GLI ANGELI CHE
HANNO FATTO IL
MONDO.
IL VANGELO DI
MARCIONE.
«L'Inno della
Perla» non
riferiva in che
modo la Perla
era caduta in
potere delle
Tenebre. Simon
Mago lo ha
fatto, seppure
brevemente nelle
trattazioni
esistenti,
facendo
riferimento alla
divina Ennoia o
Sophia, che nel
suo sistema
corrisponde alla
Perla dell'inno.
Come abbiamo
visto, essa è
stata trascinata
nella creazione
dalla sua stessa
progenie, gli
angeli creatori
del mondo, a
causa del loro
orgoglio
ignorante e
della brama di
un potere simile
a quello divino.
L'origine
divina, sebbene
non immediata,
di questi agenti
cosmici, e
perciò la
concezione di
tutta la storia
come una divina
degradazione, è
un punto
integrante di
questo tipo di
speculazione,
addirittura il
principio
esplicativo. La
stessa
derivazione non
può essere
applicata al
dragone che
trattiene la
Perla in
prigionia. Se,
come suggerisce
l'originale
babilonese, esso
incarna il
potere del caos
primordiale,
allora il suo
principio era
antidivino
dall'origine e
il suo carattere
era malvagio o
«tenebroso» in
un senso diverso
dall'errore e
dalla follia
degli angeli
traviati di
Simone.
Abbiamo fatto
notare (p. 123
in nero) che su
questo punto i
due principali
sistemi di
speculazione
gnostica
divergono.
Mentre la
speculazione
iranica vuole
spiegare in che
modo le Tenebre
originarie
abbiano potuto
assorbire
elementi di
Luce, la
speculazione
siro-egiziana ha
considerato suo
compito
principale la
derivazione
della frattura
dualistica e la
conseguente
condizione del
divino nel
sistema di
creazione
dall'unica e
indivisa
sorgente
dell'essere; e
l'ha fatto per
mezzo di
un'estesa
genealogia di
stati divini che
si evolvono
l'uno
dall'altro, la
quale descrive
il progressivo
ottenebramento
della Luce
divina in
categorie
mentali. La
differenza
veramente
importante sta,
non tanto nella
preesistenza o
meno di un regno
delle Tenebre
indipendentemente
da Dio, quando
nell'alternativa
che la tragedia
divina sia fatta
derivare
dall'esterno o
sia considerata
risultante da
una condizione
interna.
Quest'ultima
ipotesi può
essere mantenuta
anche nel caso
della
preesistenza
della Tenebra o
Materia, se la
sua funzione è
quella passiva
di tentare i
membri del regno
superiore verso
la creatività
materiale
piuttosto che
quella attiva di
invadere il
regno della
Luce. In tale
forma, adottata
da alcuni
sistemi, lo
schema iranico
dei due opposti
princìpi
originari
potrebbe essere
ricondotto alla
visione dello
schema
siro-egiziano
dell'inganno e
dell'errore
divini (1).
Si potrebbe
sostenere che
per lo stato di
cose esistente e
per la
preoccupazione
di salvezza
fondata su di
esso, che in fin
dei conti è la
preoccupazione
principale della
religione
gnostica, non
aveva grande
importanza che
si adottasse
l'uno o l'altro
tipo di
preistoria,
perché entrambi
portavano in
sostanza allo
stesso
risultato: che,
siano gli angeli
demiurgici i
«reggitori
malvagi del
mondo», o i
demoni della
Tenebra
primordiale che
trattengono le
anime in
schiavitù,
«salvezza»
significa
salvezza dal
loro potere e il
salvatore deve
vincerli come
suoi nemici. Ciò
è vero, perché
se fosse
altrimenti i due
sistemi
teoretici non
potrebbero
essere entrambi
espressioni
dello spirito
gnostico, per il
quale la
valutazione
negativa del
cosmo è
fondamentale.
Tuttavia non ha
poca importanza,
dal punto di
vista religioso,
che il mondo sia
considerato
espressione di
un principio
inferiore o che
la sua sostanza
sia vista come
interamente
diabolica. Ed è
il tipo
siro-egiziano
che, con il suo
impegno
deduttivo più
sottile e più
complesso, non
soltanto è più
ambizioso
speculativamente
e più
differenziato
psicologicamente
del rigido
dualismo
iranico, ma è
anche quello dei
due che in modo
sistematico
meglio
interpreta la
pretesa di
redenzione della
gnosi così
dominante nella
religione
gnostica: questo
perché si
accorda al suo
opposto,
«ignoranza» come
evento "divino",
una funzione
metafisica nella
creazione stessa
del cosmo e nel
mantenere la
condizione
dualistica come
tale. Ci
soffermeremo di
più su questo
aspetto quando
tratteremo il
sistema
valentiniano. E'
ovvio che anche
a questo stadio
lo schema
siro-egiziano
permette una
maggiore varietà
di speculazione
e che, una volta
stabilito il
carattere di
questo mondo e
dei suoi diretti
signori e
creatori, come
risultato quasi
logico nel
quadro gnostico
generale, il
centro teoretico
di gravità si
sposti
all'elaborazione
di stadi
intermedi tra
queste divinità
cosmiche e la
divinità
primordiale da
cui esse sono
state originate:
la tendenza è
allora quella di
moltiplicare le
figure e di
prolungare la
genealogia, sia
per accentuare
la
differenziazione
spirituale sia
per aumentare la
distanza tra il
mondo inferiore
e l'intatto
regno della
Luce. Per
spiegare questa
tendenza molto
importante
possiamo anche
attribuirla ad
un crescente
interesse
speculativo
circa i mondi
superiori come
tali che trova
soddisfazione in
una crescente
molteplicità. In
ogni modo, alla
luce di ciò che
è emerso in
definitiva, la
genealogia di
Simone con i
suoi due gradi
di Ennoia e
angeli creatori
del mondo deve
sembrare un
modestissimo
inizio.
a) Gli angeli
che hanno creato
il mondo.
