L'ermetismo e la
Critica allo
Spiritualismo
Contemporaneo.
Julius Evola

Chiudo questa
parentesi, forse
non del tutto
priva di un
interesse
generale
retrospettivo.
Tornando alla
serie dei miei
libri, quelli
usciti subito
dopo il periodo
de La Torre
riguardano di
nuovo il dominio
delle discipline
tradizionali e
esoteriche. Si
tratta di La
tradizione
ermetica,
pubblicata nella
sua prima
edizione nel
1931 presso
l'editore
Laterza, e di
Maschera e volto
dello
spiritualismo
contemporaneo,
uscito nella
prima edizione
nel 1932 presso
l'editore Bocca.
La materia del
primo libro
l'avevo
cominciata a
trattare in
alcuni saggi di
Introduzione
alla Magia. In
parte, la
conoscenza
diretta della
letteratura
ermetica la
dovetti al
Reghini, il
quale mi prestò
o segnalò
antichi testi,
mentre in
precedenti
articoli egli
aveva indicato
alcune chiavi
per la
comprensione del
simbolismo
ermetico-alchemico.
Inoltre sapevo
della materia
attraverso
gruppi francesi,
soprattutto
attraverso
quello facente
capo alla
rivista Le Voile
d'Isis (la quale
poi divenne la
guénoniana
Études
Traditionnelles).
Come nel caso
dei Tantra, il
mio metodo fu di
rifarmi alle
fonti originarie
e di raccogliere
il più vasto
materiale
possibile con
una seria
documentazione,
per poi esporre
una sintesi
dell'insegnamento
secondo il punto
di vista "
tradizionale ".
Il titolo
completo
dell'opera era c
La tradizione
ermetica nella
sua dottrina,
nei suoi simboli
e nella sua Arte
Regia ". A dire
il vero, fu
l'ermetismo
alchemico a
costituire
l'effettiva
materia del mio
studio. Si
tratta di quella
letteratura che,
partendo da
origini mitiche,
ebbe già
espressioni
precise nel
periodo
alessandrino, in
testi greci e
siriaci. La
corrispondente
tradizione fu
ripresa dagli
Arabi, e in gran
parte pel
tramite di essi
passò
nell'Occidente
europeo avendo
una particolare
fioritura nei
secoli XVI e
XVII e
successive
promanazioni
fino al tempo in
cui nacque la
chimica
scientifica.
Nel loro aspetto
esteriore tutti
i testi di
questa
plurisecolare
corrente
trattano di
operazioni
chimiche e
metallurgiche,
soprattutto
della
fabbricazione
dell'oro e della
produzione della
pietra
filosofale e
dell'elixir dei
saggi. Arte
ieratica e arte
regia, era stata
denominata la
disciplina, nel
suo aspetto
pratico e
operativo. Essa
era stata
esposta
impiegando un
simbolismo e un
gergo cifrato
impenetrabili
pel profano. ma
anche miti
tratti
dall'antichità
classica. Alla
cultura moderna
è sembrato ovvio
trattarsi, qui,
di una chimica
allo stato
infantile,
superstizioso e
mitologizzante,
senz'altro
superata dalla
chimica
scientifica, e
d'interesse solo
per la storia
delle scienze.
Tuttavia con ciò
si considerò
come non
esistente quel
che numerosi
autori ermetici
ripetutamente e
esplicitamente
avevano
dichiarato,
ossia che le
loro esposizioni
non erano da
prendersi alla
lettera, che il
loro, era un
linguaggio
segreto (tanto
che - essi
dicevano - era
come se essi
scrivessero solo
per loro stessi
e per coloro che
già sanno), che
i principi della
loro arte
segreta potevano
essere compresi
solo per bocca
di un Maestro o
per una
improvvisa
illuminazione.
Inoltre era
evidente che
tutta la
concezione
basale
dell'universo,
della natura e
dell'uomo di
questi autori
era
assolutamente
diversa da
quella che
doveva far da
fondamento alla
scienza moderna,
che essa
s'identificava
invece con
quella dello
gnosticismo,
della teurgia,
della magia e
delle antiche
scienze sacre:
apparteneva
sostanzialmente
ad un altro
mondo
spirituale.
Intrapresi
dunque uno
studio
sistematico per
mettere in luce
il vero
contenuto
interno della
tradizione
ermetico-alchemica.
In realtà, si
trattava di una
scienza
iniziatica
esposta con un
travestimento
chimico-metallurgico.
Le sostanze di
cui parlavano i
testi erano
simboli per
forze e principi
dell'ente umano
o della natura
assunta sub
specie
interioritatis e
nei suoi aspetti
iperfisici. Le
operazioni
riguardavano_ la
trasformazione
iniziatica
dell'essere
umano. L'oro
alchemico
rappresentava
l'essere
immortale e
invulnerabile,
pensato però
negli stessi
termini
dell'accennata
teoria
dell'immortalità
condizionata:
non come una
realtà data ma
come qualcosa di
eccezionalmente
realizzabile
mediante un
procedimento
segreto.
Nell'insieme, ci
si trovava di
fronte ad una
cosmologia e ad
uno speciale
sistema di
simboli e di
tecniche.
Ciò, per quel
che riguardava
il nucleo più
autentico e
essenziale della
tradizione in
parola, separato
dalle scorie e
dagli elementi
secondari o
accessori. Fra
le scorie,
rientravano le
speculazioni, le
opere e le
fatiche di
coloro che, per
incomprensione,
avevano preso
alla lettera i
simboli e si
erano dati a
operazioni
fisiche in un
più o meno
disordinato
sperimentare e
provare, nei
termini,
appunto, di una
chimica allo
stato infantile
e
prescientifico.
Ma dai veri "
figli di Ermete
" costoro erano
stati chiamati
sprezzantemente
" bruciatori di
carbone ",
profani che
avevano " messo
a rovina " la
vera scienza.
