La Crisi del
Mondo Moderno
Réné Guenon

Prefazione
dell'Autore
Che si possa
parlare di una
crisi del mondo
moderno,
prendendo la
parola "crisi"
nel suo
significato più
comune, è cosa
che i più ormai
non mettono in
dubbio; e,
almeno a questo
riguardo, si è
prodotto un
mutamento
abbastanza
sensibile
rispetto al
periodo che
immediatamente
ci precede: per
la forza stessa
degli
avvenimenti,
certe illusioni
cominciano a
dissiparsi e
noi, da parte
nostra, non
possiamo che
rallegrarcene,
poiché, malgrado
tutto, in ciò si
ha un sintomo
già buono,
l'indizio di una
possibilità di
rettificazione
della mentalità
contemporanea,
qualcosa che
appare come una
debole luce in
mezzo al caos
attuale. è così
che la fede in
un "progresso"
indefinito,
prima
considerata come
una specie di
dogma
intangibile e
indiscutibile,
non è più
ammessa così
generalmente;
alcuni
intravedono più
o meno
vagamente, più o
meno
confusamente,
che la civiltà
occidentale,
invece di
continuare
sempre a
svilupparsi
nello stesso
senso, potrebbe
pur subire un
giorno un
arresto o
perfino crollar
del tutto per
via di qualche
cataclisma.
Forse costoro
non vedono
chiaramente ove
risiede il
pericolo, e le
paure chimeriche
o puerili che
essi talvolta
manifestano
provano a
sufficienza i!
persistere di
non pochi errori
nella loro
mente. Tuttavia,
è già qualcosa
che essi
sospettino un
pericolo, anche
se essi lo
presentono, più
che non lo
comprendano per
davvero, e,
giungano a
concepire che
questa civiltà,
di cui i moderni
sono così
infatuati, non
occupa un posto
privilegiato
nella storia del
mondo: essa può
aver la stessa
sorte di tante
altre già
scomparse in
epoche più o
meno lontane,
alcune delle
quali non hanno
lasciato che
tracce minime,
vestigia appena
percettibili o
difficilmente
riconoscibili.
Se dunque si
dice che il
mondo moderno
subisce una
crisi, ciò che
così si vuole
abitualmente
esprimere è che
esso è giunto ad
un punto
critico, o, in
altri termini,
che a breve
scadenza,
volendolo o no,
in un modo più o
meno brusco, con
o senza una
catastrofe,
dovrà
inevitabilmente
sopravvivere un
mutamento di
orientazione.
Questo
significato dato
al termine
"crisi" è del
tutto legittimo
e corrisponde in
parte a quel che
noi stessi
pensiamo: ma
solo in parte,
poiché,
ponendoci da un
punto di vista
più generale,
noi crediamo che
tutta l'epoca
moderna nel suo
insieme
rappresenti per
il mondo un
periodo di
crisi. Sembra
d'altronde che
ci si avvicini
alla soluzione,
il che rende
oggi più
particolarmente
sensibile che in
qualsiasi altro
periodo il
carattere
anormale di uno
stato di cose il
quale dura già
da qualche
secolo, ma le
cui conseguenze
mai furono così
visibili quanto
ora. Questa è
anche la ragione
per cui gli
avvenimenti oggi
si svolgono con
una velocità
accelerata. Ciò,
senza dubbio,
può continuare
ancora per
qualche tempo,
ma non
indefinitamente
Ed anche se non
si è in grado di
fissare un
limite preciso,
pure si ha
l'impressione
che un simile
stato di cose
non può durare
ancora per
molto.
Nella parola
"crisi" sono
però contenuti
anche altri
significati che
la rendono ancor
più atta ad
esprimere quanto
vogliamo dire.