La maggioranza
dei sistemi
gnostici
cristiani,
catalogati dagli
eresiologi,
appartiene al
tipo siriaco,
anche quando la
Tenebra
originaria viene
incorporata
nella forma
platonizzante di
materia passiva.
Ciò non vuol
dire che tutti
si siano
compiaciuti nel
genere di
genealogia
trascendentale
che abbiamo
indicato. Di
fatto, ovunque
gli «angeli» o
il «demiurgo»
sono detti
creatori e
reggitori del
mondo, anche
quando la loro
linea di
provenienza non
è dal Dio
supremo, siamo
in presenza di
un principio non
completamente
malvagio, ma
piuttosto
inferiore o
degenerato come
causa ed essenza
di creazione.
Così
"Carpocrate",
senza alcun
tentativo di
deduzione
(stando a
Ireneo), afferma
semplicemente
che il mondo è
stato fatto
dagli angeli
«che sono di
gran lunga
inferiori al
Padre
ingenerato»:
Gesù e tutte le
anime che come
la sua si
mantennero pure
e forti nel
ricordo del
Padre ingenerato
possono
disprezzare i
creatori e
passare in mezzo
a loro (Iren. I,
25, 1-2).
"Menandro"
insegna in modo
simile a Simone
che la Prima
Potenza è
sconosciuta a
tutti e che il
mondo è stato
fatto dagli
angeli, i quali
egli, «come
Simone, dice che
sono emanati
dall'Ennoia»:
pretende di
essere in grado
con la magia di
sottomettere
questi reggitori
del mondo (loc.
cit. 23, 5).
"Saturnino",
tralasciando
l'Ennoia, o
altro simile
principio
femminile,
insegna
semplicemente
secondo Ireneo
che «l'unico
Padre
inconoscibile ha
fatto gli
angeli, gli
arcangeli, le
potenze e le
dominazioni. Il
mondo tuttavia,
e quanto esso
contiene, è
stato fatto da
sette angeli
particolari, e
anche l'uomo è
opera degli
angeli», uno dei
quali è il dio
ebraico. Egli
descrive questi
angeli di volta
in volta come
artigiani
inefficaci e
come ribelli.
Cristo è venuto
per distruggere
il dio degli
Ebrei. Una
caratteristica
(2) di Saturnino
è quella di
annoverare tra
questi angeli
anche il
demonio, che «è
un angelo nemico
di quegli angeli
e dio degli
Ebrei»: una
specie di
inimicizia
privata
nell'ambito
delle potenze
inferiori (loc.
cit. 24, 1-2).
I sistemi più
vasti, d'altra
parte, fanno
provenire, come
è stato detto,
la discendenza
dell'ordine
inferiore dal
principio
superiore
elaborando
genealogie
estese e sempre
più complicate:
una specie di
«devoluzione»
metafisica che
termina nella
decadenza che è
questo mondo.
Così, per
esempio,
"Basilide"
prolunga la
linea di
discendenza in
una enorme
catena che,
attraverso un
certo numero di
figure
spirituali come
Nous, Logos,
eccetera,
conduce a 365
cieli
successivamente
generati con le
loro popolazioni
angeliche,
l'ultimo dei
quali è quello
che vediamo,
abitato dagli
angeli che
creano il mondo.
Il loro capo è
il dio dei
Giudei. Anche
qui il Padre
innominabile
manda Cristo, il
Nous eterno, a
liberare coloro
che credono in
lui dalla
dominazione dei
costruttori del
mondo. La sua
passione è stata
un inganno,
perché Simone di
Cirene è morto
sulla croce
nella sua figura
(loc. cit. 24,
3-4; ci
soffermeremo in
seguito sugli
altri due
principali
esempi di questo
tipo, i
Barbelognostici
e i
Valentiniani).
In tutti questi
casi, le potenze
che sono
responsabili del
mondo e contro
le quali è
diretta l'opera
della salvezza
sono più
spregevoli che
sinistre. La
loro malvagità
non è quella
dell'arcinemico,
l'odiatore
eterno della
Luce, ma quella
di usurpatori
ignoranti che,
non considerando
il loro rango
subalterno nella
gerarchia
dell'essere, si
arrogano la
direzione del
mondo e, scarsi
di mezzi, con
l'invidia e la
bramosia di
potere, possono
solamente
rappresentare
una caricatura
della vera
divinità. Il
mondo, creato da
loro in
imitazione
illegittima
della creatività
divina e come
prova della loro
propria
divinità, è di
fatto una
dimostrazione
della loro
inferiorità sia
nella sua
costituzione che
nel suo governo.
Una
caratteristica
che ricorre di
frequente è
l'asserzione che
le profezie e la
Legge mosaica
sono promanate
dagli angeli
governanti il
mondo, tra i
quali spicca il
dio dei Giudei
(3). Ciò indica
un particolare
antagonismo
verso la
religione
dell'Antico
Testamento e il
suo Dio, la cui
realtà non è
però in nessun
modo negata. Al
contrario, dopo
che questo Dio
in astrologia
aveva dato i
suoi "nomi" a
quattro dei
sette arconti
planetari (4),
che gli Gnostici
poi promossero a
creatori del
mondo, la sua
immagine
tracciata con
animo polemico
emerse con
maggior evidenza
dal loro numero
come una
inconfondibile
caricatura del
Dio biblico, non
venerando, ma
nondimeno
terribile. Dei
Sette è
soprattutto
Ialdabaoth che
si appropria
questa eminenza
e questa
somiglianza. Nel
sistema degli
Ofiti, come
riferito da
Ireneo, egli è
il primogenito
della Sophia
minore o
Prunikos e
genera dalle
acque un figlio
chiamato Iao,
che a sua volta
genera allo
stesso modo un
figlio, Sabaoth,
e così di
seguito per i
Sette. Perciò
Ialdabaoth è
mediatamente il
padre di tutti
questi e quindi
della creazione.