Quanto agli
aspetti
secondari, in
essi poteva
rientrare la
possibilità di
operare
effettivamente
sulla materia,
magari su
metalli da
trasformare, ma
per una via del
tutto diversa da
quella della
scienza e della
tecnica moderne,
cioè " passando
da dentro " e in
base a capacità
non-normali
strettamente
condizionate
dall'avvenuta
trasformazione
interiore, scopo
primo e precipuo
dell'Arte.
Già in vista di
tale aspetto
apparivano
perciò
inadeguate anche
quelle
interpretazioni
c psicologiche "
e psicanalitiche
che
successivamente
dovevano essere
date al
simbolismo
alchemico. Non
si trattava di
processi
dell'inconscio,
di imagini della
libido o
dell'affioramento
involontario e
coatto degli "
archetipi " di
Jung, sul piano
irrealistico e
soggettivo della
psiche umana; si
trattava invece
di operazioni
con poteri
reali, in base a
un sapere
preciso. Lo
studio in tale
quadro fu il
carattere
distintivo della
mia trattazione.
Ma a parte
l'esegesi
dell'ermetismo
alchemico dal
punto di vista
iniziatico, a me
interessava
presentarlo
anche ne:
termini di una
tipica
testimonianza di
una delle due
grandi linee
tradizionali: dì
quella regale,
attiva e virile,
opposta alla
linea
sacerdotale o
ascetico-contemplativa.
Infatti
nell'ermetismo
alchemico stava
in primo piano
l'istanza
pratica,
operativa, il
primato dell'"
arte ", quindi
dell'azione, lo
"
sperimentalismo
" esteso al
piano dello
spirito. Era già
significativa la
designazione più
in uso di tale
disciplina: Ars
Regia, cioè arte
regale. Ma
soprattutto gli
orizzonti
realizzativi
erano
caratteristici.
Secondo tutti i
testi, la Grande
Opera alchemica
comprende tre
fasi principali,
contrassegnate
da altrettanti
colori - il
nero, il bianco
e il rosso: la
nigredo,
l'albedo e la
rubedo. La
nigredo, o opera
al nero,
corrisponde più
o meno
all'uccisione
dell'Io fisico,
alla rottura
della chiusura
della comune
individualità.
L'albedo, o
opera bianco, è
l 'apertura
estatica,
l'esperienza
della luce, però
con un carattere
passivo, per cui
essa viene
chiamata anche
regime della
Donna o della
Luna. Lo stadio
finale e
perfetto, la
rubedo, o opera
al rosso,
comporta però il
superamento di
tale fase, la
riaffermazione
della qualità
virile e
dominatrice, per
cui nei testi si
parla del
superamento
della Donna, del
regi-me del
Fuoco e del
Sole. Il rosso,
da molti autori
ermetici viene
messo
esplicitamente
in relazione con
quello della
porpora regale o
imperiale.
Più tardi, nel
1932, curai, per
le edizioni
Laterza, una
riedizione
commentata
dell'opera di un
ermetista
italiano del
'600, Cesare
della Riviera,
intitolata Il
mondo magico de
gli Heroi (fra
l'altro,
dedicata ad un
principe di casa
Savoia). A parte
la
significativa,
diretta
assimilazione
dell'" eroe "
all'adepto
ermetico, in
essa è
interessante la
messa in
relazione del
fine ultimo e
segreto dell'Ars
Regia con la
conquista del
"Secondo Legno
di Vita", il che
vale quanto dire
col superamento,
mediante
un'azione che
evita il crollo
titanico 0
luciferico,
dello
sbarramento del
luogo da cui,
secondo il mito
biblico, Adamo
era stato
bandito affinché
non estendesse
il proprio
potere anche
sull'Albero
della Vita.
Il complesso dei
testi da me
esaminati
costituiva
dunque una
testimonianza
preziosa del
continuarsi,
come una vena
sotterranea, di
una tradizione
rifacentesi al
particolare ramo
della tradizione
primordiale che
attirava
maggiormente il
mio interesse,
anche in seno ad
una civiltà in
cui era venuta a
predominare una
religione che,
come il
cristianesimo,
rappresentava
una forma
exoterica
dell'opposto
orientamento.
Fra le ragioni
dell'accennato
travestimento
alchemico
dell'insegnamento
io pertanto
indicavo non
solo quella
generica e
intrinseca, per
via della quale
le " dottrine
interne "
tradizionali -
l'esoterismo -
furono sempre
tenute segrete,
ma anche il
fatto della
reale
antiteticità.
dell'ideale
iniziatico
ermetico
rispetto ai
valori religiosi
cristiani. Se si
fosse
semplicemente
trattato i una
mistica sui
generis, di una
dottrina
soteriologica
della rinascita
e dell'estasi
(come alcuni
hanno preteso),
quella
precauzione
sarebbe stata
superflua.
L'ermetismo
alchemico
continuò, in
realtà, una
tradizione di
spiritualità
precristiana e
non-cristiana.
Anche la parte
rilevante che in
essa ebbe la
mitologia pagana
(dèi e vicende
di dèi, dati
come simboli dei
principi, degli
stati e delle
operazioni
dell'Ars Regia)
è, a tale
riguardo,
significativa.
C. G. Jung ebbe
a segnalare, di
sua iniziativa,
il mio libro
come una delle
opere essenziali
sull'argomento.
Oggettivamente,
credo che fino
ad ora esso
resti la
trattazione più
completa
dell'ermetismo
alchemico dal
punto di vista
interno e
tradizionale. Il
libro uscì in
seconda edizione
presso Laterza
nel 1948, e nel
1962 in
traduzione
francese per le
edizioni
Chacornac, col
testo pressoché
immutato,
essendo stata
solo aggiunta
qualche altra
citazione. In
effetti, il
materiale
documentario
dato nel libro
era solo una
parte di quello
da me raccolto
da una quantità
di testi; il
resto aveva
dovuto essere
sacrificato per
esigenze
editoriali.
