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Vangelo di Marcione

Hans Jonas

 

 

GLI ANGELI CHE HANNO FATTO IL MONDO.

IL VANGELO DI MARCIONE.



«L'Inno della Perla» non riferiva in che modo la Perla era caduta in potere delle Tenebre. Simon Mago lo ha fatto, seppure brevemente nelle trattazioni esistenti, facendo riferimento alla divina Ennoia o Sophia, che nel suo sistema corrisponde alla Perla dell'inno. Come abbiamo visto, essa è stata trascinata nella creazione dalla sua stessa progenie, gli angeli creatori del mondo, a causa del loro orgoglio ignorante e della brama di un potere simile a quello divino. L'origine divina, sebbene non immediata, di questi agenti cosmici, e perciò la concezione di tutta la storia come una divina degradazione, è un punto integrante di questo tipo di speculazione, addirittura il principio esplicativo. La stessa derivazione non può essere applicata al dragone che trattiene la Perla in prigionia. Se, come suggerisce l'originale babilonese, esso incarna il potere del caos primordiale, allora il suo principio era antidivino dall'origine e il suo carattere era malvagio o «tenebroso» in un senso diverso dall'errore e dalla follia degli angeli traviati di Simone.

Abbiamo fatto notare (p. 123 in nero) che su questo punto i due principali sistemi di speculazione gnostica divergono. Mentre la speculazione iranica vuole spiegare in che modo le Tenebre originarie abbiano potuto assorbire elementi di Luce, la speculazione siro-egiziana ha considerato suo compito principale la derivazione della frattura dualistica e la conseguente condizione del divino nel sistema di creazione dall'unica e indivisa sorgente dell'essere; e l'ha fatto per mezzo di un'estesa genealogia di stati divini che si evolvono l'uno dall'altro, la quale descrive il progressivo ottenebramento della Luce divina in categorie mentali. La differenza veramente importante sta, non tanto nella preesistenza o meno di un regno delle Tenebre indipendentemente da Dio, quando nell'alternativa che la tragedia divina sia fatta derivare dall'esterno o sia considerata risultante da una condizione interna. Quest'ultima ipotesi può essere mantenuta anche nel caso della preesistenza della Tenebra o Materia, se la sua funzione è quella passiva di tentare i membri del regno superiore verso la creatività materiale piuttosto che quella attiva di invadere il regno della Luce. In tale forma, adottata da alcuni sistemi, lo schema iranico dei due opposti princìpi originari potrebbe essere ricondotto alla visione dello schema siro-egiziano dell'inganno e dell'errore divini (1).

Si potrebbe sostenere che per lo stato di cose esistente e per la preoccupazione di salvezza fondata su di esso, che in fin dei conti è la preoccupazione principale della religione gnostica, non aveva grande importanza che si adottasse l'uno o l'altro tipo di preistoria, perché entrambi portavano in sostanza allo stesso risultato: che, siano gli angeli demiurgici i «reggitori malvagi del mondo», o i demoni della Tenebra primordiale che trattengono le anime in schiavitù, «salvezza» significa salvezza dal loro potere e il salvatore deve vincerli come suoi nemici. Ciò è vero, perché se fosse altrimenti i due sistemi teoretici non potrebbero essere entrambi espressioni dello spirito gnostico, per il quale la valutazione negativa del cosmo è fondamentale. Tuttavia non ha poca importanza, dal punto di vista religioso, che il mondo sia considerato espressione di un principio inferiore o che la sua sostanza sia vista come interamente diabolica. Ed è il tipo siro-egiziano che, con il suo impegno deduttivo più sottile e più complesso, non soltanto è più ambizioso speculativamente e più differenziato psicologicamente del rigido dualismo iranico, ma è anche quello dei due che in modo sistematico meglio interpreta la pretesa di redenzione della gnosi così dominante nella religione gnostica: questo perché si accorda al suo opposto, «ignoranza» come evento "divino", una funzione metafisica nella creazione stessa del cosmo e nel mantenere la condizione dualistica come tale. Ci soffermeremo di più su questo aspetto quando tratteremo il sistema valentiniano. E' ovvio che anche a questo stadio lo schema siro-egiziano permette una maggiore varietà di speculazione e che, una volta stabilito il carattere di questo mondo e dei suoi diretti signori e creatori, come risultato quasi logico nel quadro gnostico generale, il centro teoretico di gravità si sposti all'elaborazione di stadi intermedi tra queste divinità cosmiche e la divinità primordiale da cui esse sono state originate: la tendenza è allora quella di moltiplicare le figure e di prolungare la genealogia, sia per accentuare la differenziazione spirituale sia per aumentare la distanza tra il mondo inferiore e l'intatto regno della Luce. Per spiegare questa tendenza molto importante possiamo anche attribuirla ad un crescente interesse speculativo circa i mondi superiori come tali che trova soddisfazione in una crescente molteplicità. In ogni modo, alla luce di ciò che è emerso in definitiva, la genealogia di Simone con i suoi due gradi di Ennoia e angeli creatori del mondo deve sembrare un modestissimo inizio.



a) Gli angeli che hanno creato il mondo.