Infatti la sua
etimologia, che
spesso nell'uso
comune si perde
di vista, ma
alla quale
bisogna
riportarsi così
come si deve
sempre fare
quando si vuol
restituire ad
una espressione
la pienezza del
suo senso
proprio e del
suo valore
originario - la
sua etimologia,
dicevamo, la fa
in parte
apparire come un
sinonimo di
"giudizio" e di
"discriminazione".
La fase da dirsi
propriamente
critica in un
qualunque ordine
di cose è quella
che conduce a
breve scadenza
ad una soluzione
favorevole o
sfavorevole, è
quella in cui
interviene una
decisione, in un
senso o
nell'altro. Di
conseguenza, è
allora che è
possibile
formulare un
giudizio circa i
risultati
acquisiti,
soppesare il
"pro" e il
"contro",
operando una
specie di
discriminazione
dei risultati,
positivi gli
uni, negativi
gli altri, e
veder così da
che parte la
bilancia
s'inclina
definitivamente.
Beninteso, noi
non abbiamo
affatto la
pretesa di fare
in modo completo
un tale
bilancio, cosa
che d'altronde
sarebbe
prematura,
poiché la crisi
non si è ancora
risolta, né è
possibile dire
quando e come lo
sarà. Del resto,
è sempre
preferibile
astenersi da
previsioni
insuscettibili
d'esser
confortate da
ragioni
chiaramente
comprensibili
per tutti e
quindi correnti
il rischio di
esser male
interpretate,
tanto da
aumentare la
confusione,
anziché
eliminarla. Noi
possiamo solo
proporci di
contribuire -
fino ad un certo
punto e nella
misura che i
mezzi di cui
disponiamo ce lo
permetteranno -
a dare a coloro
che ne son
capaci la
coscienza di
qualcuno dei
risultati che
sembrano già ben
definiti, e a
preparare così,
sia pure in modo
assai parziale e
indiretto, gli
elementi da
servire per il
futuro
"giudizio"; dopo
il quale
s'inizierà un
nuovo periodo
della storia
dell'umanità
terrestre.
Nella mente di
certe persone,
qualcuna delle
espressioni ora
usate evocherà
senza dubbio
l'idea del
cosiddetto
"giudizio
universale" o
"giudizio
ultimo", e,
invero, non a
torto; che
questa idea
venga intesa
letteralmente o
simbolicamente,
ovvero in
entrambi i modi
- giacché essi
invero non si
escludono per
nulla - ciò qui
poco importa, e
non è questo né
il luogo né il
momento per
chiarire
interamente un
tale punto. In
ogni caso, quel
mettere il "pro"
e il "contro"
sulla bilancia,
quel separare i
risultati
positivi e
negativi, di cui
abbiamo detto or
ora, può
certamente far
pensare alla
ripartizione
degli "eletti" e
dei "dannati" in
due gruppi
immutabili ormai
definiti. Anche
se si tratta
solo di
un'analogia, si
deve ben
riconoscere che
è almeno una
analogia
legittima e ben
fondata,
conforme alla
natura, stessa
delle cose. Il
che esige
qualche
spiegazione
ulteriore.
Non è certo a
caso che tante
menti siano oggi
ossessionate
dall'idea della
"fine del
mondo". è cosa,
in parte, da
deplorare,
poiché le
stravaganze alle
quali questa
idea mal
compresa dà
luogo, le
divagazioni
"messianiche"
che ne seguono
in vari
ambienti, tutte
queste
manifestazioni
procedenti dallo
squilibrio
mentale
dell'epoca
nostra, non
fanno che
aggravare questo
stesso
squilibrio, e in
una misura non
del tutto
indifferente.
Ma, in fondo, è
pur certo che
qui si ha un
fatto, di cui
non possiamo
esimerci di
tener conto.