Un anno dopo La
tradizione
ermetica, nel
1932, usciva,
per le edizioni
Laterza, un
altro mio libro,
Maschera e volto
dello
spiritualismo
contemporaneo,
avente per
sottotitolo "
Analisi critica
delle principali
correnti moderne
verso il
sovrannaturale
". L'argomento
l'avevo già
cominciato a
trattare in
saggi usciti
sulle riviste
L'Italia
Letteraria e La
Torre, non senza
una certa
relazione,
anche, con le
confusioni,
dovute in parte
ad ignoranza e
in parte a
malafede,
dimostrate da
coloro che, come
già al tempo di
Imperialismo
pagano, mi
accusavano di
essere un "
teosofo ", un "
massone " e
simili, a causa
dell'interesse
da me dimostrato
anche per gli
insegnamenti
sapienziali
tradizionali. Il
Guénon aveva già
riconosciuto la
necessità di
tracciare
precise linee di
demarcazione
proprio a difesa
di tali
insegnamenti, e
in due delle sue
prime opere, L'Erreur
spirite e Le
Théosophisme,
aveva denunciato
gli errori e le
confusioni dello
spiritismo e
della teosofia
moderna,
indicando il
carattere spurio
e deviato di
tali correnti.
Io ripresi
questa stessa
esigenza,
facendola però
valere anche nei
riguardi di
altre tendenze e
movimenti
contemporanei.
In questo libro,
in una certa
misura, spostai
intenzionalmente
il piano della
trattazione.
Volli rivolgermi
ad un pubblico
più vasto,
affrontando in
prima linea il
problema della
difesa della
personalità
umana di fronte
alle seduzioni e
ai pericoli del
" sovrannaturale
". La tesi
principale da me
sostenuta era
che nell'epoca
moderna esiste,
appunto, un "
pericolo
spiritualistico
" facente da
controparte a
quello "
materialistico
". Stretti dalla
morsa del
materialismo,
del
razionalismo,
del praticismo e
dell'attivismo
della civiltà
ultima e più non
trovando,
d'altra parte,
adeguata
soddisfazione
nella religione
dominante, in
molti nostri
contemporanei si
è di nuovo
svegliato un
impulso
incoercibile
verso l'" aldilà
", verso il
sovrasensibile,
specie se
presentato come
un dominio di
possibili
esperienze
vissute. Un tale
dominio è stato
quasi sempre
scambiato
semplicisticamente
con quello del "
sovrannaturale
".
È un grave
equivoco, dovuto
alla mancanza di
veri principi.
Ripresi
l'insegnamento
secondo il quale
la personalità
umana con le sue
facoltà normali
e con
l'esperienza del
mondo fisico e
della natura ad
esse
corrispondente
occupa una
posizione
intermedia; è
situata fra due
opposte regioni,
l'una inferiore
e l'altra
superiore alla
condizione che
le è propria: l'infranaturale
e il
subpersonale da
un lato, il vero
sovran-naturale
e il
superpersonale
dall'altro, tali
domini non
essendo però da
concepirsi in
termini teorici
astratti ma con
riferimento a
stati reali e a
potenze
dell'essere. "
In tutto quel
che non è più
naturale vi sono
due domini
distinti, anzi
opposti ",
affermavo. Da
qui, la duplice
possibilità di
un
autotrascendimento
discendente
(verso il basso,
verso il
prepersonale, il
subpersonale e
l'inconscio) e
di un
autotrascendimento
ascendente
(verso l'alto,
verso ciò che
sta
effettivamente
al disopra della
chiusura - sotto
vari riguardi
anche difensiva
e protettiva -
della comune
personalità
umana). Ora,
nella gran parte
delle forme
dello
spiritualismo
contemporaneo si
tratta proprio
di " aperture
verso il basso
", quindi di una
direzione
regressiva che,
ove si vada
oltre le
semplici teorie,
può solo dar
luogo a contatti
con forze
oscure, con
l'effetto di un
ulteriore
indebolimento
della compagine
spirituale
dell'uomo
moderno, già per
tanti versi
incrinata.
L'opposta
direzione veniva
da me formulata
nei seguenti
termini: " una
via ad
esperienze tali
che, lungi dal
ridurre la
coscienza, la
trasformino in
supercoscienza,
che lungi
dall'abolire la
distinta
presenza a sé
così facile da
conservarsi in
un uomo sano e
sveglio fra le
cose materiali e
le attività
razionali, la
innalzi ad un
grado superiore
in modo da non
alterare i
principi della
personalità ma
invece da
integrarli".
Solo la via ad
esperienze del
genere -
concludevo - è
quella verso il
vero
sovrannaturale.
Nota alla "
dottrine interne
" del mondo
della
Tradizione, essa
è l'opposto di
ogni regressione
estatica e di
ogni apertura
verso il
sub-intellettuale
e l'inconscio.
Fissato così il
punto essenziale
di riferimento
che, del resto,
come si
ricorderà, da me
era stato già
indicato diversi
anni prima, nel
periodo
filosofico, nel
mio libro
analizzai varie
correnti
contemporanee
per separare il
positivo dal
negativo sia dal
punto di vista
dottrinale che
da quello
pratico. Di tale
analisi, qui è
il caso di
riferire solo
qualche singolo
aspetto.
Considerai
anzitutto lo
"spiritismo" e
le "ricerche
psichiche " (o
metapsichica).
Il primo,
unitamente alla
medianità e ad
analoghe vie
evocatorie, a
prescindere
dalle
mistificazioni,
costituisce un
caso tipico di c
apertura verso
il basso ",
verso prodotti
di dissociazioni
psichiche,
residui larvali
e influenze
oscure d'ogni
genere, a parte
torbide
emergenze del
subcosciente.
Quanto alla
"metapsichica" o
" parapsicologia
", in essa
accusavo
l'errore di
applicare il
metodo
scientifico dei
semplici
accertamenti
sperimentali
dall'esterno ad
un dominio, dove
esso può solo
cogliere delle
banalità -
identici
fenomeni "
extra-normali ",
sempre che siano
autentici,
potendo avere
cause quanto mai
diverse e un
significato sia
"subpersonale "
che "
super-personale
". Inoltre
queste ricerche
si applicano
necessariamente
quasi sempre ad
un materiale
spurio, privo di
interesse
spirituale,
essendo evidente
che nessuna
figura
superiore,
nessun adepto o
asceta si
presenterà mai a
farsi osservare
o misurare dai
metapsichici e a
produrre per
loro dei "
fenomeni "
controllabili.