La maggioranza dei sistemi gnostici cristiani, catalogati dagli eresiologi, appartiene al tipo siriaco, anche quando la Tenebra originaria viene incorporata nella forma platonizzante di materia passiva. Ciò non vuol dire che tutti si siano compiaciuti nel genere di genealogia trascendentale che abbiamo indicato. Di fatto, ovunque gli «angeli» o il «demiurgo» sono detti creatori e reggitori del mondo, anche quando la loro linea di provenienza non è dal Dio supremo, siamo in presenza di un principio non completamente malvagio, ma piuttosto inferiore o degenerato come causa ed essenza di creazione.

Così "Carpocrate", senza alcun tentativo di deduzione (stando a Ireneo), afferma semplicemente che il mondo è stato fatto dagli angeli «che sono di gran lunga inferiori al Padre ingenerato»: Gesù e tutte le anime che come la sua si mantennero pure e forti nel ricordo del Padre ingenerato possono disprezzare i creatori e passare in mezzo a loro (Iren. I, 25, 1-2). "Menandro" insegna in modo simile a Simone che la Prima Potenza è sconosciuta a tutti e che il mondo è stato fatto dagli angeli, i quali egli, «come Simone, dice che sono emanati dall'Ennoia»: pretende di essere in grado con la magia di sottomettere questi reggitori del mondo (loc. cit. 23, 5). "Saturnino", tralasciando l'Ennoia, o altro simile principio femminile, insegna semplicemente secondo Ireneo che «l'unico Padre inconoscibile ha fatto gli angeli, gli arcangeli, le potenze e le dominazioni. Il mondo tuttavia, e quanto esso contiene, è stato fatto da sette angeli particolari, e anche l'uomo è opera degli angeli», uno dei quali è il dio ebraico. Egli descrive questi angeli di volta in volta come artigiani inefficaci e come ribelli. Cristo è venuto per distruggere il dio degli Ebrei. Una caratteristica (2) di Saturnino è quella di annoverare tra questi angeli anche il demonio, che «è un angelo nemico di quegli angeli e dio degli Ebrei»: una specie di inimicizia privata nell'ambito delle potenze inferiori (loc. cit. 24, 1-2).

I sistemi più vasti, d'altra parte, fanno provenire, come è stato detto, la discendenza dell'ordine inferiore dal principio superiore elaborando genealogie estese e sempre più complicate: una specie di «devoluzione» metafisica che termina nella decadenza che è questo mondo. Così, per esempio, "Basilide" prolunga la linea di discendenza in una enorme catena che, attraverso un certo numero di figure spirituali come Nous, Logos, eccetera, conduce a 365 cieli successivamente generati con le loro popolazioni angeliche, l'ultimo dei quali è quello che vediamo, abitato dagli angeli che creano il mondo. Il loro capo è il dio dei Giudei. Anche qui il Padre innominabile manda Cristo, il Nous eterno, a liberare coloro che credono in lui dalla dominazione dei costruttori del mondo. La sua passione è stata un inganno, perché Simone di Cirene è morto sulla croce nella sua figura (loc. cit. 24, 3-4; ci soffermeremo in seguito sugli altri due principali esempi di questo tipo, i Barbelognostici e i Valentiniani).

In tutti questi casi, le potenze che sono responsabili del mondo e contro le quali è diretta l'opera della salvezza sono più spregevoli che sinistre. La loro malvagità non è quella dell'arcinemico, l'odiatore eterno della Luce, ma quella di usurpatori ignoranti che, non considerando il loro rango subalterno nella gerarchia dell'essere, si arrogano la direzione del mondo e, scarsi di mezzi, con l'invidia e la bramosia di potere, possono solamente rappresentare una caricatura della vera divinità. Il mondo, creato da loro in imitazione illegittima della creatività divina e come prova della loro propria divinità, è di fatto una dimostrazione della loro inferiorità sia nella sua costituzione che nel suo governo.