Allorché si
constatano cose
del genere,
l'attitudine più
comoda è certo
quella che
consiste nello
scartarle
senz'altro, nel
considerarle
errori o
fantasticherie
senza
importanza. Noi
tuttavia
pensiamo che,
per quanto si
tratti
effettivamente
di errori, sia
opportuno, sì
denunciarli come
tali, ma cercare
anche le cause
che possono
averli provocati
e la parte di
verità più o
meno deformata
che, malgrado
tutto, può
trovarvisi
contenuta,
poiché l'errore,
non avendo in
fondo che una
forma negativa
di esistenza,
non può
presentarsi mai
come errore
assoluto e come
tale è una
parola vuota di
senso.
Considerando le
cose in questo
modo, ci si
accorge
facilmente che
l'anzidetta
preoccupazione
della "fine del
mondo" è
strettamente
legata allo
stato di
malessere
generale nel
quale noi
presentemente
viviamo: il
presentimento
oscuro di
qualcosa che sta
per finire,
agendo
incontrollatamente
su certe
imaginazioni, vi
produce in modo
del tutto
spontaneo
imagini
disordinate e
spesso
grossolanamente
materializzate,
che a loro volta
si traducono
esteriormente
nelle
stravaganze, cui
abbiamo or ora
alluso. Una tale
spiegazione non
è però una scusa
per
quest'ultime: o,
almeno, se si
possono scusare
coloro che
cadono
involontariamente
nell'errore,
perché a ciò
predisposti da
uno stato
mentale di cui
non sono
responsabili,
ciò non potrebbe
mai essere una
ragione per
scusare l'errore
stesso. Del
resto, per quel
che ci riguarda,
non ci si potrà
certo
rimproverare una
indulgenza
eccessiva per le
manifestazioni
"pseudoreligiose"
del mondo
contemporaneo,
non meno che per
tutti gli errori
moderni in
genere (1). Noi
sappiamo perfino
che alcuni
sarebbero
piuttosto
tentati di
rimproverarci il
contrario, e
forse ciò che
noi qui diciamo
farà loro meglio
comprendere come
è che noi
consideriamo
quest'ordine di
cose,
sforzandoci di
porci sempre dal
solo punto di
vista che
importi, quello
della verità
imparziale e
disinteressata.
Non è tutto: una
spiegazione
puramente
"psicologica"
dell'idea della
"fine del mondo"
e delle sue
attuali
manifestazioni,
per legittima
ch'essa sia sul
suo piano, ai
nostri occhi non
saprebbe
apparire del
tutto
sufficiente.
Fermarsi ad
essa,
significherebbe
lasciarsi
influenzare da
una di quelle
illusioni
moderne, contro
cui noi
insorgiamo
dovunque se ne
presenti
l'occasione
Noi dicevamo che
certe persone
sentono
confusamente la
fine imminente
di qualcosa di
cui esse non
possono definire
con esattezza la
natura e la
portata; bisogna
ammettere che di
ciò esse hanno
una percezione
effettivamente
reale, benché
vaga e soggetta
a false
interpretazioni
o a deformazioni
imaginative,
giacché, quale
si sia questa
fine, la crisi
che in essa deve
necessariamente
sboccare è
visibilissima e
una quantità di
segni non dubbi
e facilmente
riconoscibili
conducono tutti
in modo
concordante alla
stessa
conclusione.
Questa fine non
è certo la "fine
del mondo", nel
senso totale in
cui molti
vogliono
intenderla, ma è
almeno la fine
di un mondo: e
se quel che deve
finire è la
civiltà
occidentale
nella sua forma
attuale, è
comprensibile
che coloro che
si sono abituati
a non veder più
nulla fuor di
essa, a
considerarla
come "la
civiltà" per
eccellenza,
credano
facilmente che
tutto finirà con
essa e che, se
essa scomparirà,
sarà veramente
"la fine del
mondo".
Noi diremo
dunque, per
ricondurre le
cose alle loro
giuste
proporzioni, che
sembra invero
che noi ci
avviciniamo alla
fine di un
mondo, cioè alla
fine di un'epoca
o di un ciclo
storico, il
quale può
d'altra parte
essere in
corrispondenza
con un ciclo
cosmico, secondo
quel che nel
riguardo viene
insegnato da
tutte le
dottrine
tradizionali.