Seguiva la
critica della
psicanalisi, qui
soprattutto di
quella di
indirizzo
freudiano (il
completamento di
essa con una
critica, anche,
di quella dello
Jung fu dato,
come ho
accennato, in un
esteso saggio
della seconda
edizione di
Introduzione
alla Magia).
Seppure per un
altro verso,
anche nella
psicanalisi è
evidente lo
spostamento
regressivo del
centro di
gravità verso il
fondo
irrazionale e
sub-personale
dell'essere
umano, con
l'attribuzione
ad esso di una
preeminenza e
del carattere di
forza essenziale
motrice della
psiche. Rispetto
a ciò, la
sessualizzazione
freudiana di
questo substrato
in termini
soprattutto di
libido appariva
solo come una
deviazione
secondaria.
Sottoliniavo
piuttosto come
la terapia
psicanalitica
comporti una
morale alla
rovescia, cioè
l'abdicazione
della persona di
fronte a ciò che
in lei è natura
e istinto, al
fine di
eliminare le
tensioni
logoratrici e
spesso patogene
di un essere
interiormente
scisso (esula,
dagli orizzonti
della
psicanalisi
freudiana, la
nozione di un
principio
spirituale
autonomo e
sovrano - per
essa, una tale
nozione è
perfino
patologica -
essa viene
ridotta a quella
del cosidetto
super-Io ").
Dunque, di
nuovo, un caso
di
polarizzazione
regressiva. Un
punto
particolare da
me indicato era
però che la
psicanalisi è
figlia dei
tempi. Se la sua
concezione
dell'uomo è
assurda e
grottesca se
riferita ai
rappresentanti
di una umanità
normale, essa si
attaglia a ciò
che, per
involuzione,
l'uomo
occidentale è
sempre più
divenuto nei
tempi ultimi. La
messa in
evidenza
dell'inconscio,
di un sottosuolo
psichico
torbido, nella
sua potenza e
influenza di là
dalle forme
illusorie di una
pseudopersonalità;
con una completa
tacitazione
della zona
superiore, del
supercosciente,
caratterizza
l'orizzonte
mutilo e, in un
certo modo,
demonico della
psicanalisi
quale visione
generale. Essa
tuttavia resta
un indice
segnaletico
della situazione
esistenziale
dell'umanità
ultima.
I due capitoli
successivi di
critica alla
teosofia
anglo-indiana (Blavatsky,
Besant - ciò che
il Guénon ha
chiamato, più
che teosofia,
tale termine
avendo augusti
antecedenti, le
théosophisme) e
all'antroposofia
steineriana
avevano un
carattere
maggiormente
teoretico, di
separazione di
alcuni
insegnamenti
tradizionali
autentici dalle
distorsioni da
essi subite in
tali sette,
nelle teorie
delle quali è,
inoltre,
rilevante
l'influenza di
pregiudizi
tipici della
mentalità
occidentale
moderna e, in
particolare,
anglosassone
(evoluzionismo,
umanitarismo,
democrazia).
Forse avrei
dovuto essere
più severo (così
pensò anche il
Guénon) nei
riguardi
dell'antroposofia,
e avrei dovuto
svolgere alcune
utili
considerazioni
supplementari
circa il " caso
" costituito
dalla persona
del suo
fondatore,
Rudolf Steiner.
A tale proposito
il paradosso è
che lo Steiner
era partito
dalla giusta
esigenza di una
" scienza
spirituale ",
cioè di una
disciplina che
applicasse al
sovrasensibile e
alle tecniche
pel contatto con
esso gli stessi
principi di
positività, di
chiarezza e di
esattezza delle
scienze naturali
moderne (gli
stessi principî
che in
Introduzione
alla Magia
avevamo detto
essere propri al
metodo
iniziatico in
genere). Ciò
malgrado,
nell'antroposofia
quasi tutto si
era ridotto ad
un orgia di
visionarismo e
di
pseudo-chiaroveggenza,
di divagazioni
di ogni genere,
il tutto
inquadrato in un
pedantesco
sistema. Questo
caso poteva
anche
esemplificare il
pericolo di
certe tecniche
mentali; quando
ci si sforza di
realizzare il
cosidetto "
pensiero libero
dai sensi " e
anche di
sciogliere l'imaginazione
dalle abituali
condizionalità,
si crea
inevitabilmente
un " vuoto ". E
se per crisma,
per naturale
dignità o per un
collegamento
effettivo con
una adeguata "
catena " non si
dispone di una
vera difesa,
quel vuoto viene
occupato da "
complessi
autonomi ", da
influenze
psichiche
producenti
appunto
l'accennata
fantasmagoria
visionaria, con
l'aggravante
dell'associarsi
ad essa, per via
della stessa
natura dello
stato in cui ci
si è messi,
della parvenza
di una assoluta
certezza e
verità. Già
attraverso le
esperienze
personali fatte
a suo tempo con
l'aiuto di
droghe, ciò mi
era risultato
ben chiaro.
Questo è il
retroscena
occulto di gran
parte della
antroposofia
steineriana.
Inoltre nello
Steiner per la
fisima di una "
iniziazione
individuale " o
" dell'Io ", nel
senso di una via
che l'individuo
- qualunque
individuo -
potrebbe
percorrere da
solo, senza
difese (e nello
Steiner vi è
l'assurda e
frivola
presentazione di
una tale via
come quella di
una superiore "
iniziazione
moderna ", del
tutto ignota
all'antichità e
all'Oriente,
resa possibile
solo dalla
venuta storica
del Cristo), gli
accennati
pericoli a cui
si trova esposto
chi si mette
davvero a
praticare
aumentano. Il
fanatismo degli
antroposofi è
solo il riflesso
di questo
cedimento
intimo, di
questa
inavvertita loro
possessione.