Una caratteristica che ricorre di frequente è l'asserzione che le profezie e la Legge mosaica sono promanate dagli angeli governanti il mondo, tra i quali spicca il dio dei Giudei (3). Ciò indica un particolare antagonismo verso la religione dell'Antico Testamento e il suo Dio, la cui realtà non è però in nessun modo negata. Al contrario, dopo che questo Dio in astrologia aveva dato i suoi "nomi" a quattro dei sette arconti planetari (4), che gli Gnostici poi promossero a creatori del mondo, la sua immagine tracciata con animo polemico emerse con maggior evidenza dal loro numero come una inconfondibile caricatura del Dio biblico, non venerando, ma nondimeno terribile. Dei Sette è soprattutto Ialdabaoth che si appropria questa eminenza e questa somiglianza. Nel sistema degli Ofiti, come riferito da Ireneo, egli è il primogenito della Sophia minore o Prunikos e genera dalle acque un figlio chiamato Iao, che a sua volta genera allo stesso modo un figlio, Sabaoth, e così di seguito per i Sette. Perciò Ialdabaoth è mediatamente il padre di tutti questi e quindi della creazione. «Egli si vantò di quanto accadeva ai suoi piedi e disse: 'Io sono Padre e Dio e non vi è nessuno al di sopra di me'» (secondo il modello di certe formule dell'Antico Testamento, come Is. 45, 5: «Io sono il Signore e non c'è nessun altro, non c'è altro Dio all'infuori di me»); al che sua madre replica: «Non mentire, Ialdabaoth: c'è sopra di te il Padre di tutti, il "Primo Uomo", e "Uomo", Figlio dell'Uomo» (loc. cit. 30, 4-6).

Il tema dell'orgoglio demiurgico è frequente nella letteratura gnostica, comprese le allusioni all'Antico Testamento. «Perché là governa il grande Arconte, il cui dominio si estende al firmamento, il quale crede di essere il solo Dio e che non vi sia niente al di sopra di lui» (Basilide, in Hippol. VII, 25, 3; confronta 23, 4 s.s.). L'"Apocrifo di Giovanni" va un passo più avanti nella diffamazione del carattere demiurgico, laddove Ialdabaoth, per desiderio di dominio, inganna i suoi angeli su ciò che concede e ciò che trattiene nella loro creazione, e la sua gelosia viene intesa come segno di conoscenza anziché di ignoranza del Dio supremo:


«Egli ha assegnato loro parte del suo fuoco, che è il suo attributo, e parte del suo potere; ma non ha dato ad essi niente della pura Luce del potere che ha ereditato da sua Madre. Per tal motivo ha dominio sopra di loro, a causa della gloria che era in lui dal potere della Luce della Madre. Perciò ha permesso che fosse chiamato 'il dio', ripudiando la sostanza dalla quale era provenuto... E contemplò la creazione sotto di lui e la moltitudine degli angeli al di sotto di lui che erano scaturiti da lui, e disse loro: 'Sono un dio geloso, non vi è nessuno all'infuori di me', con ciò indicando già agli angeli al di sotto di lui che vi è un altro Dio; perché se non vi fosse nessuno, di chi sarebbe geloso?» (42, 13 s.s.; 44, 9 s.s., Till).


Lo stesso tema è abbondantemente sfruttato nelle speculazioni mandee sugli inizi, pur senza riferimento evidente all'Antico Testamento: «B'haq-Ziva si stimò strapotente, e abbandonò il nome che suo Padre aveva creato [per lui]. Egli disse: 'Sono il padre degli Uthra, che hanno creato delle "sh'kina" per sé'. Meditò sulle acque torbide e disse: 'Creerò un mondo'» (G 97 s.).

Tipica è anche la replica dall'alto che mette il creatore al suo posto (5). Ma ancora più umiliante è il rimprovero proveniente dall'anima dello pneumatico in ascesa, il quale vanta la sua origine in faccia al signore, o signori, del mondo:


«Sono un vaso più prezioso della donna che ti ha fatto. Tua madre non conosce la sua origine, ma io conosco me stesso e so di dove provengo. Invoco l'incorruttibile Sophia che abita nel Padre ed è la madre di tua madre... Ma una donna nata da donna ti ha generato, senza conoscere sua madre e credendo di essere da se stessa: ma io invoco sua madre» (Iren. I, 21, 5).


Formule simili, che si trovano in gran numero, esprimono efficacemente la confidenza dell'eletto gnostico e il suo disprezzo sovrano per quelle potenze inferiori, anche se sono le reggitrici di questo mondo. Ciò non esclude un sentimento di paura, che si trova curiosamente mescolato all'audacia della provocazione. La preoccupazione principale dell'anima è di "sfuggire" ai terribili arconti, e piuttosto che trovarsi a faccia a faccia con loro essa preferisce, se le riesce, di svignarsela inosservata. Di conseguenza, si dice talvolta che la funzione dei sacramenti è quella di rendere le anime nella loro futura ascesa invisibili agli arconti che ne impedirebbero il cammino, e specialmente al loro principe, che in veste di giudice le farebbe responsabili delle loro azioni sotto la sua legge. Poiché l'essenza di questa legge è «giustizia», sfuggire alla sua sanzione fa parte per gli Gnostici di un generale atteggiamento contrario alla legge ed esprime il ripudio del Dio dell'Antico Testamento nel suo aspetto morale. Ritorneremo in seguito su questo punto in rapporto al libertinismo gnostico; il riferimento all'antitesi paolina di legge e grazia ci occuperà subito.