«Egli si vantò
di quanto
accadeva ai suoi
piedi e disse:
'Io sono Padre e
Dio e non vi è
nessuno al di
sopra di me'»
(secondo il
modello di certe
formule
dell'Antico
Testamento, come
Is. 45, 5: «Io
sono il Signore
e non c'è nessun
altro, non c'è
altro Dio
all'infuori di
me»); al che sua
madre replica:
«Non mentire,
Ialdabaoth: c'è
sopra di te il
Padre di tutti,
il "Primo Uomo",
e "Uomo", Figlio
dell'Uomo» (loc.
cit. 30, 4-6).
Il tema
dell'orgoglio
demiurgico è
frequente nella
letteratura
gnostica,
comprese le
allusioni
all'Antico
Testamento.
«Perché là
governa il
grande Arconte,
il cui dominio
si estende al
firmamento, il
quale crede di
essere il solo
Dio e che non vi
sia niente al di
sopra di lui»
(Basilide, in
Hippol. VII, 25,
3; confronta 23,
4 s.s.).
L'"Apocrifo di
Giovanni" va un
passo più avanti
nella
diffamazione del
carattere
demiurgico,
laddove
Ialdabaoth, per
desiderio di
dominio, inganna
i suoi angeli su
ciò che concede
e ciò che
trattiene nella
loro creazione,
e la sua gelosia
viene intesa
come segno di
conoscenza
anziché di
ignoranza del
Dio supremo:
«Egli ha
assegnato loro
parte del suo
fuoco, che è il
suo attributo, e
parte del suo
potere; ma non
ha dato ad essi
niente della
pura Luce del
potere che ha
ereditato da sua
Madre. Per tal
motivo ha
dominio sopra di
loro, a causa
della gloria che
era in lui dal
potere della
Luce della
Madre. Perciò ha
permesso che
fosse chiamato
'il dio',
ripudiando la
sostanza dalla
quale era
provenuto... E
contemplò la
creazione sotto
di lui e la
moltitudine
degli angeli al
di sotto di lui
che erano
scaturiti da
lui, e disse
loro: 'Sono un
dio geloso, non
vi è nessuno
all'infuori di
me', con ciò
indicando già
agli angeli al
di sotto di lui
che vi è un
altro Dio;
perché se non vi
fosse nessuno,
di chi sarebbe
geloso?» (42, 13
s.s.; 44, 9
s.s., Till).
Lo stesso tema è
abbondantemente
sfruttato nelle
speculazioni
mandee sugli
inizi, pur senza
riferimento
evidente
all'Antico
Testamento:
«B'haq-Ziva si
stimò
strapotente, e
abbandonò il
nome che suo
Padre aveva
creato [per
lui]. Egli
disse: 'Sono il
padre degli
Uthra, che hanno
creato delle
"sh'kina" per
sé'. Meditò
sulle acque
torbide e disse:
'Creerò un
mondo'» (G 97
s.).
Tipica è anche
la replica
dall'alto che
mette il
creatore al suo
posto (5). Ma
ancora più
umiliante è il
rimprovero
proveniente
dall'anima dello
pneumatico in
ascesa, il quale
vanta la sua
origine in
faccia al
signore, o
signori, del
mondo:
«Sono un vaso
più prezioso
della donna che
ti ha fatto. Tua
madre non
conosce la sua
origine, ma io
conosco me
stesso e so di
dove provengo.
Invoco
l'incorruttibile
Sophia che abita
nel Padre ed è
la madre di tua
madre... Ma una
donna nata da
donna ti ha
generato, senza
conoscere sua
madre e credendo
di essere da se
stessa: ma io
invoco sua
madre» (Iren. I,
21, 5).
Formule simili,
che si trovano
in gran numero,
esprimono
efficacemente la
confidenza
dell'eletto
gnostico e il
suo disprezzo
sovrano per
quelle potenze
inferiori, anche
se sono le
reggitrici di
questo mondo.
Ciò non esclude
un sentimento di
paura, che si
trova
curiosamente
mescolato
all'audacia
della
provocazione. La
preoccupazione
principale
dell'anima è di
"sfuggire" ai
terribili
arconti, e
piuttosto che
trovarsi a
faccia a faccia
con loro essa
preferisce, se
le riesce, di
svignarsela
inosservata. Di
conseguenza, si
dice talvolta
che la funzione
dei sacramenti è
quella di
rendere le anime
nella loro
futura ascesa
invisibili agli
arconti che ne
impedirebbero il
cammino, e
specialmente al
loro principe,
che in veste di
giudice le
farebbe
responsabili
delle loro
azioni sotto la
sua legge.
Poiché l'essenza
di questa legge
è «giustizia»,
sfuggire alla
sua sanzione fa
parte per gli
Gnostici di un
generale
atteggiamento
contrario alla
legge ed esprime
il ripudio del
Dio dell'Antico
Testamento nel
suo aspetto
morale.
Ritorneremo in
seguito su
questo punto in
rapporto al
libertinismo
gnostico; il
riferimento
all'antitesi
paolina di legge
e grazia ci
occuperà subito.