Un ulteriore
capitolo del
libro trattava
del misticismo
in quei casi in
cui il fattore
estatico
rappresenta
qualcosa di
distruttivo per
la personalità
formata (come ho
detto,
soprattutto essa
ho avuto in
vista in questa
mia opera). Nel
considerare
l'episodio di
Krishnamurti e
la teoria
dell'assoluta
liberazione che
egli era passato
a bandire dopo
essersi
emancipato dalla
tutela dei
teosofi (che in
lui avrebbero
voluto preparare
un " veicolo "
per la
manifestazione
di un nuovo
Messia),
indicavo i
pericoli più
generali che,
nel senso di un
incentivo
all'anarchia,
alla distruzione
di ogni forma e
legge interna,
presenta il
proporre simili
teorie ad un
tipo umano che,
come quello
occidentale
moderno, è fin
troppo propenso
a scambiare per
libertà
l'evasione,
l'insofferenza
verso ogni
disciplina. Per
giunta, non
mancavano, in
Krishnamurti,
riferimenti ad
una equivoca
mistica della "
Vita " da
liberare (in
opposto al
liberarsi dalla
vita) quasi
nello stesso
senso
dell'irrazionalismo
di un Bergson,
di un Klages e
di molti altri
figli dei tempi.
Ciò mi diede
l'occasione di
indicare la
funzionalità
della
Tradizione,
sfuggente del
tutto a
Krishnamurti, il
quale aveva
cominciato col
non capire e col
buttare in mare
la propria
tradizione di
indù, invitando
gli Occidentali
a fare
altrettanto.
Nella prefazione
alla seconda
edizione del
libro, uscita
nel 1949, sempre
presso Laterza,
mettevo in
risalto i
seguenti punti:
" 1) Non bisogna
scambiare
l'essere di là
da una
tradizione con
l'essere al di
qua di essa,
come ne è il
caso per gli
individualisti,
le " menti
critiche " e ì
liberi pensatori
moderni: 2)
Bisogna
riconoscere
sotto quali
condizioni un
limite impietra
e sotto quali
altre un limite
può invece
proteggere; 3)
Quando quel che
vale per il "
più che umano "
viene applicato
all'individuo
umano e
soprattutto a
quello di oggi,
si cade nella
più pericolosa
delle deviazioni
e delle
incomprensioni,
cosa per la
quale noi non
intendiamo
assumere alcuna
responsabilità
". Si poteva
citare anche il
detto: " Vi sono
verità simili ad
una lama
affilata:
feriscono, se
non sono tenute
nel fodero ".
Come si vede, a
poco a poco
venivano
precisati i
correttivi alle
teorie astratte
del mio primo
periodo, pur
senza
abbandonare le
posizioni
essenziali.
Nell'accennata
seconda edizione
di Maschera e
Volto aggiunsi
anzi un nuovo
capitolo in cui
venivano
considerati
specificamente
anche pericoli
in precedenza
accennati, il
titolo di esso
essendo " Il
primitivismo,
gli ossessi e il
superuomo ". Da
un lato, era
indicata la
direzione
regressiva
propria alle
tendenze
contemporanee
verso il
primitivismo,
con riferimento,
in parte, al
mondo delle
popolazioni
selvagge, ma
anche ai
cosidetti
moderni "
ritorni alla
natura ";
dall'altro lato,
era però
indicata proprio
la linea del
superuomo
nietzsehiano e
dostojewskiano,
la quale può
condurre al
crollo
costituito
dall'ossesso se
nel punto-limite
non si ha una
rottura
esistenziale di
livello e un
cambiamento di
polarità
l'innesto della
dimensione della
" trascendenza "
presa nel senso
" olimpico " e
non dualistico,
teistico-religioso).
Tale ordine di
idee doveva
essere
sviluppato
ulteriormente
nel mio libro
che, fino a
questo momento,
è il più
recente, cioè in
Cavalcare la
Tigre (1961).
Così non a caso
questo capitolo
precedeva
l'ultimo,
intitolato " La
magia nel mondo
moderno ", nel
quale l'esame si
portava sugli
affioramenti, in
alcuni autori e
gruppi moderni,
di insegnamenti
che, in via di
principio, si
rifacevano alla
" magia " nel
senso specifico,
spirituale e
positivo, già
spiegato
parlando del "
Gruppo di Ur ".
Qui ci si trova
di già ad un
livello diverso
da quello delle
altre tendenze
criticate.
Trassi alcuni
riferimenti
essenziali da
Eliphas Levi, da
Giuliano
Kremmerz
(creatore, in
Italia, di una
"catena"
denominata
Myriam che
svolse la sua
attività dalla
fine del secolo
scorso) e da
Gustav Meyrink,
autore di
romanzi nei
quali, peraltro,
un sapere
esoterico si
affaccia spesso
in una purezza
raramente
riscontrabile
altrove (per
questo, anche se
non facendo
apparire il mio
nome, io in
sèguito tradussi
tre di tali
romanzi: La
notte di
Valpurga, Il
Domenicano
Bianco e
L'Angelo della
finestra
d'occidente;
essi uscirono
tutti e tre
presso l'editore
Bocca). Da tale
corrente era
indicata "la via
pagana al
risveglio "
dell'integrazione
della
personalità in
base ad una
ascesi attiva,
libera dai miti
religiosi e
dalle
preoccupazioni
moralistiche,
con
riaffermazione
del principio
dello
sperimentalismo.
Così le riserve
che qui feci non
toccavano
l'essenziale;
esse
riguardavano, ad
esempio, il
limite proprio
alle cosidette
forme "
cerimoniali "
(cioè usanti
soprattutto riti
e formule, con
una
oggettivazione
quasi realistica
di entità e di
poteri) o
l'inclinazione "
occultistica ",
cioè il malvezzo
del parlare
oscuro, ex
cathedra e ex
tripode, con
tono di mistero
e con paroline a
metà. Ma, in
genere, qui si
poteva
incontrare
l'esigenza
essenziale: " la
possibilità
suprema,,, di
trasmutare la
personalità
umana caduca in
quella di un
semidio
partecipante
all'immortalità
olimpica " -
corrispondente
alla via all'autotrascendenza
ascendente,
quindi alla via
verso il vero
sovrannaturale.