In alcuni gnostici cristiani, la figura di un unico dio del mondo assorbe completamente la pluralità di angeli e arconti e diventa, com'era rappresentato nella Bibbia, il solo simbolo della creazione e della sua legge, in modo che tutto il problema della salvezza viene ristretto ad una questione tra lui e il Dio sconosciuto dell'aldilà. Si hanno parecchi esempi di questo sviluppo quasi-monoteistico, per quel che riguarda il regno cosmico (6). "Cerinto" insegnava che «il mondo era stato fatto, non dal primo Dio, ma da un potere molto distante e separato dalla sorgente dell'essere, il quale non aveva nemmeno conoscenza del Dio che è esaltato al di sopra di tutte le cose»: Cristo fu il primo a predicare nel mondo il Padre sconosciuto (Iren. I, 26,1) (7). Nella stessa linea, "Cerdone" affermava che «il Dio predicato da Mosè e dai profeti non è il Padre di Gesù Cristo: l'uno è conoscibile, l'altro no; l'uno soltanto giusto, l'altro buono» (loc. cit. 27, 1). La dottrina di Cerdone, della quale possediamo soltanto questo breve sommario, conduce nelle strette vicinanze di "Marcione", il più grande maestro di questo gruppo.



b) Il Vangelo di Marcione.


Marcione di Sinope nel Ponto occupa una posizione singolare sia tra i pensatori gnostici sia nella storia della Chiesa cristiana. Sotto quest'ultimo aspetto, egli è stato il più decisamente e integralmente «cristiano» tra gli Gnostici, e per tal motivo ha rappresentato la più grande sfida all'ortodossia cristiana; anzi, per essere più precisi, la sua sfida più di qualsiasi altra «eresia» ha condotto alla formulazione della stessa dottrina ortodossa. Nell'ambito del pensiero gnostico, la singolarità della sua posizione è tale che la sua appartenenza al movimento gnostico è stata respinta nientemeno che da uno studioso di Marcione quale Harnack.


- La posizione singolare di Marcione nel pensiero gnostico.


In verità egli rappresenta un'eccezione a molte regole gnostiche. Egli solo fra tutti ha preso sul serio la passione di Cristo, sebbene l'interpretazione che ne ha dato sia stata inaccettabile per la Chiesa; la sua dottrina è interamente libera dalla fantasia mitologica nella quale si è sbizzarrito il pensiero gnostico; egli non specula sulle prime origini; non moltiplica le figure divine e semidivine; rifiuta l'allegoria per l'interpretazione dell'Antico e del Nuovo Testamento; non afferma la conquista di una conoscenza superiore «pneumatica» o la presenza in genere nell'uomo di quell'elemento divino che potrebbe essere la sua origine o il suo ricevente; egli fonda interamente la sua dottrina su ciò che pretende essere il significato letterale del Vangelo; in questa rigorosa restrizione è libero da ogni sincretismo così caratteristico dello gnosticismo in genere; infine, come Paolo, che era per lui «l'apostolo», assume la fede e non la conoscenza come mezzo della redenzione. Tale considerazione potrebbe far mettere Marcione decisamente al di fuori dell'area gnostica, se questa è definita dal concetto di gnosi. Tuttavia il dualismo anticosmico come tale, di cui Marcione è l'esponente più aperto, l'idea di un Dio sconosciuto opposto a quello del cosmo, la concezione stessa di un creatore inferiore ed oppressore e la conseguente visione di salvezza come liberazione dal suo potere mediante un principio forestiero, sono così manifestamente gnostici che chiunque li affermi in tale contesto storico deve essere annoverato tra gli Gnostici, non solo per semplice classificazione, ma nel senso che le idee gnostiche che circolavano avevano di fatto plasmato il suo pensiero. La stessa concezione, tuttavia, che collega così strettamente Marcione con la corrente gnostica generale, quella dello «Straniero», assunse nel suo insegnamento una direzione completamente nuova. In sintesi, il vangelo di Marcione (8) era quello «del Dio straniero e buono, il Padre di Gesù Cristo, che conduce alla vita eterna la miserabile umanità liberandola da pesanti catene, umanità ancora "del tutto estranea a lui"». Marcione condivide con lo gnosticismo in genere il concetto dell'"estraneità" del vero Dio: che egli è straniero perfino per l'oggetto della sua salvezza, che gli uomini persino nell'anima e nello spirito sono a lui estranei, tali concezioni sono sue proprie. Di fatto questo annulla uno dei princìpi basilari della religione gnostica, secondo la quale gli uomini sono stranieri in questo mondo, e perciò la loro assunzione nel regno divino è un ritorno alla loro vera casa, o nel salvare l'umanità il Dio supremo salva ciò che è suo. Secondo Marcione, l'uomo nella sua integrale costituzione, come tutta la natura, è creatura del dio del mondo e, prima della venuta di Cristo, è sua legittima e assoluta proprietà, corpo e anima insieme (9). «In senso naturale», perciò, nulla dell'uomo è straniero nel mondo, mentre il Dio buono è straniero in senso assoluto a lui, come ad ogni cosa creata. Per nessun verso la divinità che salva dal mondo ha alcun rapporto con l'esistenza del mondo, nemmeno quello secondo cui lungo il corso della speculazione gnostica una parte della divinità sia stata trascinata nella creazione per decadimento o per violenza.