In alcuni
gnostici
cristiani, la
figura di un
unico dio del
mondo assorbe
completamente la
pluralità di
angeli e arconti
e diventa,
com'era
rappresentato
nella Bibbia, il
solo simbolo
della creazione
e della sua
legge, in modo
che tutto il
problema della
salvezza viene
ristretto ad una
questione tra
lui e il Dio
sconosciuto
dell'aldilà. Si
hanno parecchi
esempi di questo
sviluppo
quasi-monoteistico,
per quel che
riguarda il
regno cosmico
(6). "Cerinto"
insegnava che
«il mondo era
stato fatto, non
dal primo Dio,
ma da un potere
molto distante e
separato dalla
sorgente
dell'essere, il
quale non aveva
nemmeno
conoscenza del
Dio che è
esaltato al di
sopra di tutte
le cose»: Cristo
fu il primo a
predicare nel
mondo il Padre
sconosciuto
(Iren. I, 26,1)
(7). Nella
stessa linea,
"Cerdone"
affermava che
«il Dio
predicato da
Mosè e dai
profeti non è il
Padre di Gesù
Cristo: l'uno è
conoscibile,
l'altro no;
l'uno soltanto
giusto, l'altro
buono» (loc.
cit. 27, 1). La
dottrina di
Cerdone, della
quale possediamo
soltanto questo
breve sommario,
conduce nelle
strette
vicinanze di
"Marcione", il
più grande
maestro di
questo gruppo.
b) Il Vangelo di
Marcione.
Marcione di
Sinope nel Ponto
occupa una
posizione
singolare sia
tra i pensatori
gnostici sia
nella storia
della Chiesa
cristiana. Sotto
quest'ultimo
aspetto, egli è
stato il più
decisamente e
integralmente
«cristiano» tra
gli Gnostici, e
per tal motivo
ha rappresentato
la più grande
sfida
all'ortodossia
cristiana; anzi,
per essere più
precisi, la sua
sfida più di
qualsiasi altra
«eresia» ha
condotto alla
formulazione
della stessa
dottrina
ortodossa.
Nell'ambito del
pensiero
gnostico, la
singolarità
della sua
posizione è tale
che la sua
appartenenza al
movimento
gnostico è stata
respinta
nientemeno che
da uno studioso
di Marcione
quale Harnack.
- La posizione
singolare di
Marcione nel
pensiero
gnostico.
In verità egli
rappresenta
un'eccezione a
molte regole
gnostiche. Egli
solo fra tutti
ha preso sul
serio la
passione di
Cristo, sebbene
l'interpretazione
che ne ha dato
sia stata
inaccettabile
per la Chiesa;
la sua dottrina
è interamente
libera dalla
fantasia
mitologica nella
quale si è
sbizzarrito il
pensiero
gnostico; egli
non specula
sulle prime
origini; non
moltiplica le
figure divine e
semidivine;
rifiuta
l'allegoria per
l'interpretazione
dell'Antico e
del Nuovo
Testamento; non
afferma la
conquista di una
conoscenza
superiore
«pneumatica» o
la presenza in
genere nell'uomo
di
quell'elemento
divino che
potrebbe essere
la sua origine o
il suo
ricevente; egli
fonda
interamente la
sua dottrina su
ciò che pretende
essere il
significato
letterale del
Vangelo; in
questa rigorosa
restrizione è
libero da ogni
sincretismo così
caratteristico
dello
gnosticismo in
genere; infine,
come Paolo, che
era per lui
«l'apostolo»,
assume la fede e
non la
conoscenza come
mezzo della
redenzione. Tale
considerazione
potrebbe far
mettere Marcione
decisamente al
di fuori
dell'area
gnostica, se
questa è
definita dal
concetto di
gnosi. Tuttavia
il dualismo
anticosmico come
tale, di cui
Marcione è
l'esponente più
aperto, l'idea
di un Dio
sconosciuto
opposto a quello
del cosmo, la
concezione
stessa di un
creatore
inferiore ed
oppressore e la
conseguente
visione di
salvezza come
liberazione dal
suo potere
mediante un
principio
forestiero, sono
così
manifestamente
gnostici che
chiunque li
affermi in tale
contesto storico
deve essere
annoverato tra
gli Gnostici,
non solo per
semplice
classificazione,
ma nel senso che
le idee
gnostiche che
circolavano
avevano di fatto
plasmato il suo
pensiero. La
stessa
concezione,
tuttavia, che
collega così
strettamente
Marcione con la
corrente
gnostica
generale, quella
dello
«Straniero»,
assunse nel suo
insegnamento una
direzione
completamente
nuova. In
sintesi, il
vangelo di
Marcione (8) era
quello «del Dio
straniero e
buono, il Padre
di Gesù Cristo,
che conduce alla
vita eterna la
miserabile
umanità
liberandola da
pesanti catene,
umanità ancora
"del tutto
estranea a
lui"». Marcione
condivide con lo
gnosticismo in
genere il
concetto
dell'"estraneità"
del vero Dio:
che egli è
straniero
perfino per
l'oggetto della
sua salvezza,
che gli uomini
persino
nell'anima e
nello spirito
sono a lui
estranei, tali
concezioni sono
sue proprie. Di
fatto questo
annulla uno dei
princìpi
basilari della
religione
gnostica,
secondo la quale
gli uomini sono
stranieri in
questo mondo, e
perciò la loro
assunzione nel
regno divino è
un ritorno alla
loro vera casa,
o nel salvare
l'umanità il Dio
supremo salva
ciò che è suo.
Secondo
Marcione, l'uomo
nella sua
integrale
costituzione,
come tutta la
natura, è
creatura del dio
del mondo e,
prima della
venuta di
Cristo, è sua
legittima e
assoluta
proprietà, corpo
e anima insieme
(9). «In senso
naturale»,
perciò, nulla
dell'uomo è
straniero nel
mondo, mentre il
Dio buono è
straniero in
senso assoluto a
lui, come ad
ogni cosa
creata. Per
nessun verso la
divinità che
salva dal mondo
ha alcun
rapporto con
l'esistenza del
mondo, nemmeno
quello secondo
cui lungo il
corso della
speculazione
gnostica una
parte della
divinità sia
stata trascinata
nella creazione
per decadimento
o per violenza.