La riserva
principale da me
formulata era
però di un altro
genere. Ricordai
che una simile
via è stata
sempre
accessibile solo
a pochi. Spesso
il
neo-spiritualismo
ha fatto, degli
insegnamenti
esoterici da
esso
volgarizzati, un
mero surrogato
delle religioni,
anzi qualcosa di
più comodo, data
la mancanza di
dogmi e di ogni
vincolo
positivo. Così,
dicevo con
sarcasmo, si era
giunti a
dottrine del
superuomo e
dell'adeptato
professate in
ambienti di
donne fuori uso
e di
mezzi-uomini,
pensionati,
umanitaristi e
vegetariani - a
parte l'altra
direzione,
quella della
americanizzazione
dello yoga e dei
metodi " occulti
" ridotti a
mezzi per
divenire dei "
caratteri
dominatori ",
per curare la
salute, per
assicurarsi la
via del successo
e via dicendo.
Tutti questi
sottoprodotti
stanno
evidentemente
non al disopra
ma al disotto
del livello di
una religione
positiva
regolare.
Dicevo: "
Esiste, sì, il
diritto di
accedere ad una
verità più alta
di quella delle
religioni
positive, a
carattere
exoterico e
devozionale ",
alla verità,
appunto,
affacciatasi
negli autori da
me per ultimo
considerati. Ma
questo " è un
diritto
aristocratico,
il solo diritto
che la plebe non
potrà mai
usurpare, né
oggi, né in una
qualsiasi altra
epoca del mondo
", perché
condizionato
dalla capacità
di un "
superamento
assoluto ". Per
la grandissima
maggioranza,
oggi si tratta
piuttosto di
avere il senso
di un necessario
limite e di una
necessaria
difesa di fronte
ad orizzonti
ampliati di là
dalla visione
materialistica
del mondo;
quindi, anche
della capacità
del singolo " di
chiudere con
calma tante
porte che
luciferinamente
si socchiudono e
si
socchiuderanno
sopra di lui e
sotto di lui ".
" La personalità
oggi è nel più
dei casi solo un
compito,
qualcosa di
inesistente, a
che sia il caso
di tendere a
quel che sta di
là da essa ".
Avendo in vista,
in questo mio
libro, un più
vasto pubblico,
tutto ciò doveva
essere detto.
A metà di
Maschera e Volto
un capitolo dal
titolo " I
ritorni al
cattolicesimo "
può essere
stato, per
alcuni, motivo
di sorpresa,
perché per la
prima volta nei
miei scritti in
esso si
trovavano alcuni
apprezzamenti
positivi nei
riguardi del
cattolicesimo.
Distinsi due
forme, nei
ritorni di oggi
al
catto-licesimo.
La prima era
propria a dei
falliti, a
coloro che, dopo
un vano
intellettualismo,
dopo l'inutile
ricerca di una
via, dopo
delusioni
dolorose, si
sono ravvicinati
al cattolicesimo
essendo attirati
dal suo aspetto
di sistema saldo
e imperituro. In
tali casi -
dicevo - il
tutto " si
riduce però ad
un puro fatto di
sentimento e al
bisogno di
scaricarsi di un
peso ormai
divenuto
insostenibile,
di trovare
infine una
autorità, una
forma data che
sospenda la
ricerca,
l'incertezza,
l'intima
insoddisfazione
". Così in
questi casi il
contenuto
oggettivo e il
valore
intrinseco della
tradizione
cattolica non
entravano che
accessoriamente
in quistione. Se
un'altra
tradizione
avesse
presentato gli
stessi caratteri
di stabilità e
di autorità con
un analogo
complesso di
mezzi di grazia,
essa avrebbe
servito
egualmente bene
allo scopo.
Naturalmente, "
ritorni " di
tale tipo erano
privi di
interesse. Essi
stessi avevano
un carattere
regressivo,
evasionistico.
Io considerai
però anche una
opposta
possibilità,
rifacendomi
soprattutto ad
alcune vedute di
René Guénon. Il
Guénon era
partito
dall'idea di una
unità interna,
trascendente,
delle grandi
religioni
positive, che
interpretò come
adattazioni
varie,
condizionate dal
carattere
specifico di
dati popoli, di
date aree e di
dati periodi
storici, di un
insegnamento
unico
riguardante il
sovrannaturale.
A tale riguardo
doveva
distinguersi l'exoterismo
dall'esoterismo.
È exoterismo
tutto ciò che è
di pertinenza
specifica di una
singola
tradizione nella
sua conscritto,
oltre ad avere
in vista la gran
massa.
L'esoterismo
coscritto, oltre
ad avere in
vista la gran
massa.
L'esoterismo
riguarda invece
la dimensione
interna nella
quale una data
tradizione
comunica con la
Tradizione al
singolare, su di
un piano
superdevozionale,
intellettuale e
metafisico. Su
tale piano è
pertanto
possibile
scorgere
l'identità
sostanziale di
simboli, riti e
esperienze nelle
tradizioni "
exotericamente "
più diverse. Una
scala poteva
essere stabilita
solo in base
alla misura in
cui tale
identità è più o
meno percepita.
Il nuovo del mio
libro era la
disposizione a
riconoscere
questa
dimensione "
tradizionale "
al
cattolicesimo.
Non potevo però
non fare anche
alcune precise
riserve.
