- Eva e il
serpente.
Abbiamo già
incontrato sopra
(par. i, n)
l'interpretazione
gnostica del
sonno di Adamo
nell'Eden, la
quale implica
una concezione
molto poco
ortodossa
dell'autore
circa questo
sonno e il
giardino nel
quale ha luogo
la scena.
L'"Apocrifo di
Giovanni",
pubblicato di
recente, dà
forma esplicita
a questa
revisione
comprensiva del
racconto della
Genesi, in cui
si afferma che
esso è una
rivelazione del
Signore al
discepolo
Giovanni. A
proposito del
giardino:
«Il primo
Arconte
(Ialdabaoth)
portò Adamo
(creato dagli
Arconti) nel
paradiso che gli
disse essere una
'delizia' (38)
per lui; cioè,
aveva intenzione
di ingannarlo.
Perché la loro
(degli Arconti)
delizia è amara
e la loro
bellezza è
illecita. Lo
loro delizia è
inganno e il
loro albero era
inimicizia. Il
loro frutto è
veleno contro il
quale non vi è
rimedio, e la
loro promessa è
morte per lui.
Tuttavia il loro
albero fu
piantato come
'albero della
vita', ti
svelerò il
mistero della
loro 'vita': è
il loro Spirito
contraffatto
(39) che ha
origine da essi
per tenere Adamo
lontano (40),
cosicché egli
non conosca la
sua perfezione»
(55, 18-56, 17,
Till).
A proposito del
sonno:
«Non come disse
Mosè 'Lo fece
dormire', ma
egli coprì la
sua percezione
con un velo e lo
rese pesante per
l'incapacità di
percezione,
perché egli
disse a se
stesso per bocca
del profeta (Is.
6,10): 'Renderò
sorde le
orecchie dei
loro cuori,
affinché non
possano
comprendere e
non possano
vedere'» (58,16
- 59, 5).
Nella stessa
vena di
opposizione è la
concezione
gnostica del
serpente e la
sua funzione
nell'indurre Eva
a mangiare il
frutto. Per più
di una ragione,
tra le quali una
non di poco
conto è la
menzione della
«conoscenza», il
racconto biblico
esercitò grande
attrazione sugli
Gnostici.
Essendo il
serpente a
persuadere Adamo
ed Eva a
mangiare del
frutto della
conoscenza e
quindi a
disubbidire al
loro Creatore,
esso venne a
rappresentare in
tutto un gruppo
di sistemi il
principio
«pneumatico» che
contrasta
dall'aldilà i
disegni del
Demiurgo, e così
tanto più in
grado di
diventare un
simbolo dei
poteri di
redenzione,
quanto il Dio
biblico era
stato degradato
a simbolo di
oppressione
cosmica.
In realtà, più
di una setta
gnostica ha
derivato il nome
dal culto del
"serpente"
(«Ofiti» dal
greco "ophis"; «Naasseni»
dall'ebraico "nahas"
- il gruppo nel
suo insieme è
chiamato
«ofitico»); e
tale posizione
del serpente è
basata su
un'audace
interpretazione
allegorica del
testo biblico.
Ecco la versione
data da Ireneo
nella sua
esposizione
riassuntiva
della concezione
ofitica (I, 30,
7): la Madre
oltremondana,
Sophia-Prunikos,
che cerca di
contrastare
l'attività
demiurgica del
figlio apostata
Ialdabaoth,
manda il
serpente a
«sedurre Adamo
ed Eva e indurli
a disobbedire al
comando di
Ialdabaoth». Il
piano riesce,
entrambi
mangiano
dell'albero «del
quale Dio [cioè
il Demiurgo]
aveva proibito
loro di
mangiare. Ma
dopo che essi
ebbero mangiato,
conobbero il
potere dell'al
di là e si
allontanarono
dai loro
creatori». E' il
primo successo
del principio
trascendente
contro il
principio del
mondo, il quale
è vitalmente
interessato ad
impedire la
conoscenza
nell'uomo, come
ostaggio della
Luce all'interno
del mondo:
l'azione del
serpente segna
l'inizio della
gnosi sulla
terra, che
perciò per la
sua stessa
origine è
segnata come
opposizione al
mondo e al suo
Dio, e invero
come una forma
di ribellione.
I Perati, di
un'estrema
coerenza, non
hanno esitato a
considerare il
Gesù storico
come una
particolare
incarnazione del
«serpente
universale»,
ossia il
serpente del
Paradiso inteso
come principio
(confronta più
avanti).
Nell'"Apocrifo
di Giovanni",
gnostico-barbeliota
(non-ofitico),
tale
identificazione,
che diviene
inevitabile
nello
svolgimento
dell'argomentazione,
è evitata di
stretta misura
giocando sulla
differenza tra
«albero della
vita» e «albero
della conoscenza
del bene e del
male»: Cristo
infatti invita
l'uomo a
mangiare di
quest'ultimo
contro il
comando degli
Arconti, mentre
il serpente,
identificato con
Ialdabaoth,
spingendo l'uomo
verso l'altro
albero, è
lasciato al suo
compito
tradizionale di
corruttore
(questo, in
maniera non
troppo
convincente, in
risposta alla
domanda
allarmata dei
discepoli:
«Cristo, non è
stato il
serpente che
l'ammaestrò?»).
Perciò, evitando
così
l'identificazione
delle due figure
simboliche, solo
una parte della
funzione del
serpente è stata
attribuita a
Cristo. I
Valentiniani
d'altra parte,
sebbene non
abbiano
coinvolto Gesù
nell'azione
svoltasi in
Paradiso,
tracciarono un
parallelo
allegorico tra
lui e il
"frutto"
dell'albero:
essendo stato
appeso ad un
«legno» (41),
egli «divenne un
Frutto della
Conoscenza del
Padre, che
tuttavia "non"
portò rovina a
coloro che ne
mangiarono» (E.
V. 18, 25 s.).
Non si può
decidere con
certezza
dall'esempio
citato se la
negazione mette
semplicemente in
contrasto il
nuovo
avvenimento e il
vecchio (secondo
la maniera di
san Paolo),
oppure se
intende
rettificare il
racconto stesso
della Genesi. Ma
questa seconda
ipotesi si
verifica
chiaramente in
altri passi ed è
certamente
secondo la
maniera gnostica
(confronta il
ripetuto, brusco
«non come Mosè
disse»
nell'"Apocrifo
di Giovanni").
Al tempo di Mani
(terzo secolo)
l'interpretazione
gnostica della
storia del
Paradiso e la
connessione di
Gesù con essa
era così
fermamente
stabilita, che
egli poté
mettere
semplicemente
Gesù al posto
del serpente
senza neanche
menzionare
quest'ultimo:
«Egli fece
alzare (Adamo) e
gli fece
mangiare
dell'albero
della vita»
(confronta
sopra, par. n).
Ciò che una
volta era stato
una cosciente
arditezza di
allegoria era
diventato un
mito
indipendente che
poteva essere
sfruttato senza
alcun
riferimento al
modello
originale (e
forse nemmeno un
ricordo di
esso). La genesi
rivoluzionaria
di codesto
motivo a
quest'epoca era
probabilmente
del tutto
dimenticata. Il
che mostra che
l'allegoria
gnostica, a
differenza di
quella degli
Stoici o della
letteratura
sincretistica in
genere, era essa
stessa la fonte
di una nuova
mitologia:
questa è il
veicolo
rivoluzionario
del suo emergere
nei confronti di
una tradizione
inveterata; e
poiché cerca di
sopraffare
quest'ultima, il
principio di
tale allegoria
deve essere il
paradosso e non
la coerenza.