Di conseguenza,
non viene
elaborata una
genealogia, o
storia di
qualsiasi
specie, che
colleghi il
demiurgo col Dio
buono. Il primo
è una divinità
per proprio
conto, che
manifesta la sua
natura
nell'universo
visibile, sua
creazione, ed è
l'antitesi del
Dio buono, non
in quanto
malvagio, ma in
quanto «giusto».
Perciò, sebbene
descritto senza
simpatie, egli
non è il
Principe delle
Tenebre. Nella
elaborazione
dell'antitesi
tra queste due
divinità da una
parte e il
significato
della redenzione
per mezzo di
Cristo
dall'altra,
consiste
l'originalità
dell'insegnamento
di Marcione.
-La redenzione
secondo
Marcione.
Per cominciare
col secondo
aspetto, Harnack
afferma: «Alla
questione circa
ciò da cui
Cristo ci ha
salvato - dai
demoni, dalla
morte, dal
peccato, dalla
carne (tutte
queste risposte
furono date fin
dai primissimi
tempi) -
Marcione
risponde in modo
radicale: Egli
ci ha salvato
dal mondo e dal
suo dio per
farci figli di
un Dio nuovo e
straniero» (10).
Codesta risposta
sollecita la
domanda: «Quale
motivo aveva il
Dio buono di
interessarsi al
destino
dell'uomo?». E
la risposta è:
Nessuno, tranne
la sua bontà.
Egli non
richiama
dall'esilio i
figli perduti
per riportarli
alla loro casa,
ma liberamente
adotta degli
stranieri per
condurli dalla
loro terra di
oppressione e di
miseria nella
nuova casa del
Padre. Di
conseguenza,
poiché essi non
sono sua
proprietà, ma
fin dall'origine
proprietà del
dio del mondo,
la loro salvezza
è un «libero
acquisto» da
parte di Cristo.
Marcione fa qui
appello a Gal.
3,13: «Cristo ci
ha riscattato»
(e
incidentalmente,
con un
cambiamento di
due lettere,
legge anche Gal.
2, 20: «mi ha
riscattato
["egorese"],
perché mi ha
amato
["egapese"]» -
uno dei
caratteristici
emendamenti del
testo fatti da
Marcione), e
argomenta:
«evidentemente
in quanto
stranieri,
perché nessuno
mai compera
quelli che gli
appartengono».
Il prezzo del
riscatto era il
sangue di
Cristo, che non
è stato dato per
la remissione
dei peccati o
per la
purificazione
del genere umano
dalla colpa,
oppure come
espiazione
vicaria in
adempimento
della Legge - in
una parola, non
per la
riconciliazione
dell'umanità con
Dio - ma per
cancellare il
diritto del
creatore alla
sua proprietà.
La legittimità
di tale diritto
è riconosciuta,
come pure la
validità della
Legge, alla
quale come
sudditi del
padrone del
mondo, e
fintantoché
rimangono tali,
gli uomini
devono
obbedienza.
Marcione intende
in tal senso la
dottrina paolina
circa la Legge e
così interpreta
tutte quelle
espressioni
dell'apostolo
che insistono
sulla validità
della
rivelazione
dell'Antico
Testamento, le
quali altrimenti
sarebbero
contrastanti con
la sua
posizione. In
verità Marcione
riconosce la
rivelazione
"quale"
autentico
documento del
dio del mondo e
nella sua
interpretazione
concorda con
l'esegesi
giudaica contro
i suoi
contemporanei
cristiani,
insistendo sul
significato
letterale e
respingendo il
metodo
allegorico che
la Chiesa
applicava
all'Antico
Testamento per
stabilirne la
concordanza col
Nuovo. Non solo
egli non aveva
interesse per
tale
concordanza, ma
non la ammette
nemmeno, visto
che l'Antico
Testamento
affermava di
essere la
rivelazione di
quel dio che ha
creato e governa
il mondo.
Accettando
questa
asserzione,
Marcione poteva
anche ammettere
in senso
letterale quelle
affermazioni che
la Chiesa poteva
riconciliare con
la rivelazione
cristiana
soltanto per
mezzo di
un'interpretazione
allegorica. Così
Marcione
concordava con
gli Ebrei che il
loro Messia
promesso, il
messia terreno,
figlio del dio
del mondo,
doveva ancora
venire e
stabilire il suo
regno terreno
proprio come i
profeti
l'avevano
dichiarato.
Ciò tuttavia non
ha niente a che
fare con la
salvezza portata
da Cristo che è
acosmica per
natura e non
muta il corso
degli eventi
terrestri,
neppure nel
senso di un
miglioramento:
infatti cambia
soltanto la
prospettiva
dell'anima
redenta rispetto
alla vita futura
e, a mezzo della
fede in tale
futuro, la sua
presente
condizione
"spirituale", ma
lascia il mondo
a se stesso,
cioè alla sua
finale
distruzione. Per
il restante del
loro soggiorno
terreno, la
condotta dei
credenti è
determinata
perciò non tanto
da una
preoccupazione
positiva di
santificazione,
quanto piuttosto
da un
atteggiamento
negativo di
ridurre al
massimo il
contatto col
regno del
creatore (v. in
seguito).