Anzitutto vi era
da distinguere
fra
cristianesimo
delle origini e
cattolicesimo,
dando meno
valore al primo
che non al
secondo. Del
cristianesimo in
sé, in altri
libri, anche in
Rivolta, dovevo
continuare ad
indicare gli
aspetti negativi
e problematici,
specie nel
quadro storico,
cioè
considerando
quel che esso ha
rappresentato di
antitetico
rispetto al
mondo
classico-romano
e alla sua
visione della
vita. Da un
altro lato,
riconobbi al
cristianesimo
originario il
valore di una
possibile via
disperata e
tragica della
salvazione: con
riferimento sia
all'uomo
appartenente
alla massa dei
diseredati e dei
senza-tradizione
alla quale a
tutta prima si
rivolse
eminentemente la
predicazione
cristiana, sia,
più in generale,
ad uno speciale
tipo umano. "
L'alternativa di
una eterna
salvezza o di
una eterna
perdizione da
decidersi una
volta per tutte
su questa terra,
esasperata da
imagini
impressionanti
dell'aldilà e
dall'idea
dell'imminente
venuta del
Giudizio
Universale...
era un modo per
suscitare, in
alcune nature,
una estrema
tensione la
quale, se unita
ad una certa
sensibilità pel
sovrannaturale,
poteva anche
dare i suoi
frutti " : se
non in vita,
forse in punto
di morte o nel
post-mortem.
Quanto al
cattolicesimo,
io lo concepii
come l'opera di
influenze
invisibili o "
provvidenziali "
che, di là dalla
materia prima
del
cristianesimo,
avevano creato,
rettificandola
in varia misura,
una struttura
con tratti "
tradizionali " :
qui entrando
propriamente in
quistione
l'elemento
positivo e
gerarchico, il
corpus dei riti,
dei simboli, dei
miti, di una
certa parte
degli stessi
dogmi. A tale
stregua, in
astratto, il
cattolicesimo
rivestiva
l'aspetto di un
particolare modo
di apparire
della Tradizione
e, sempre in
astratto, era
data la
possibilità di
integrarne i
contenuti di là
dal piano
semplicemente
religioso, in
termini
metafisici e
intellettuali. È
in tale quadro
che presentai la
seconda,
eventuale forma
di un ritorno al
cattolicesimo,
forma, allora,
non più
regressiva e
fallimentare. In
tale caso il
cattolicesimo si
presentava non
come un punto di
arrivo, ma come
un punto di
partenza e si
doveva
prescindere da
tutto ciò che il
cattolicesimo è
praticamente,
dal suo livello
sempre più
abbassatosi e
dall'inesistenza,
in esso, di una
salda " dottrina
interna ". Come
conclusione di
una analisi
necessariamente
sommaria, io
scrivevo: " Pei
migliori, pei
nonspezzati, il
ritorno al
cattolicesimo in
tanto può avere
un valore
positivo, in
quanto
costituisca il
primo passo in
una direzione,
la quale deve
necessariamente
portare oltre il
cattolicesimo in
senso stretto,
verso una
tradizione
veramente
universale,
unanime e
perenne, ove la
fede possa
integrarsi in
realizzazione;
il simbolo, in
via di
risveglio; il
rito e il
sacramento, in
azione di
potenza: il
dogma, in
espressione
simbolica di una
conoscenza
assoluta e
infallibile,
perché
non-umana, e
come non-umana
vivente negli "
eroi " e negli
"asceti ", in
coloro che si
sono sciolti dal
vincolo
terrestre ".
Questa più alta
possibilità era,
naturalmente,
più che
problematica. Si
capiva da sé che
su tale linea
gran parte dei
contenuti
specifici
cristiani del
cattolicesimo
era o da "
ortopedizzare "
o da eliminare
del tutto, che
la pretesa di
unicità, di
esclusività e di
superiorità del
cristianesimo
era da
respingersi,
come era da
respingersi il
mito del Cristo
storico quale "
figlio di Dio "
espiatore e
redentore
dell'umanità,
quindi figura
non paragonabile
a nessun altro
creatore di
religioni o ad
un " avatar "
divino: che la
dimensione
simbolica e
esoterica della
gran parte degli
insegnamenti
doveva essere
considerata come
la sola
essenziale.
L'elemento
intellettuale e
metafisico
avrebbe dovuto
consumare quello
emotivo,
sentimentale e
devozionale che,
sostanza
originaria del
cristianesimo,
costituisce pur
sempre
l'irriducibile
sottofondo dello
stesso
cattolicesimo.
D'altra parte
non avevo
difficoltà a
riconoscere che
"di fronte a
tante confusioni
e deviazioni "
spiritualistiche
" il
cattolicesimo
può ancora
mantenere un
significato ".
Inoltre, " che
persone, le
quali non hanno
conosciuto altro
che le vanissime
costruzioni
della filosofia
profana e della
cultura
plebeo-universitaria
e che le
contaminazioni
dei vari
estetismi,
individualismi o
romanticismi
contemporanei si
" convertano "
al cattolicesimo
e con ciò si
dimostrino
almeno capaci di
entrare in un
ordine di
maggiore serietà
interiore: che
tali persone
facciano così, a
noi - agli
autori di
Imperialismo
Pagano - non può
che sembrare
desiderabile.
Ciò è già
qualcosa, è
meglio di nulla.
La fede e
l'obbedienza non
nel senso
sentimentalistico,
passivo-feminile,
ma nel senso
virile, eroico e
sacrificale è
già cosa ben più
alta e difficile
di tutte le "
affermazioni "
di un malo
individualismo
".
Queste frasi
ribadivano la
posizione
nettamente
antilaica,
lontana da ogni
volgare
anticlericalismo,
che è stata
sempre propria
al mio
orientamento. In
effetti,
personalmente
per il più umile
e incolto
sacerdote
cattolico io ho
sempre avuto
maggior
considerazione
che non per un
qualsiasi noto
esponente della
"cultura" e del
pensiero moderno
(con inclusione,
però, degli
esponenti di
certa filosofia
cattolicheggiante).
Il Guénon aveva
già impostato il
problema della
integrazione
"tradizionale"
del
cattolicesimo
non solo sul
piano
individuale, ma
anche su quello
generale; dalla
soluzione
positiva di esso
egli aveva fatto
dipendere (in La
crise du monde
moderne) la
possibilità di
una rinascita
dell'Occidente.