Di conseguenza, non viene elaborata una genealogia, o storia di qualsiasi specie, che colleghi il demiurgo col Dio buono. Il primo è una divinità per proprio conto, che manifesta la sua natura nell'universo visibile, sua creazione, ed è l'antitesi del Dio buono, non in quanto malvagio, ma in quanto «giusto». Perciò, sebbene descritto senza simpatie, egli non è il Principe delle Tenebre. Nella elaborazione dell'antitesi tra queste due divinità da una parte e il significato della redenzione per mezzo di Cristo dall'altra, consiste l'originalità dell'insegnamento di Marcione.


-La redenzione secondo Marcione.


Per cominciare col secondo aspetto, Harnack afferma: «Alla questione circa ciò da cui Cristo ci ha salvato - dai demoni, dalla morte, dal peccato, dalla carne (tutte queste risposte furono date fin dai primissimi tempi) - Marcione risponde in modo radicale: Egli ci ha salvato dal mondo e dal suo dio per farci figli di un Dio nuovo e straniero» (10). Codesta risposta sollecita la domanda: «Quale motivo aveva il Dio buono di interessarsi al destino dell'uomo?». E la risposta è: Nessuno, tranne la sua bontà. Egli non richiama dall'esilio i figli perduti per riportarli alla loro casa, ma liberamente adotta degli stranieri per condurli dalla loro terra di oppressione e di miseria nella nuova casa del Padre. Di conseguenza, poiché essi non sono sua proprietà, ma fin dall'origine proprietà del dio del mondo, la loro salvezza è un «libero acquisto» da parte di Cristo. Marcione fa qui appello a Gal. 3,13: «Cristo ci ha riscattato» (e incidentalmente, con un cambiamento di due lettere, legge anche Gal. 2, 20: «mi ha riscattato ["egorese"], perché mi ha amato ["egapese"]» - uno dei caratteristici emendamenti del testo fatti da Marcione), e argomenta: «evidentemente in quanto stranieri, perché nessuno mai compera quelli che gli appartengono». Il prezzo del riscatto era il sangue di Cristo, che non è stato dato per la remissione dei peccati o per la purificazione del genere umano dalla colpa, oppure come espiazione vicaria in adempimento della Legge - in una parola, non per la riconciliazione dell'umanità con Dio - ma per cancellare il diritto del creatore alla sua proprietà. La legittimità di tale diritto è riconosciuta, come pure la validità della Legge, alla quale come sudditi del padrone del mondo, e fintantoché rimangono tali, gli uomini devono obbedienza. Marcione intende in tal senso la dottrina paolina circa la Legge e così interpreta tutte quelle espressioni dell'apostolo che insistono sulla validità della rivelazione dell'Antico Testamento, le quali altrimenti sarebbero contrastanti con la sua posizione. In verità Marcione riconosce la rivelazione "quale" autentico documento del dio del mondo e nella sua interpretazione concorda con l'esegesi giudaica contro i suoi contemporanei cristiani, insistendo sul significato letterale e respingendo il metodo allegorico che la Chiesa applicava all'Antico Testamento per stabilirne la concordanza col Nuovo. Non solo egli non aveva interesse per tale concordanza, ma non la ammette nemmeno, visto che l'Antico Testamento affermava di essere la rivelazione di quel dio che ha creato e governa il mondo. Accettando questa asserzione, Marcione poteva anche ammettere in senso letterale quelle affermazioni che la Chiesa poteva riconciliare con la rivelazione cristiana soltanto per mezzo di un'interpretazione allegorica. Così Marcione concordava con gli Ebrei che il loro Messia promesso, il messia terreno, figlio del dio del mondo, doveva ancora venire e stabilire il suo regno terreno proprio come i profeti l'avevano dichiarato.

Ciò tuttavia non ha niente a che fare con la salvezza portata da Cristo che è acosmica per natura e non muta il corso degli eventi terrestri, neppure nel senso di un miglioramento: infatti cambia soltanto la prospettiva dell'anima redenta rispetto alla vita futura e, a mezzo della fede in tale futuro, la sua presente condizione "spirituale", ma lascia il mondo a se stesso, cioè alla sua finale distruzione. Per il restante del loro soggiorno terreno, la condotta dei credenti è determinata perciò non tanto da una preoccupazione positiva di santificazione, quanto piuttosto da un atteggiamento negativo di ridurre al massimo il contatto col regno del creatore (v. in seguito).