La beatitudine
futura può
essere
anticipata
quaggiù soltanto
per mezzo della
fede, e la fede
invero è l'unica
forma in cui
deve essere
accettata
l'adozione
divina offerta
da Cristo,
poiché nella
negazione di
quella questa
può essere
respinta: coloro
i quali
rimangono sotto
il potere del
creatore lo
fanno di loro
propria scelta
(11). Perciò in
questo contratto
strettamente
legale tra il
Dio buono, il
creatore e le
anime "adottate"
nella primitiva
paternità, non
interviene
alcuna
«esperienza
pneumatica» né
illuminazione
dell'eletto per
mezzo di una
«gnosi» che
trasforma la sua
natura o mette
in luce
l'elemento
divino nascosto
in lui.
Solamente i
credenti sono
salvati, non gli
«gnostici»,
sebbene la fede
con la certezza
che infonde
comporti una
propria
esperienza di
beatitudine.
Ciò basti per
quanto riguarda
la soteriologia.
- I due dèi.
Marcione ha
elaborato la sua
teologia in
forma di
«antitesi»:
questo era il
titolo di uno
dei suoi libri
perduti. La
maggior parte di
tali antitesi
consistevano in
attributi dei
due dèi. L'uno è
l'«artigiano»
("demiurgo"), il
«Dio della
creazione» (o
«generazione»),
il «reggitore di
questo eone»,
«conosciuto» e
«predicabile»;
l'altro è il Dio
«nascosto»,
«sconosciuto»,
«incomprensibile»,
«impredicabile»,
«estraneo», «lo
straniero»,
«l'altro», «il
diverso» ed
anche «il
nuovo». Il
dio-creatore è
"conosciuto"
dalla sua
creazione, nella
quale si
manifesta la sua
natura. Il mondo
lascia trapelare
non soltanto la
sua esistenza ma
anche il suo
carattere, che è
quello di un
animo gretto.
Basta uno
sguardo alla
miseria della
sua opera: «I
Marcioniti con
estrema
impudenza
arricciano il
naso alla
creazione e
distruggono
l'opera del
Creatore:
'Davvero - essi
dicono -
un'opera
magnifica, degna
del suo Dio, è
questo mondo!'»
(Tertull.,
"Contra Marc."
I, 13). Altrove
Tertulliano
riporta le
espressioni:
«questi
miserevoli
elementi» e
«questa celletta
del creatore»
(12). Le stesse
«piccinerie,
debolezze e
incoerenze»
della sua
creazione si
manifestano pure
nel
comportamento
col genere umano
e persino col
suo popolo
eletto. A prova
di ciò, Marcione
porta la
conferma
dell'Antico
Testamento, che
per lui è «vero»
nel senso
indicato. La più
significativa
rivelazione di
sé è la Legge, e
ciò ci conduce
all'ultima e più
importante
antitesi di
Marcione: quella
tra il Dio
"giusto" e il
Dio "buono". Dal
punto di vista
cristiano
codesto aspetto
del dualismo di
Marcione è molto
pericoloso: esso
separa e
distribuisce tra
due dèi che si
escludono a
vicenda quella
polarità tra
giustizia e
misericordia la
cui unione in un
unico Dio è il
motivo, per la
sua tensione, di
tutta la
dialettica della
teologia
paolina. Per
Marcione, mente
meno profonda e
perciò più
incline alla
chiarezza della
coerenza
formale,
giustizia e
bontà sono
contraddittorie
e quindi non
possono trovarsi
riunite in un
medesimo dio: il
concetto di
ognuno dei due
dèi, soprattutto
quello del vero
Dio, non
dev'essere
equivoco -
errore di tutti
i dualismi
teologici. Il
dio giusto è
quello «della
Legge», il dio
buono è quello
«del Vangelo».
Marcione, qui
come altrove
semplificando
troppo san
Paolo, intende
la «giustizia»
della Legge come
puramente
formale,
ristretta,
retributiva e
vendicativa
(«occhio per
occhio, dente
per dente»): una
tale giustizia,
non proprio
cattiveria, è
proprietà
fondamentale del
dio-creatore.
Perciò il dio
che Cristo ha
indicato come
falso non è il
persiano
Ahriman, non
l'assoluta
tenebra -
Marcione lasciò
sussistere il
demonio come
figura separata
entro il regno
del creatore -
né la materia,
ma semplicemente
il dio del mondo
come presentato
dalla Legge e
dai profeti. La
virtù morale
sotto la Legge,
sebbene
preferibile
secondo norme
terrene alla
licenziosità,
non ha grande
importanza dal
punto di vista
della salvezza
trascendente.
Come il
dio-creatore è
conosciuto,
evidente e
«giusto», così
il vero Dio è
sconosciuto,
straniero e
buono. Egli è
sconosciuto
perché il mondo
non dice niente
di lui. Non
avendo parte
nella creazione,
non esiste in
tutta la natura
traccia alcuna
che possa anche
soltanto far
sospettare la
sua esistenza.
Come riassume
Tertulliano: «Il
Dio di Marcione
è sconosciuto
"per via
naturale" e mai
rivelato tranne
che nel Vangelo»
(op. cit. V,
16). Non essendo
l'autore del
mondo e neppure
dell'uomo, egli
è anche lo
straniero. In
altre parole,
nessun legame
naturale,
nessuna
relazione
preesistente lo
collega con le
creature di
questo mondo e
non vi è nessun
obbligo da parte
sua di
preoccuparsi del
destino
dell'uomo. Per
Marcione è
evidente che
egli non entra
in alcun modo
nel governo
fisico del
mondo: volle
eliminare dal
Vangelo come
interpolazioni
giudaiche quei
detti del
Signore laddove
si dice ad
esempio che il
Padre si prende
cura dei passeri
e tiene conto
del numero di
capelli che
ognuno ha in
testa. Il Padre
proclamato da
Gesù Cristo non
avrebbe potuto
occuparsi di ciò
che riguarda la
natura o il suo
dio. E ciò
toglie di mezzo
qualsiasi idea
di una
provvidenza che
opera nel mondo.