Già nel passato
vi sono stati
molti
avvenimenti di
questo genere e
senza dubbio ve
ne saranno
ancora molti
nell'avvenire;
avvenimenti
d'importanza
varia, a seconda
che con essi si
terminano dei
periodi più o
meno vasti e che
essi concernono
l'insieme
dell'umanità
terrestre,
ovvero l'una o
l'altra delle
sue parti, una
razza o un
popolo
determinato. Vi
è da supporre
che allo stato
presente del
mondo il
cambiamento che
interverrà avrà
una portata
assai generale e
che, quale si
sia la forma da
esso rivestita e
che noi non
cercheremo
allatto di
definire,
investirà più o
meno l'intera
terra. In ogni
caso, le leggi
che reggono
siffatti
avvenimenti
possono essere
applicate
analogicamente a
tutti i gradi o
piani; onde quel
che si può dire
sulla "fine del
mondo" nel senso
più completo
possibile, ma
tuttavia di
solito riferito
al solo mondo
terrestre, resta
vero, nelle
dovute
proporzioni,
anche per il
caso della
semplice fine di
un qualunque
mondo, intesa in
un senso assai
più ristretto.
Queste
osservazioni
preliminari
aiuteranno molto
a far capire le
considerazioni
che seguiranno.
In altre opere,
noi abbiamo già
avuto
l'occasione di
far assai spesso
cenno alle
"leggi
cicliche".
Riuscirebbe
forse arduo
esporre
completamente
tali leggi in
una forma
facilmente
accessibile alle
menti
occidentali;
tuttavia è
necessario aver
qualche nozione
sull'argomento,
dato che ci si
voglia formare
un'idea vera di
quel che è
l'epoca attuale
e di ciò che
essa
propriamente
rappresenta
nella storia del
mondo. Per cui
noi cominceremo
col mostrare che
i caratteri di
siffatta epoca
son proprio
quelli che le
dottrine
tradizionali
hanno indicato
in ogni tempo
per il periodo
ciclico a cui
essa
corrisponde; il
che equivarrà
anche a mostrare
che quanto da un
certo punto di
vista è anomalia
e disordine è
tuttavia
l'elemento
necessario di un
ordine più
vasto, la
conseguenza
inevitabile
delle leggi che
reggono lo
sviluppo di ogni
manifestazione.
Del resto -
diciamolo subito
- ciò non
costituisce una
ragione per
limitarsi a
subire
passivamente il
perturbamento e
l'oscurità che
sembrano
momentaneamente
trionfare,
poiché, se così
fosse, non
avremmo che da
starcene in
silenzio.
Ragione invece
vi è di
lavorare, finché
sia possibile,
per preparare
l'uscita da
questa "età
oscura", la cui
fine più o meno
prossima, benché
non del tutto
imminente, è già
preannunciata da
molti indizi.
Anche questo
rientra in
un'idea
superiore di
ordine, poiché
ogni equilibrio
è il risultato
della azione
simultanea di
due tendenze
opposte; se
l'una o l'altra
di esse potesse
interamente
cessar di agire,
l'equilibrio
sarebbe perduto
per sempre e il
mondo stesso
svanirebbe. Ma
una tale
supposizione sta
fuor della
realtà, i due
termini di una
opposizione non
traendo senso
che l'un
dall'altro.
Quali possano
pur essere le
apparenze, si
può esser sicuri
che tutti gli
squilibri
parziali e
transitori
concorreranno,
alla fine, a
realizzare
l'equilibrio
totale.
Note
1. Il Guénon ha
esaminato e
criticato le
forme più
caratteristiche
delle correnti
pseudoreligiose
contemporanee
soprattutto
nelle due opere
L'Erreur Spirite
e Le
Théosophisme
(N.d.T. Julius
Evola).

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