La beatitudine futura può essere anticipata quaggiù soltanto per mezzo della fede, e la fede invero è l'unica forma in cui deve essere accettata l'adozione divina offerta da Cristo, poiché nella negazione di quella questa può essere respinta: coloro i quali rimangono sotto il potere del creatore lo fanno di loro propria scelta (11). Perciò in questo contratto strettamente legale tra il Dio buono, il creatore e le anime "adottate" nella primitiva paternità, non interviene alcuna «esperienza pneumatica» né illuminazione dell'eletto per mezzo di una «gnosi» che trasforma la sua natura o mette in luce l'elemento divino nascosto in lui. Solamente i credenti sono salvati, non gli «gnostici», sebbene la fede con la certezza che infonde comporti una propria esperienza di beatitudine.

Ciò basti per quanto riguarda la soteriologia.


- I due dèi.


Marcione ha elaborato la sua teologia in forma di «antitesi»: questo era il titolo di uno dei suoi libri perduti. La maggior parte di tali antitesi consistevano in attributi dei due dèi. L'uno è l'«artigiano» ("demiurgo"), il «Dio della creazione» (o «generazione»), il «reggitore di questo eone», «conosciuto» e «predicabile»; l'altro è il Dio «nascosto», «sconosciuto», «incomprensibile», «impredicabile», «estraneo», «lo straniero», «l'altro», «il diverso» ed anche «il nuovo». Il dio-creatore è "conosciuto" dalla sua creazione, nella quale si manifesta la sua natura. Il mondo lascia trapelare non soltanto la sua esistenza ma anche il suo carattere, che è quello di un animo gretto.

Basta uno sguardo alla miseria della sua opera: «I Marcioniti con estrema impudenza arricciano il naso alla creazione e distruggono l'opera del Creatore: 'Davvero - essi dicono - un'opera magnifica, degna del suo Dio, è questo mondo!'» (Tertull., "Contra Marc." I, 13). Altrove Tertulliano riporta le espressioni: «questi miserevoli elementi» e «questa celletta del creatore» (12). Le stesse «piccinerie, debolezze e incoerenze» della sua creazione si manifestano pure nel comportamento col genere umano e persino col suo popolo eletto. A prova di ciò, Marcione porta la conferma dell'Antico Testamento, che per lui è «vero» nel senso indicato. La più significativa rivelazione di sé è la Legge, e ciò ci conduce all'ultima e più importante antitesi di Marcione: quella tra il Dio "giusto" e il Dio "buono". Dal punto di vista cristiano codesto aspetto del dualismo di Marcione è molto pericoloso: esso separa e distribuisce tra due dèi che si escludono a vicenda quella polarità tra giustizia e misericordia la cui unione in un unico Dio è il motivo, per la sua tensione, di tutta la dialettica della teologia paolina. Per Marcione, mente meno profonda e perciò più incline alla chiarezza della coerenza formale, giustizia e bontà sono contraddittorie e quindi non possono trovarsi riunite in un medesimo dio: il concetto di ognuno dei due dèi, soprattutto quello del vero Dio, non dev'essere equivoco - errore di tutti i dualismi teologici. Il dio giusto è quello «della Legge», il dio buono è quello «del Vangelo». Marcione, qui come altrove semplificando troppo san Paolo, intende la «giustizia» della Legge come puramente formale, ristretta, retributiva e vendicativa («occhio per occhio, dente per dente»): una tale giustizia, non proprio cattiveria, è proprietà fondamentale del dio-creatore. Perciò il dio che Cristo ha indicato come falso non è il persiano Ahriman, non l'assoluta tenebra - Marcione lasciò sussistere il demonio come figura separata entro il regno del creatore - né la materia, ma semplicemente il dio del mondo come presentato dalla Legge e dai profeti. La virtù morale sotto la Legge, sebbene preferibile secondo norme terrene alla licenziosità, non ha grande importanza dal punto di vista della salvezza trascendente.

Come il dio-creatore è conosciuto, evidente e «giusto», così il vero Dio è sconosciuto, straniero e buono. Egli è sconosciuto perché il mondo non dice niente di lui. Non avendo parte nella creazione, non esiste in tutta la natura traccia alcuna che possa anche soltanto far sospettare la sua esistenza. Come riassume Tertulliano: «Il Dio di Marcione è sconosciuto "per via naturale" e mai rivelato tranne che nel Vangelo» (op. cit. V, 16). Non essendo l'autore del mondo e neppure dell'uomo, egli è anche lo straniero. In altre parole, nessun legame naturale, nessuna relazione preesistente lo collega con le creature di questo mondo e non vi è nessun obbligo da parte sua di preoccuparsi del destino dell'uomo. Per Marcione è evidente che egli non entra in alcun modo nel governo fisico del mondo: volle eliminare dal Vangelo come interpolazioni giudaiche quei detti del Signore laddove si dice ad esempio che il Padre si prende cura dei passeri e tiene conto del numero di capelli che ognuno ha in testa. Il Padre proclamato da Gesù Cristo non avrebbe potuto occuparsi di ciò che riguarda la natura o il suo dio. E ciò toglie di mezzo qualsiasi idea di una provvidenza che opera nel mondo. La sola attività con la quale il Dio buono interviene nel mondo e il suo unico rapporto con esso è quello di aver mandato suo Figlio per redimere l'uomo dal mondo e dal suo dio: «Quest'"unica" opera è sufficiente per il "nostro" Dio, che abbia liberato l'uomo per sua suprema e superlativa bontà, che è da preferirsi a tutte le cavallette (13)» (Tertull., op. cit. I, 17). E' chiaro che la bontà del Dio buono è collegata alla sua estraneità, in quanto quest'ultima toglie ogni altro fondamento al suo interesse verso l'uomo. La bontà della sua azione salvifica è maggiore appunto per il fatto che egli è straniero e si occupa di estranei: «L'uomo, quest'"opera del dio-creatore", che il Dio più buono ha scelto di amare, e per amor suo si è assunto l'onere di discendere dal terzo cielo in questi elementi miserabili, e in favore di lui è stato persino crocifisso in questa piccola cella del creatore» (ibid. 14).