La sola attività
con la quale il
Dio buono
interviene nel
mondo e il suo
unico rapporto
con esso è
quello di aver
mandato suo
Figlio per
redimere l'uomo
dal mondo e dal
suo dio:
«Quest'"unica"
opera è
sufficiente per
il "nostro" Dio,
che abbia
liberato l'uomo
per sua suprema
e superlativa
bontà, che è da
preferirsi a
tutte le
cavallette (13)»
(Tertull., op.
cit. I, 17). E'
chiaro che la
bontà del Dio
buono è
collegata alla
sua estraneità,
in quanto
quest'ultima
toglie ogni
altro fondamento
al suo interesse
verso l'uomo. La
bontà della sua
azione salvifica
è maggiore
appunto per il
fatto che egli è
straniero e si
occupa di
estranei:
«L'uomo,
quest'"opera del
dio-creatore",
che il Dio più
buono ha scelto
di amare, e per
amor suo si è
assunto l'onere
di discendere
dal terzo cielo
in questi
elementi
miserabili, e in
favore di lui è
stato persino
crocifisso in
questa piccola
cella del
creatore» (ibid.
14).
- «La grazia
data
liberamente».
Perciò l'unica
relazione del
Dio buono col
mondo è
soteriologica,
ossia diretta
contro di esso e
contro il suo
dio. Per quanto
riguarda l'uomo,
questa relazione
è iniziativa del
tutto gratuita
da parte del Dio
straniero ed è
perciò un atto
di pura grazia.
Anche qui
Marcione
interpreta a
modo suo
l'antitesi
paolina di
«grazia gratis
data» e
«giustificazione
per mezzo delle
opere». Che la
grazia sia data
gratuitamente
rappresenta per
entrambi gli
autori tutto il
contenuto della
religione
cristiana; ma
mentre in Paolo
«gratuitamente»
significa
«rispetto alla
colpa e
all'insufficienza
umana», cioè in
assenza di ogni
merito da parte
dell'uomo, in
Marcione
significa
«rispetto alla
reciproca
estraneità»,
cioè in assenza
di ogni legame
obbligante. Né
la
responsabilità,
né
l'attaccamento
paterno di un
creatore verso
le sue creature
è in gioco in
questo caso, e
nemmeno nella
maniera gnostica
abituale il Dio
buono è
mediatamente
interessato al
destino delle
anime (e del
mondo) per le
connessioni
genealogiche
descritte: di
modo che non c'è
niente che egli
debba riscattare
o restaurare.
Infine, in
mancanza di ogni
precedente
azione, le idee
di perdono e
riconciliazione
non sono
applicabili: se
gli uomini sono
stati in
precedenza
peccatori, non
possono
certamente aver
peccato contro
di Lui. Il fatto
è che la prima
relazione tra
questo Dio e
quelle creature
non sue è stata
stabilita per
mezzo del suo
atto di una
grazia senza un
passato, e la
relazione
continua a
sussistere in
questo modo. Il
lettore
cristiano può
chiedersi a
questo proposito
che ne è del
concetto
cristiano di
amore divino e
di misericordia.
Il richiamo al
pentimento,
l'imminenza del
giudizio, timore
e tremore,
espiazione,
tutto è stato
eliminato dal
messaggio
cristiano. Ma
bisogna notare
che mentre
Marcione
abolisce il
paradosso
paolino di un
Dio che è giusto
e buono, di
fronte al quale
l'uomo è
colpevole e
tuttavia amato,
egli accentua
ancora di più il
paradosso di una
grazia
incomprensibile,
non sollecitata,
senza precedenti
che possano
richiederla o
prepararla, un
profondo mistero
della divina
bontà come tale.
Per codesto
motivo Marcione
deve essere
annoverato tra i
grandi
protagonisti di
una religione
paradossale.
- La moralità
ascetica di
Marcione.
Marcione è stato
altrettanto
rigido nella
formulazione
della dottrina
teologica quanto
nei precetti di
condotta che ne
dedusse. Non vi
poteva
naturalmente
essere alcuna
preparazione, o
aumento, della
grazia divina
per mezzo delle
opere, ancor
meno un
perfezionamento
della natura
umana mediante
la pratica delle
virtù nel senso
classico pagano.
In linea di
principio, la
moralità
positiva, come
mezzo per
regolare e
quindi
confermare
l'appartenenza
degli uomini al
sistema della
creazione, non
era che una
versione di
quella Legge per
mezzo della
quale il
creatore
esercitava il
suo dominio
sull'anima
dell'uomo e alla
cui osservanza
coloro che
venivano salvati
non erano più
tenuti:
continuare a
praticarla
significherebbe
consolidare
un'appartenenza
al cosmo che al
contrario
dovrebbe essere
ridotta al
minimo
indispensabile,
fino alla
definitiva
rimozione dal
suo ordine.
Quest'ultima
considerazione
definisce il
tipo di moralità
che Marcione
sosteneva. Il
suo principio
era: non
completare, ma
ridurre il mondo
del creatore e
farne il minor
uso possibile.
«Per via di
opposizione al
Demiurgo,
Marcione
respinge l'uso
delle cose di
questo mondo»
(Clem. Alex.,
"Strom." III, 4,
25).
L'"ascetismo"
così
raccomandato,
strettamente
parlando, non è
una questione di
etica, ma di
allineamento
metafisico.
Evitare la
contaminazione
del mondo ne è
un aspetto
importante, ma
l'aspetto
principale è
quello di
opporsi anziché
di promuovere la
causa del
creatore, o
anche, proprio
per fargli
dispetto:
«[Marcione]
crede di
molestare il
Demiurgo
astenendosi da
ciò che quello
ha fatto o
istituito»
(Hippol.,
"Refut." X, 19,
4). La «perpetua
astinenza» in
materia di cibo
è «per
distruggere e
disprezzare e
abominare le
opere del
creatore»
(Hieron., "Adv.
