco conto è la menzione della «conoscenza», il racconto biblico esercitò grande attrazione sugli Gnostici. Essendo il serpente a persuadere Adamo ed Eva a mangiare del frutto della conoscenza e quindi a disubbidire al loro Creatore, esso venne a rappresentare in tutto un gruppo di sistemi il principio «pneumatico» che contrasta dall'aldilà i disegni del Demiurgo, e così tanto più in grado di diventare un simbolo dei poteri di redenzione, quanto il Dio biblico era stato degradato a simbolo di oppressione cosmica.

In realtà, più di una setta gnostica ha derivato il nome dal culto del "serpente" («Ofiti» dal greco "ophis"; «Naasseni» dall'ebraico "nahas" - il gruppo nel suo insieme è chiamato «ofitico»); e tale posizione del serpente è basata su un'audace interpretazione allegorica del testo biblico. Ecco la versione data da Ireneo nella sua esposizione riassuntiva della concezione ofitica (I, 30, 7): la Madre oltremondana, Sophia-Prunikos, che cerca di contrastare l'attività demiurgica del figlio apostata Ialdabaoth, manda il serpente a «sedurre Adamo ed Eva e indurli a disobbedire al comando di Ialdabaoth». Il piano riesce, entrambi mangiano dell'albero «del quale Dio [cioè il Demiurgo] aveva proibito loro di mangiare. Ma dopo che essi ebbero mangiato, conobbero il potere dell'al di là e si allontanarono dai loro creatori». E' il primo successo del principio trascendente contro il principio del mondo, il quale è vitalmente interessato ad impedire la conoscenza nell'uomo, come ostaggio della Luce all'interno del mondo: l'azione del serpente segna l'inizio della gnosi sulla terra, che perciò per la sua stessa origine è segnata come opposizione al mondo e al suo Dio, e invero come una forma di ribellione.

I Perati, di un'estrema coerenza, non hanno esitato a considerare il Gesù storico come una particolare incarnazione del «serpente universale», ossia il serpente del Paradiso inteso come principio (confronta più avanti). Nell'"Apocrifo di Giovanni", gnostico-barbeliota (non-ofitico), tale identificazione, che diviene inevitabile nello svolgimento dell'argomentazione, è evitata di stretta misura giocando sulla differenza tra «albero della vita» e «albero della conoscenza del bene e del male»: Cristo infatti invita l'uomo a mangiare di quest'ultimo contro il comando degli Arconti, mentre il serpente, identificato con Ialdabaoth, spingendo l'uomo verso l'altro albero, è lasciato al suo compito tradizionale di corruttore (questo, in maniera non troppo convincente, in risposta alla domanda allarmata dei discepoli: «Cristo, non è stato il serpente che l'ammaestrò?»). Perciò, evitando così l'identificazione delle due figure simboliche, solo una parte della funzione del serpente è stata attribuita a Cristo. I Valentiniani d'altra parte, sebbene non abbiano coinvolto Gesù nell'azione svoltasi in Paradiso, tracciarono un parallelo allegorico tra lui e il "frutto" dell'albero: essendo stato appeso ad un «legno» (41), egli «divenne un Frutto della Conoscenza del Padre, che tuttavia "non" portò rovina a coloro che ne mangiarono» (E. V. 18, 25 s.). Non si può decidere con certezza dall'esempio citato se la negazione mette semplicemente in contrasto il nuovo avvenimento e il vecchio (secondo la maniera di san Paolo), oppure se intende rettificare il racconto stesso della Genesi. Ma questa seconda ipotesi si verifica chiaramente in altri passi ed è certamente secondo la maniera gnostica (confronta il ripetuto, brusco «non come Mosè disse» nell'"Apocrifo di Giovanni").

Al tempo di Mani (terzo secolo) l'interpretazione gnostica della storia del Paradiso e la connessione di Gesù con essa era così fermamente stabilita, che egli poté mettere semplicemente Gesù al posto del serpente senza neanche menzionare quest'ultimo: «Egli fece alzare (Adamo) e gli fece mangiare dell'albero della vita» (confronta sopra, par. n). Ciò che una volta era stato una cosciente arditezza di allegoria era diventato un mito indipendente che poteva essere sfruttato senza alcun riferimento al modello originale (e forse nemmeno un ricordo di esso). La genesi rivoluzionaria di codesto motivo a quest'epoca era probabilmente del tutto dimenticata. Il che mostra che l'allegoria gnostica, a differenza di quella degli Stoici o della letteratura sincretistica in genere, era essa stessa la fonte di una nuova mitologia: questa è il veicolo rivoluzionario del suo emergere nei confronti di una tradizione inveterata; e poiché cerca di sopraffare quest'ultima, il principio di tale allegoria deve essere il paradosso e non la coerenza.

 

Tratto da LO GNOSTICISMO edizioni Sei







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