- «La grazia data liberamente».


Perciò l'unica relazione del Dio buono col mondo è soteriologica, ossia diretta contro di esso e contro il suo dio. Per quanto riguarda l'uomo, questa relazione è iniziativa del tutto gratuita da parte del Dio straniero ed è perciò un atto di pura grazia. Anche qui Marcione interpreta a modo suo l'antitesi paolina di «grazia gratis data» e «giustificazione per mezzo delle opere». Che la grazia sia data gratuitamente rappresenta per entrambi gli autori tutto il contenuto della religione cristiana; ma mentre in Paolo «gratuitamente» significa «rispetto alla colpa e all'insufficienza umana», cioè in assenza di ogni merito da parte dell'uomo, in Marcione significa «rispetto alla reciproca estraneità», cioè in assenza di ogni legame obbligante. Né la responsabilità, né l'attaccamento paterno di un creatore verso le sue creature è in gioco in questo caso, e nemmeno nella maniera gnostica abituale il Dio buono è mediatamente interessato al destino delle anime (e del mondo) per le connessioni genealogiche descritte: di modo che non c'è niente che egli debba riscattare o restaurare. Infine, in mancanza di ogni precedente azione, le idee di perdono e riconciliazione non sono applicabili: se gli uomini sono stati in precedenza peccatori, non possono certamente aver peccato contro di Lui. Il fatto è che la prima relazione tra questo Dio e quelle creature non sue è stata stabilita per mezzo del suo atto di una grazia senza un passato, e la relazione continua a sussistere in questo modo. Il lettore cristiano può chiedersi a questo proposito che ne è del concetto cristiano di amore divino e di misericordia. Il richiamo al pentimento, l'imminenza del giudizio, timore e tremore, espiazione, tutto è stato eliminato dal messaggio cristiano. Ma bisogna notare che mentre Marcione abolisce il paradosso paolino di un Dio che è giusto e buono, di fronte al quale l'uomo è colpevole e tuttavia amato, egli accentua ancora di più il paradosso di una grazia incomprensibile, non sollecitata, senza precedenti che possano richiederla o prepararla, un profondo mistero della divina bontà come tale. Per codesto motivo Marcione deve essere annoverato tra i grandi protagonisti di una religione paradossale.


- La moralità ascetica di Marcione.


Marcione è stato altrettanto rigido nella formulazione della dottrina teologica quanto nei precetti di condotta che ne dedusse. Non vi poteva naturalmente essere alcuna preparazione, o aumento, della grazia divina per mezzo delle opere, ancor meno un perfezionamento della natura umana mediante la pratica delle virtù nel senso classico pagano. In linea di principio, la moralità positiva, come mezzo per regolare e quindi confermare l'appartenenza degli uomini al sistema della creazione, non era che una versione di quella Legge per mezzo della quale il creatore esercitava il suo dominio sull'anima dell'uomo e alla cui osservanza coloro che venivano salvati non erano più tenuti: continuare a praticarla significherebbe consolidare un'appartenenza al cosmo che al contrario dovrebbe essere ridotta al minimo indispensabile, fino alla definitiva rimozione dal suo ordine. Quest'ultima considerazione definisce il tipo di moralità che Marcione sosteneva. Il suo principio era: non completare, ma ridurre il mondo del creatore e farne il minor uso possibile. «Per via di opposizione al Demiurgo, Marcione respinge l'uso delle cose di questo mondo» (Clem. Alex., "Strom." III, 4, 25).