Jovinian." II,
167).
Particolarmente
evidente è il
proposito di
opposizione
nella
proibizione del
rapporto
sessuale e del
matrimonio: «Non
volendo aiutare
a popolare il
mondo fatto dal
Demiurgo, i
Marcioniti
stabiliscono
l'astensione dal
matrimonio,
sfidando il loro
creatore e
affrettandosi
verso l'Unico
Buono che li ha
chiamati e il
quale, essi
dicono, è Dio in
un senso
differente:
perciò, non
volendo lasciare
niente di
proprio quaggiù,
diventano
continenti non
per un principio
morale, ma per
ostilità al loro
fattore, e per
non voler
servirsi della
sua creazione»
(Clem. Alex.,
loc. cit.). Qui
la
contaminazione
della carne e la
concupiscenza,
temi così
diffusi in
questo periodo,
non sono nemmeno
menzionati;
invece (sebbene
non
esclusivamente:
confronta
Tertull., op.
cit. I, 19, dove
il matrimonio è
chiamato
«bruttura» o
«sozzura»
["spurcitiae"])
è l'aspetto di
"riproduzione"
che squalifica
la sessualità -
quello stesso
aspetto che per
la Chiesa ne è
la sola
giustificazione
come suo fine
secondo la
disposizione
della natura.
Marcione qui
riecheggia un
genuino e tipico
argomento
"gnostico", di
cui si avrà la
completa
elaborazione in
Mani: cioè che
la riproduzione
è un inganno
ingegnoso
dell'arconte per
trattenere
indefinitamente
le anime nel
mondo (14).
Perciò
l'ascetismo di
Marcione, a
differenza di
quello degli
Esseni o più
tardi del
monachesimo
cristiano, non
era inteso a
promuovere la
santificazione
dell'esistenza
umana, ma era
essenzialmente
negativo nella
sua concezione e
faceva parte
della rivolta
gnostica contro
il cosmo.
- Marcione e la
Scrittura.
Assumendo come
misura di ciò
che è
genuinamente
cristiano e di
ciò che non lo è
la propria
interpretazione
di san Paolo,
Marcione ha
sottoposto gli
scritti del
Nuovo Testamento
ad un rigoroso
processo di
vagliatura per
separare il vero
da quello che
egli riteneva
fossero
falsificazioni
posteriori. E fu
per questa via
che per la prima
volta un lavoro
di critica
testuale,
sebbene in modo
piuttosto
arbitrario, fu
applicato ai
primitivi
documenti
cristiani e che
nella Chiesa
cristiana nacque
e fu realizzata
l'idea stessa di
un "canone". Il
canone
dell'Antico
Testamento era
stato stabilito
già da gran
tempo dai
teologi ebraici,
ma non era stato
definitivamente
fissato un corpo
di libri
autorevoli o
autentici tra la
massa fluttuante
di scritti
cristiani,
tranne la
definizione
globale di Sacra
Scrittura. Il
canone che
Marcione compose
per la Chiesa
era
comprensibilmente
scarno. Non c'è
bisogno di dire
che l'Antico
Testamento nella
sua totalità fu
buttato a mare.
Quanto al Nuovo
Testamento
soltanto il
Vangelo secondo
Luca e dieci
Lettere paoline
furono
accettate,
sebbene anche
queste ultime
con emendamenti
ed eliminazione
di ciò che
Marcione
considerava come
interpolazioni
giudaiche.
Queste ultime,
secondo lui,
avevano anche
invaso il
Vangelo di Luca,
che nell'insieme
Marcione
considerava come
il solo
autentico, ossia
quello dato da
Dio (e perciò
non da Luca), di
modo che ne era
necessaria
un'accurata
purgazione: la
storia della
nascita, per
esempio, con la
sua discendenza
davidica doveva
essere tolta e
molto altro
ancora (tra cui
abbiamo
ricordato
l'eliminazione
di 12, 6).
Queste
caratteristiche
principali sono
sufficienti a
dare un'idea del
lavoro di
critica testuale
fatto da
Marcione. Fu in
risposta al
tentativo di
Marcione di far
accettare dalla
Chiesa il suo
canone e con
esso la sua
interpretazione
del messaggio
cristiano che la
Chiesa
procedette a
stabilire il
canone ortodosso
e il dogma
ortodosso.
Fissando il
primo, lo
scontro maggiore
verteva sul
ritenere o
abbandonare
l'Antico
Testamento; e se
«Sacra
Scrittura» fino
ad oggi
significa
entrambi i
Testamenti, ciò
è dovuto al
fatto che il
marcionismo non
riuscì ad
imporsi. Per
quanto riguarda
il dogma,
l'accentuazione
antimarcionita è
chiaramente
percepibile
nelle primitive
formulazioni. La
"regula fidei",
che Origene ha
messo all'inizio
della sua opera
principale, "De
principiis",
contiene questa
affermazione
enfatica (15):
«Questo Dio,
giusto e buono,
Padre di nostro
Signore Gesù
Cristo, ha dato
"egli stesso" la
legge e i
profeti e i
vangeli, egli
che è il Dio
degli apostoli e
dell'Antico e
del Nuovo
Testamento».
Tuttavia in un
modo o
nell'altro il
marcionismo è
rimasto fino ad
oggi materia di
discussione nel
cristianesimo. E
prescindendo da
qualsiasi
controversia
dottrinale, il
messaggio di
Marcione circa
il Dio nuovo e
straniero non
mancherà di
trovare un'eco
nel cuore umano.