Naturalmente,
simili avances
non avevano
avuto séguito
alcuno, per quel
che riguarda
gerarchie
cattoliche
dotate dì
autorità. Il
Guénon poteva
anche dire che "
il fatto che i
rappresentanti
attuali della
Chiesa cattolica
capiscano così
poco della loro
dottrina non
deve essere
motivo per
dimostrare, noi,
la stessa
incomprensione
". Ma ciò non
cambiava in
nulla le cose:
chi
eventualmente
capisce di più "
resta un
outsider.
La direzione
positiva, da me
accennata, di un
ritorno al
cattolicesimo
era dunque
riservata a
qualche
individuo
isolato, dotato
di una special
qualificazione,
che però non
poteva conta: .e
su di un vero
sostegno, che
anzi, se come
praticante
regolare fosse
entrato
nell'orbita del
cattolicesimo,
doveva star bene
attento a non
farsi
insensibilmente
piegare dalla
corrente "
psichica "
corrispondente a
tale tradizione
presa non in
astratto ma
nella sua
concretezza. In
effetti, in
quello che vien
chiamato il "
corpo mistico
del Cristo " è
ormai da
vedersi,
piuttosto, una
corrente
psichica
collettiva
agente in un
senso meno
sovrannaturale e
trascendente che
non vincolante,
sì da
paralizzare ogni
più alta
vocazione.
Di passata,
posso accennare
che negli anni
del '30 feci io
stesso alcune
esplorazioni
personali
trascorrendo un
breve periodo in
incognito in
monasteri di
Ordini che
valgono
eminentemente
come i
rappresentanti
della tradizione
ascetico-contemplativa
cattolica - i
Certosini nella
loro sede
centrale, i
Carmelitani e i
Benedettini
della regola
antica. Feci la
stessa vita dei
monaci e presi
contatto coi
patres preposti
alla formazione
spirituale dei
novizi. Raccolsi
informazioni
anche presso i
Cistercensi di
Heiligenkreuz,
in Austria.
Delle forme
superiori,
intellettuali
della tradizione
contemplativa,
non vi era quasi
più nulla da
trovare. La base
era l'elemento
liturgico-devozionale
in uno sviluppo
ipertrofico. Le
cariche "
psichiche " di
quegli stessi
monasteri mi
sembrarono
tutt'altro che
favorevoli per
un'opera anche
segreta,
individuale, di
realizzazione di
contenuti
metafisici nel
quadro
cattolico. Del
livello del
cattolicesimo
ufficiale di
oggi - livello
barrocchiano,
moralistico,
socializzante e
politicizzante,
fiaccamente
paternalistico,
aborrente i "
medievalismi " -
è poi superfluo
parlare.
Tornando a
Maschera e
Volto, il
riconoscimento
degli aspetti
"tradizionali"
del
cattolicesimo
era peraltro
limitato al
piano specifico
dei problemi
trattati nel
libro (la difesa
della
personalità, i
pericoli dello
"spirituale", il
senso del vero
sovrannaturale);
per il resto,
come ho detto,
si trattava di
una
considerazione
sul piano
astratto,
soltanto
dottrinale.
Perciò restava
impregiudicato
il giudizio
sulla funzione
storica avuta in
Occidente dal
cattolicesimo
quale erede,
malgrado tutto,
del
cristianesimo,
in antitesi con
l'altro polo,
con quello di
una spiritualità
a carattere non
sacerdotale-contemplativo,
ma regale e
attivo. I punti
precisi di
riferimento, a
tale riguardo,
dovevano essere
fissati nella
mia opera
principale, di
morfologia delle
civiltà e di
filosofia della
storia, con
notevole
divergenza dalle
vedute del
Guénon.
Maschera e Volto
forniva dunque
dei criteri per
un orientamento
e per una
discriminazione
oggettiva nel
campo del
neo-spiritualismo.
Il libro avrebbe
dovuto eliminare
anche, una volta
per tutte, ogni
equivoco nei
riguardi delle
posizioni da me
difese, che non
erano né "
teosofiche ", né
" occultistiche
", né "
massoniche " o
simili. Invece
le cose poco
cambiarono. Gli
esponenti della
cultura profana
non avevano
nemmeno una
lontana idea di
differenze
essenzialissime
di rango; tutto
ciò che cadeva
fuori dal loro
campo e delle
loro routines di
una " stupidità
intelligente "
(per usare una
felice
espressione
dello Schuon),
era immerso come
in una notte, in
cui tutte le
vacche sono
nere. D'altra
parte, specie
Maschera e Volto
mi fece nemico
l'opposto campo,
appunto quello
dei
neo-spiritualisti,
dei teosofisti,
degli
antroposofi,
degli spiritisti
e simili, ai
quali non avevo
risparmiato le
più severe
critiche, di cui
avevo indicato
gli errori, le
falsificazioni e
le divagazioni.
Vero è che
costoro non
erano nemmeno in
grado di capire;
dato il loro
livello
intellettuale,
per essi
esposizioni
basate su di un
serio apparato
culturale e
critico, erano
inaccessibili e
fastidiose,
tanto essi erano
usi alle
volgarizzazioni
e ai più piatti
adattamenti
richiesti da
esigenze
sentimentali o
dal gusto per
l'inusitato e
per l'" occulto
". La via giusta
- tenersi
lontani sia
dalle
divagazioni
spiritualiste,
sia dai trivi e
dalle
convenzioni
della cultura
ufficiale pur
seguendo il
metodo, i
criteri di seria
informazione e
di critica
oggettiva di
questa - era la
meno
ripromettente.
Proprio ciò ha
limitato la
diffusione dei
miei libri sugli
accennati
argomenti. Ma è
su questa linea
che io mi sono
sentito tenuto
ad assolvere un
compito, compito
avente invero
pochi
antecedenti.
Il presente
brano è stato
tratto da
http://www.juliusevola.it

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