L'"ascetismo" così raccomandato, strettamente parlando, non è una questione di etica, ma di allineamento metafisico. Evitare la contaminazione del mondo ne è un aspetto importante, ma l'aspetto principale è quello di opporsi anziché di promuovere la causa del creatore, o anche, proprio per fargli dispetto: «[Marcione] crede di molestare il Demiurgo astenendosi da ciò che quello ha fatto o istituito» (Hippol., "Refut." X, 19, 4). La «perpetua astinenza» in materia di cibo è «per distruggere e disprezzare e abominare le opere del creatore» (Hieron., "Adv. Jovinian." II, 167). Particolarmente evidente è il proposito di opposizione nella proibizione del rapporto sessuale e del matrimonio: «Non volendo aiutare a popolare il mondo fatto dal Demiurgo, i Marcioniti stabiliscono l'astensione dal matrimonio, sfidando il loro creatore e affrettandosi verso l'Unico Buono che li ha chiamati e il quale, essi dicono, è Dio in un senso differente: perciò, non volendo lasciare niente di proprio quaggiù, diventano continenti non per un principio morale, ma per ostilità al loro fattore, e per non voler servirsi della sua creazione» (Clem. Alex., loc. cit.). Qui la contaminazione della carne e la concupiscenza, temi così diffusi in questo periodo, non sono nemmeno menzionati; invece (sebbene non esclusivamente: confronta Tertull., op. cit. I, 19, dove il matrimonio è chiamato «bruttura» o «sozzura» ["spurcitiae"]) è l'aspetto di "riproduzione" che squalifica la sessualità - quello stesso aspetto che per la Chiesa ne è la sola giustificazione come suo fine secondo la disposizione della natura. Marcione qui riecheggia un genuino e tipico argomento "gnostico", di cui si avrà la completa elaborazione in Mani: cioè che la riproduzione è un inganno ingegnoso dell'arconte per trattenere indefinitamente le anime nel mondo (14). Perciò l'ascetismo di Marcione, a differenza di quello degli Esseni o più tardi del monachesimo cristiano, non era inteso a promuovere la santificazione dell'esistenza umana, ma era essenzialmente negativo nella sua concezione e faceva parte della rivolta gnostica contro il cosmo.


- Marcione e la Scrittura.


Assumendo come misura di ciò che è genuinamente cristiano e di ciò che non lo è la propria interpretazione di san Paolo, Marcione ha sottoposto gli scritti del Nuovo Testamento ad un rigoroso processo di vagliatura per separare il vero da quello che egli riteneva fossero falsificazioni posteriori. E fu per questa via che per la prima volta un lavoro di critica testuale, sebbene in modo piuttosto arbitrario, fu applicato ai primitivi documenti cristiani e che nella Chiesa cristiana nacque e fu realizzata l'idea stessa di un "canone". Il canone dell'Antico Testamento era stato stabilito già da gran tempo dai teologi ebraici, ma non era stato definitivamente fissato un corpo di libri autorevoli o autentici tra la massa fluttuante di scritti cristiani, tranne la definizione globale di Sacra Scrittura. Il canone che Marcione compose per la Chiesa era comprensibilmente scarno. Non c'è bisogno di dire che l'Antico Testamento nella sua totalità fu buttato a mare. Quanto al Nuovo Testamento soltanto il Vangelo secondo Luca e dieci Lettere paoline furono accettate, sebbene anche queste ultime con emendamenti ed eliminazione di ciò che Marcione considerava come interpolazioni giudaiche. Queste ultime, secondo lui, avevano anche invaso il Vangelo di Luca, che nell'insieme Marcione considerava come il solo autentico, ossia quello dato da Dio (e perciò non da Luca), di modo che ne era necessaria un'accurata purgazione: la storia della nascita, per esempio, con la sua discendenza davidica doveva essere tolta e molto altro ancora (tra cui abbiamo ricordato l'eliminazione di 12, 6). Queste caratteristiche principali sono sufficienti a dare un'idea del lavoro di critica testuale fatto da Marcione. Fu in risposta al tentativo di Marcione di far accettare dalla Chiesa il suo canone e con esso la sua interpretazione del messaggio cristiano che la Chiesa procedette a stabilire il canone ortodosso e il dogma ortodosso. Fissando il primo, lo scontro maggiore verteva sul ritenere o abbandonare l'Antico Testamento; e se «Sacra Scrittura» fino ad oggi significa entrambi i Testamenti, ciò è dovuto al fatto che il marcionismo non riuscì ad imporsi. Per quanto riguarda il dogma, l'accentuazione antimarcionita è chiaramente percepibile nelle primitive formulazioni. La "regula fidei", che Origene ha messo all'inizio della sua opera principale, "De principiis", contiene questa affermazione enfatica (15): «Questo Dio, giusto e buono, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, ha dato "egli stesso" la legge e i profeti e i vangeli, egli che è il Dio degli apostoli e dell'Antico e del Nuovo Testamento».

Tuttavia in un modo o nell'altro il marcionismo è rimasto fino ad oggi materia di discussione nel cristianesimo. E prescindendo da qualsiasi controversia dottrinale, il messaggio di Marcione circa il Dio nuovo e straniero non mancherà di trovare un'eco nel cuore umano.

 

 

Tratto da LO GNOSTICISMO edizioni Sei







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